Charlie MacGregor The Student Hotel
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The Student Hotel diventa The Social Hub. “Il vecchio nome era diventato un limite”

The Student Hotel si trasforma in The Social Hub. È questa la novità con cui la società olandese, proprietaria – tra sedi operative e progetti in divenire – di 23 strutture per ospitare studenti, freelance e turisti, inaugura una nuova fase per il marchio che ha contribuito a introdurre l’ibridazione nell’accoglienza alberghiera.

Sono numerosi i motivi che hanno spinto il fondatore, l’imprenditore scozzese Charlie MacGregor, verso una svolta che punta ad allargare il bacino degli ospiti e le attività loro offerte. Il Covid, innanzitutto. Dopo la tempesta perfetta provocata dal virus, che ha stravolto le logiche e i numeri dell’hôtellerie mondiale, nuove esigenze hanno iniziato a farsi sentire, persino nelle strutture più tradizionali. Oggi è noto che nessun hotel, in futuro, sarà solo un luogo in cui riposare e nutrirsi. La misura del successo, oltre che dalla qualità della struttura in sé, sarà data dal grado di interazione con l’ambiente circostante. Questo nuovo paradigma, diffuso già prima del 2020, è più che mai avvertito in Tsh, dove la connessione tra persone e luoghi rappresenta la chiave del successo.

Dalla sua nascita, nel 2012, il format Tsh è stato inoltre replicato da molti concorrenti, che hanno rosicchiato piccole quote di mercato. Occorreva perciò differenziarsi il prima possibile dalle variazioni sul tema. Terzo: le parole ‘student’ e ‘hotel’, efficaci all’inizio del progetto, sono diventate nel tempo quasi un ostacolo, non solo per le proteste dei collettivi che, come accaduto nel 2020, in occasione dell’inaugurazione della sede bolognese, non hanno condiviso, salvo poi in parte ricredersi, l’idea di offrire alloggi studenteschi di lusso in una città dove la crisi abitativa è palpabile. Piuttosto, in un momento di fluidificazione generale, in cui l’uso e la declinazione stessa delle parole hanno assunto un forte peso comunicativo, era necessario eliminare steccati terminologici ed espandere il format, così da renderlo ancora più ampio e inclusivo.

Infine, la crescita costante dei nomadi digitali nel mondo. Statistiche non ufficiali parlano di 35 milioni di persone che si definiscono tali, cifra destinata probabilmente a triplicarsi nei prossimi tre anni. Un numero sempre maggiore di professionisti che lavorano da remoto si sposterà dunque in cerca di stanze e ambienti moderni e accoglienti. Intercettarli e indirizzarli in luoghi intesi come veri hub multiservizi sarà determinante.

Oggi Tsh è valutata 2,1 miliardi di euro. Di recente gli assetti societari sono cambiati, con il trasferimento delle azioni di Aermont Capital al fondo sovrano di Singapore Gic e la maggiore partecipazione sia del fondo previdenziale olandese Apg sia di MacGregor, che in questo modo si è garantito un appoggio monetario di lungo periodo per far crescere la sua creatura nei prossimi dieci anni

MacGregor, i vostri hotel diventano dunque hub. Con quale obiettivo?
Durante le prime ondate di Covid abbiamo iniziato a riflettere sulla nostra identità, su chi siamo e cosa stiamo facendo. Siamo nati e cresciuti come Student Hotel ma ci siamo resi conto di essere diventati più di questo. Oggi siamo un hub sociale per studenti, lavoratori, turisti e un posto di ritrovo per i locali, un ambiente che ospita meeting, brainstorming e occasioni di reciproca connessione. Il nome The Student Hotel era diventato limitante. Con il logo The Social Hub vogliamo raddoppiare il nostro portafoglio e arrivare a 50 strutture operative. Il nostro desiderio è quello di diventare sempre più internazionali (oggi Tsh opera solo in Europa, ndr), magari portando il nuovo marchio negli Stati Uniti, dove abbiamo ricevuto richieste da alcune università.

Le percentuali di occupazione – di solito divise tra studenti, lavoratori e turisti – cambieranno?
Tutto resterà al suo posto: i valori, il team, la mia persona. Ciò che cambierà, credo, sarà la propensione delle persone, che saranno più interessate a entrare in un Social Hub che in uno Student Hotel.

Quanto pesa il mercato in questa evoluzione naturale del marchio?
Siamo partiti con gli studenti quando a nessuno interessavano, intendendoli come clienti e ospiti, dettando così nuove regole. Poi sono arrivati i turisti. Poi i co-living, i co-working e i residenti. E sono arrivati anche i cloni, che hanno replicato idea e design. Con The Social Hub vogliamo segnare il prossimo step. Per noi è un po’ come passare da una teenager company a una major company. Con questo cambiamento possiamo continuare a fare meglio e più velocemente quello che abbiamo sempre fatto.

Ci sarà un focus maggiore sugli eventi?
Gli eventi e i programmi della community saranno duplicati, così da richiamare sempre più persone nei nuovi hub, che già oggi ospitano individui di 200 nazionalità.

I prezzi aumenteranno?
No, la nuova strategia non lo prevede. Se ci saranno aumenti, dipenderanno dall’inflazione e dalla salita del prezzo delle materie prime.

Il mercato continua a mostrare interesse per il progetto. Nella vostra storia ci sono sempre stati fondi e banche pronti a finanziarvi. Recentemente Unicredit ha stanziato 145 milioni per i nuovi hotel di Roma e Firenze. Come procedono le strategie in Italia?
In Italia sono operative le sedi di Firenze Lavagnini e Bologna, due progetti che stanno funzionando bene. Quest’estate erano piene sia le stanze per gli studenti che i co-working. Firenze Belfiore aprirà nel 2024, sarà un flagship da 550 camere con supermarket, palestra, ristoranti e bar. A Roma, nel quartiere San Lorenzo, la parte rischiosa è stata superata: non abbiamo scovato monumenti storici sotto il terreno, quindi procederemo all’edificazione di un campus che riqualificherà l’Ex Dogana.

Questi sono i progetti in dirittura d’arrivo. Cosa c’è più in là nel tempo?
Inaugureremo un nuovo hub a Torino, abbiamo già avuto il via libera definitivo. A Milano stiamo cercando da tempo di assicurarci un nuovo progetto, ma non abbiamo ancora trovato un edificio di grandi dimensioni adatto. Poi c’è il mio sogno personale: il Sud Italia.

L’Italia è indietro, rispetto ad altri paesi europei, sulle politiche per i nomadi digitali. Avete mai pensato di collaborare più attivamente con le istituzioni per la creazione di una regolamentazione?
Di recente ho incontrato nei nostri ristoranti tre nomadi digitali che mi hanno detto: “Sarebbe bello se ci fossero più opportunità per noi”. Loro sono una parte importante della nostra community.

Nonostante la crescita dei nomadi digitali in tutto il mondo, la tutela offerta dall’Italia a queste persone è ancora scarsa, sia in termini legislativi che logistici. La forza politica che più si è spesa in questa direzione è il M5s, che ha spinto per l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del termine “nomade digitale”, con il riconoscimento di un visto e del permesso di soggiorno di un anno, previe alcune condizioni. Difficilmente, con i nuovi equilibri di governo, il percorso di riconoscimento proseguirà, soprattutto sulla questione chiave della tassazione da legarsi non allo Stato in cui si ha la residenza fiscale, ma in quello in cui si soggiorna. 

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