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Cosa dice Climate Trace, il progetto di Al Gore che individua i più grandi inquinatori del mondo

Da decenni gli scienziati misurano l’aumento della concentrazione dei gas serra (in primo luogo anidride carbonica e metano) nell’atmosfera. Questo permette di conoscere la quantità media dell’emissione annuale dei gas serra, che nel 2021 è stata di 53 miliardi di tonnellate, ma non quali attività – oppure quali nazioni – siano le maggiori responsabili. I governi dispongono di stime basate sulla quantità di combustibili fossili (carbone, metano e petrolio) bruciati, oppure sulle tonnellate di acciaio prodotto, ma non sono in grado di monitorare le emissioni di ogni singola industria, né di una singola attività.

Alla riunione Cop27, la novità più dirompente è arrivata da Al Gore. Il premio Nobel ed ex vicepresidente degli Stati Uniti ha presentato il primo report della coalizione no profit Climate Trace (un acronimo per Tracking real-time atmospheric carbon emission). Utilizzando l’intelligenza artificiale, il rapporto – consultabile online – mette a fattor comune i dati raccolti da 300 satelliti e 11.100 sensori sparsi in mare, sulla terra e nell’aria. Così facendo, ha identificato oltre 70mila sorgenti individuali di gas serra. È una stima indipendente da quello che dichiarano i governi e Climate Trace sostiene che i suoi risultati siano più accurati, perché valutati a livello locale.

Come funziona Climate Trace

Non che il compito sia sempre facile. Spesso le misure non sono dirette e occorre utilizzare dei proxy. Per le acciaierie, per esempio, vengono utilizzate le informazioni satellitari relative al calore liberato dalle fornaci per stimare l’acciaio prodotto. Mentre per le centrali che producono elettricità bruciando combustibili fossili si sfruttano le misure satellitari del vapore emesso dalle ciminiere.   

 

Visitando il sito Cliamatetrace.org è possibile vedere su un planisfero chi inquina e a quanto ammontano le emissioni. Il grafica rappresenta la quantità di CO2 equivalente: una scelta semplificatrice, che implica trasformare in CO2 gli altri gas. A cominciare dal metano, che nel breve termine è un gas serra 80 volte più efficace dell’anidride carbonica. 

Climate Trace
I diversi colori indicano diverse sorgenti di gas serra. Climatetrace ne distingue una dozzina. In questa versione si distinguono il nero industria petrolifera, il grigio dei cementifici, il giallastro delle attività agricole (https://climatetrace.org/map)

Il petrolio davanti a tutti

Forse per questo, nella classifica degli inquinatori, le prime posizioni sono tutte appannaggio dell’industria estrattiva oil and gas. I combustibili fossili, che bruciando producono CO2, iniziano a liberare gas serra quando vengono estratti, perché i giacimenti di petrolio contengono sempre bolle di metano, rilasciato (spesso bruciato) durante l’estrazione. Il metano liberato e la procedura del flaming – fiamme che bruciano in modo continuo, alimentate dal gas – regalano agli oil field la palma delle attività che producono la maggiore quantità di gas serra.

In effetti la produzione di gas serra dell’estrazione del petrolio è un esempio significativo dell’utilità di Climate Trace, visto che le quantità riportate sul sito sono il triplo di quelle dichiarate alle Nazioni Unite dalle varie compagnie. Non è escluso che, forse pensando a una probabile carbon tax, queste dichiarino la minore quantità possibile. 

L’estrazione è tuttavia il primo passo. Il prodotto crudo deve essere trasportato (quasi sempre via nave) fino ai luoghi dove viene raffinato e quindi utilizzato, non senza avere fatto altra strada nel processo di distribuzione. Quello delle raffinerie è un altro dei settori ad alta produzione di gas serra. Importanti contributi arrivano anche dai cementifici e dalle acciaierie. Ma sulla mappa di Climate Trace ci sono anche i produttori naturali di metano, come le discariche e le grandi coltivazioni di riso.

I più grandi inquinatori d’Italia

Volendo toccare con mano i diversi emettitori monitorati da Climate Trace, sarebbe consigliabile un click sull’Italia. 

Climate Trace

Accanto alle raffinerie, alle poche acciaierie e ai tanti cementifici indicati con cerchi blu scuro, è possibile scorgere, in rosso scuro, il contributo dei trasporti, con gli aeroporti e le aree delle grandi città, per finire con il grigio delle discariche e il giallastro delle coltivazioni di riso nelle province di Novara, Vercelli e Pavia. La grandezza dei cerchietti è proporzionale all’emissione: la discarica di Malagrotta, vicino a Roma, produce una quantità di CO2 equivalente pari a circa due terzi dell’aeroporto di Fiumicino. 

Quantificare chi, dove e quanto è particolarmente importante quando si inizia a discutere dello spinoso problema delle compensazioni, quelle che i Paesi ricchi (produttori di grandi quantità di gas serra) dovrebbero fornire ai più poveri, colpiti in modo più drammatico dal riscaldamento globale pur avendo contribuito molto poco alle emissioni. È il capitolo del loss and damage, un principio sul quale i Paesi economicamente più solidi dicono di essere d’accordo, ma senza volersi impegnare, per la paura di firmare un assegno in bianco. 

È però evidente che, se si parla di ridurre i gas serra entro una certa data, occorre essere consapevoli di quale sia il livello di partenza. E dal momento che vale la regola you can manage only what you can measure (‘puoi gestire solo ciò che puoi misurare’), disporre di misure precise è fondamentale. 

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