Angela Rebecchi, polizze
Small Giants

Per proteggere le Pmi dalle nuove minacce servono polizze innovative e un cambio di passo sistemico

di Angela Rebecchi, general manager Qbe Italia, filiale italiana di Qbe Insurance Group

Qualunque sia la personale visione degli eventi che hanno segnato gli ultimi tre anni, è difficile negare che, per le imprese, si è aperta una nuova fase storica, caratterizzata da volatilità strutturale e crescita dei rischi. Ed è evidente che i modelli fin qui adottati non sono adeguati per fronteggiare il nuovo scenario. Siamo tutti d’accordo: serve una nuova cultura del rischio che permetta alle imprese di avere una visione complessiva e dinamica del suo potenziale impatto sulla continuità e sui risultati aziendali. Come? Prima di rispondere, qualche evidenza aiuta a capire le dimensioni del problema.

Le pmi assicurate in Italia sono ancora troppo poche

L’Italia spende oggi in prodotti assicurativi l’equivalente dell’1% del Pil, un terzo della Germania e del Regno Unito, lontana anche dagli altri i Paesi mediterranei (la Francia è oltre il 2%, la Spagna all’1,8%) e buona parte delle risorse continua a essere assorbita dall’assicurazione dei veicoli.

Il 95% delle 4,3 milioni di imprese italiane è micro (circa 4,1 milioni d’imprese fino a dieci dipendenti) o piccola (circa 200mila imprese fino a 50 dipendenti) e non ha e non può dotarsi delle competenze professionali per valutare e gestire adeguatamente i nuovi rischi (cyber risk, impatto del cambiamento climatico, funzionamento della supply chain, scarsità di risorse umane) che, è noto, interessano tutte le categorie dimensionali.

In generale, le attività sistematiche per una comprensione dei rischi sono condotte da una minoranza: l’ultima ricerca disponibile, condotta due anni fa da Mediobanca, dice che, tra le imprese con un fatturato annuo tra 20 e 355 milioni di euro, solo il 38,6% monitora i rischi occorsi, evitati e rilevati ex post.

La prevenzione del rischio? Un “costo” necessario

Questi dati, benché sommari, dicono che la strada da percorrere è lunga per tutti: pmi, compagnie e intermediari professionali. E che bisogna farlo in fretta se si vogliono proteggere le imprese. Il primo passo  da fare è smettere di collocare la gestione dei rischi nella colonna dei costi. Questo, ovviamente, non vuole dire che non si debbano considerare le variabili economiche, ma che prevenzione e gestione dei rischi sono componenti essenziali della strategia dell’impresa. Contano, oggi, quanto le funzioni di sviluppo business. Se non si compie questo salto culturale, sarà difficile migliorare.

Flessibilità e disponibilità delle imprese: quanto è importante il ruolo degli intermediari

E arriviamo al ‘come’ di cui sopra. Nello scenario descritto, al ‘come’ devono necessariamente concorrere tutti gli attori della filiera. Gli assicuratori sono chiamati a innovare l’offerta, ispirandola a princìpi di flessibilità e aderenza effettiva alle specificità dei bisogni. Il che implica la disponibilità delle pmi alla condivisione d’informazioni e dati sensibili: è solo questo orientamento che permette una corretta definizione del profilo di rischio. L’analisi di dati e informazioni, condotta in collaborazione con gli assicuratori, deve precedere qualunque decisione per il trasferimento di rischio: è il fattore chiave per la negoziazione e il presupposto per un’offerta corretta.

Un ruolo essenziale spetta agli intermediari. Con oltre 26mila agenti e oltre 5mila broker, l’Italia è al vertice in Europa per numero di professionisti che, quasi sempre, sono i primi interlocutori dell’impresa e compensano l’abituale assenza di un risk manager interno. Considerata la complessità dei nuovi rischi, questo ruolo di supplenza è decisivo per indirizzare l’impresa verso soluzioni che assicurino il miglior rapporto tra grado di copertura e premio. Si aprono quindi nuovi spazi per la componente consulenziale dell’attività di broker e agenti, a patto però di rafforzare le competenze per decifrare i nuovi rischi.

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