Prima una pandemia che, oltre a mietere milioni di vittime, ha avuto tra le sue principali conseguenze il blocco della grande ed efficiente supply chain mondiale, con ripercussioni sulla disponibilità di beni e materie prime di ogni genere, anche alimentari. Poi un conflitto nel continente europeo che ha stravolto qualsiasi agenda o piano di ripresa. Questa volta a preoccupare, oltre al dolore per le vittime civili e ai milioni di profughi, per la maggioranza donne e bambini, vi sono gli aspetti legati all’approvvigionamento energetico.
Chi può concorrere al miglioramento sia dell’approvvigionamento alimentare che di quello energetico? Ebbene sì, la grande agricoltura. Nei primi mesi del 2020, quando in Italia si analizzavano i primi dati sull’impatto della pandemia, Federico Vecchioni, amministratore delegato e azionista tramite il suo club deal Arum del gruppo Bf, leader agroindustriale italiano quotato in Borsa, faceva osservare con responsabilità, ma anche con molto orgoglio: “Immaginatevi cosa sarebbe accaduto se sugli scaffali dei supermercati o nei negozi di prossimità fossero mancati i prodotti alimentari come la pasta, il riso, la frutta, la verdura, ecc”. E il pensiero andò immediatamente alle rivolte del pane che hanno attraversato la storia dell’umanità.
L’azienda di famiglia
Classe ’67, laurea in scienze agrarie all’Università degli Studi di Firenze, nato a Padova, papà Roberto ordinario di chirurgia generale presso la facoltà di Medicina di Verona e la mamma Gabria farmacista, Federico Vecchioni, sposato, due figlie, la centralità del mondo agricolo ce l’ha sempre avuta ben chiara. Terminati gli studi, ha gestito la ristrutturazione della storica azienda agricola di famiglia, Tenuta Il Cicalino (oggi parte del gruppo Bf), che si estende nella provincia di Grosseto tra i comuni di Massa Marittima e Follonica, con un approccio tecnologico e manageriale, facendola diventare, per numero di olivi, uno dei produttori privati più importanti in Toscana. Ha percorso inoltre la carriera da dirigente nel mondo della rappresentanza occupando le massime cariche, prima a livello locale e poi a livello nazionale, nel mondo associazionistico agricolo.
Il grande passo
Si è arrivati così al 2014, quando, sfruttando sicuramente la sua esperienza da velista (altra sua passione), ha compreso che ci sono tutte le condizioni ‘meteorologiche’ per avviare quello che possiamo definire il suo progetto professionale più importante: “Creare il campione nazionale per l’agroindustria”. Alla guida di un gruppo di investitori italiani (finanziari e industriali) e con la presenza dei Consorzi promossa da Coldiretti, ha rilevato da Banca d’Italia la storica Bonifiche Ferraresi. Fondata nel 1870, nel 2014 l’azienda aveva ancora 5.500 dei suoi 29mila ettari e continuava a essere la più grande azienda agricola italiana per Sau (Superficie agricola utilizzata). Da allora l’azienda è passata dall’essere un’azienda agricola tradizionale a piattaforma agritech al servizio del Paese, fondata sul presidio della terra, la conoscenza e i servizi ad alto valore aggiunto.
“La centralità dei progetti alimentari è oggi strettamente legata alla disponibilità di un patrimonio fondiario e quindi di terra coltivabile”, dice Vecchioni. Oggi Bf controlla infatti con proprie società tutta la filiera alimentare, dal genoma allo scaffale, passando dalla proprietà della terra (oltre 11mila ettari in Italia), impianti industriali di trasformazione come pastifici, riserie, mulini, i servizi al mondo agricolo con Cai (Consorzi Agrari d’Italia), fino al prodotto finito con il brand di proprietà Le Stagioni d’Italia. In numeri: da 9 milioni di euro a un consolidato che quest’anno supererà il miliardo di euro, con una capitalizzazione oltre i 700 milioni. “E tutto questo sette anni fa non era scontato”, ricorda a chi lo ascolta.
Progetti, iniziative e joint venture
Cibo, ma non solo: il Campus di Jolanda di Savoia, sede storica del gruppo, oggi rappresenta il sito più avanzato per l’agritech (anche la Nasa, oltre che l’Esa, ha testato nei campi di Bf i satelliti per gli utilizzi in agricoltura), nel quale ogni anno passano gli studenti di quasi tutti gli atenei più importanti d’Italia. E poi ci sono i progetti più recenti, come la joint venture con Eni nata un anno fa per produrre, a partire da sementi come il cartamo e la brassica, olio vegetale da conferire alle bioraffinerie di Eni, per la successiva trasformazione in biocarburanti, recuperando terre no food abbandonate perché inquinate o predesertiche. Sempre di recente nascita è l’iniziativa con il fondo Gardant per il recupero di ettari nazionali oggi abbandonati. Perché oggi, dice Vecchioni, “abbiamo in Italia 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzabile, alla fine degli anni ’70 erano circa 28 milioni”.
Avendo imparato a conoscere l’uomo, il gruppo continuerà a crescere perché, come stiamo constatando, “la fase storica, economica e geopolitica che stiamo vivendo ha rimesso al centro l’agricoltura non solo nell’economia dei paesi avanzati, ma in tutti i paesi”. Ma soprattutto perché lo skipper Vecchioni sta portando, insieme a importanti azionisti (tra cui Sergio Dompé e il network agroindustriale italiano, con grandi nomi come Farchioni, Antolini e Cremonini) e alla competenza dei suoi collaboratori, la barca Bf verso nuove terre, spinta dal vento delle idee alla base dei nuovi progetti.
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