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Small Giants

Così G. Inglese ha portato la sartoria made in Italy nelle case di reali e capi di stato

Articolo tratto dall’allegato Small Giants del numero di marzo 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Oggi si parla spesso di scappare dal caos delle metropoli per far crescere la propria azienda, per ripopolare i piccoli borghi del centro e del sud del nostro Paese e per recuperare una qualità della vita che (forse) le grandi città hanno perso.

Dal paese al successo

Se questa può sembrare una scelta coraggiosa, come potremmo definire quella di chi invece ha deciso di rimanere proprio in questi borghi, a volte dimenticati dal mondo, per far nascere e crescere la propria impresa? Mi piace ricordare il caso del maestro pizzaiolo Franco Pepe, che ha portato alla ribalta mondiale la sua piccola Caiazzo in provincia di Caserta.

Oppure dello chef contadino Peppe Zullo, che lo stesso ha fatto per la sua Orsara di Puglia, in provincia di Foggia. Sempre in Puglia, a Ginosa, e affacciandoci su un altro ramo del grande albero del made in Italy (quello della moda e della sartoria), troviamo la storia dello stilista e sarto Angelo Inglese, che con il suo brand G. Inglese ha fatto dell’antica tradizione popolare e di famiglia la sua fonte di ispirazione.

Nel ricamo c’è la cultura non scritta del nostro Paese, tramandata perché contiene il lavoro di tanti, la coscienza di sé e della propria dignità. Il suo è un lavoro meticoloso, artigianale, fatto con amore e passione, riconosciuto e apprezzato da capi di Stato, reali e personalità di tutto il mondo.

Gli inizi di Angelo Inglese

Una favola affascinante, una di quelle storie che lo accomuna a tantissimi italiani di successo. All’età di vent’anni, infatti, in seguito alla scomparsa del padre, la vita lo ha messo davanti a un bivio: andare via da Ginosa o rilevare l’attività di famiglia. Sappiamo come è andata a finire.

Diversi sono stati i motivi che hanno spinto Angelo Inglese a fare questa scelta: prima di tutto la voglia di non far morire quella che non era una semplice sartoria, bensì la storia della sua famiglia che, inaugurata dalla nonna nel 1955, con sudore e sacrificio era arrivata fino a quel punto.

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L’artigianalità è un asset imprescindibile per il brand

Il sarto, inconsapevolmente, stava cominciando a scrivere il racconto di una grande sfida, caratterizzata da una parte dalla rarità e peculiarità di un territorio ammaliante, dall’altra da un piccolo paesino di provincia che non è certo lo scenario internazionale della moda. 

Come spesso accade, dai sacrifici e dalle difficoltà nasce il successo. Quella di G. Inglese è la storia di un brand che genera valore economico, estetico e sociale proponendo collezioni che sempre più fanno amare questa marginalità geografica. La stessa che, con il tempo, è diventata per il brand una leva per costruire il suo business.

L’arrivo di G. Inglese in Giappone

Molti anni fa, di notte, Angelo Inglese era solito inviare video e foto che dimostravano il loro insolito modo di lavorare e ricamare a mano; agli esordi di internet, infatti, la linea era molto lenta e si lavorava più facilmente nelle ore notturne.

Una di quelle mail incontrò l’interesse di alcuni giapponesi che, molto entusiasti, gli chiesero subito un incontro a Firenze in occasione di Pitti Uomo. A quell’epoca Angelo Inglese era molto preparato sul prodotto e un po’ meno sulla modellistica che caratterizza la moda asiatica, sono anatomicamente diversi dagli occidentali.

Tuttavia i prodotti colpirono il loro gusto: gli imprenditori giapponesi li ordinarono ugualmente, attendendo un campione specifico realizzato ad hoc per loro.

Da quel momento le camicie G. Inglese iniziarono a essere presenti nei più importanti department store nipponici, con la naturale conseguenza di essere indossate dalle persone più titolate e rappresentative del Giappone. Da sempre, Angelo Inglese ha dimostrato di avere le idee chiare: un buon inizio per qualunque storia di successo.

Spesso la buona riuscita di un brand cammina di pari passo con quella del suo territorio.  Forse è più corretto dire che, molto spesso, è proprio il territorio la chiave di successo di un’impresa. Per questo motivo è necessario che, in un’ottica di responsabilità sociale, quest’ultima restituisca alla comunità una parte di valore che la comunità stessa ha contribuito a creare.

Le iniziative di G. Inglese

Proprio come è successo a G. Inglese. L’azienda impiega solo sarte del territorio, creando economia sociale e rappresentando un punto di riferimento importante per la comunità di Ginosa.

Uno dei progetti che vedono coinvolte queste artigiane è rappresentato dalla collaborazione con il maestro pastaio Raimondo Mendolia e con l’imprenditore Federico Menetto, dalla quale nasce il brand della pasta Uno.61 (premiata da Forbes Italia tra le 100 Eccellenze italiane 2020). 

Ma la vocazione sociale del brand non finisce qui. Numerose sono state anche le iniziative a favore di quelle fasce di popolazione più deboli, come quelle realizzate insieme all’associazione Made in Carcere di Luciana Delle Donne e quella con la Comunità di San Patrignano.

Oggi l’azienda sta lavorando all’ambizioso progetto di inaugurare una sartoria inclusiva, che possa insegnare l’arte della camiceria a gente con un percorso di vita difficile, come ad esempio le persone con disabilità oppure gli ex detenuti.

Il territorio è importante

Sin da giovane Angelo Inglese sognava che il suo marchio si affermasse a livello internazionale e che Ginosa diventasse un punto di riferimento per storia, arte e lavoro. Era il sogno di un’impresa capace di contribuire anche a migliorare le condizioni di un territorio, regalando bellezza e opportunità per tutti.

G. Inglese ha sempre coniugato il proprio brand a questo piccolo paradiso immerso nella terra delle Gravine, dove l’armonia tra paesaggio e natura si sposano con la creatività del brand ed esportano stile in tutto il mondo.

I clienti di Angelo Inglese, infatti, acquistano quasi sempre un loro capo per soddisfare un desiderio di esclusività e vivere un’esperienza diversa, un momento emozionale. Non a caso questo modo di fare ha affascinato e affascina ancora numerosi top manager, appartenenti a case reali e vari capi di stato.

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