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Arriva il robot umanoide presentatore tv: il progetto di una dottoranda di 26 anni

Pepper è il robot umanoide progettato per interagire con gli esseri umani. Molto versatile, può interviene nell’accoglienza e ospitalità come commesso e traduttore. Fin qui nessuna novità, considerato che è stato lanciato nel 2014 dalla SoftBank Robotics.

Lucrezia Grassi sta aggiungendo tasselli importanti alla vita di Pepper facendone un automa in grado conversare e moderare gli interventi altrui, al punto che sarebbe interessante vederlo all’opera nei talk show sfornati dalla tv.

Ne parliamo con la 26enne dottoranda presso il Dibris (Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei sistemi) dell’Università di Genova. Allieva di Carmine Recchiuto e Antonio Sgorbissa, ci spiega gli esperimenti condotti in questi ultimi mesi.

Cosa distingue il vostro dagli altri Pepper?

Per esempio, sa rispondere autonomamente alle domande e proseguire il dialogo, adattandosi alla cultura e alle preferenze degli individui. Gli altri robot umanoidi, Sophia compresa, interagiscono su poche cose e c’è spesso qualcuno “dietro le quinte” che suggerisce al robot cosa dire. Infatti, molti robot non sono in grado di condurre una conversazione completamente autonoma, per di più a lungo termine.

Vediamo le fasi dell’esperimento, passo dopo passo.

Il primo venne condotto in una casa di riposo inglese, all’epoca ero ancora studentessa. L’idea era quella di sviluppare un robot che avesse le competenze per offrire sostegno alle persone anziane ospiti della RSA. Vennero coinvolti infermieri e psicologi per ricostruire i contenuti di ipotetiche conversazioni.

Una volta laureata iniziai a lavorare con il professor Sgorbissa a uno studio su come migliorare tali conversazioni, come poter affinare il grado di comprensione di un argomento da parte di Pepper.

Nel frattempo, è venuto alla ribalta ChatGpt.

Anche noi lo stiamo testando, ma bisogna fare molta attenzione quando lo si utilizza. Infatti, questi cosiddetti “modelli generativi” sono allenati su così tanti dati che all’atto di una conversazione finiscono per offrire risposte false piuttosto che fare scena muta. Insomma, questi chatbot preferiscono inventarsi una replica sbagliata anziché sospendere il giudizio.

Per esempio?

Un giorno chiedevo informazioni su articoli legati alla mia ricerca e mi sono stati forniti articoli e abstract apparentemente attinenti agli argomenti trattati, il punto è che erano inesistenti.

Ci parli di Pepper anchorman, in grado non solo di dialogare ma anche di moderare introducendo e coordinando le parti.

Siamo partiti dal presupposto che in una discussione di gruppo ci sono sempre gli esuberanti e i timidi, i primi intervengono troppo e i secondi troppo poco. Il nostro robot è allenato a incoraggiare e a frenare. Abbiamo così pensato a una versione hard e un soft. Nella hard se la persona parla tanto il robot interviene ponendo dei limiti; nella soft si attiva con più diplomazia spronando a farsi avanti.

Esperimento condotto in una scuola. Corretto?

Sì, nella media Parini-Merello di Genova. Abbiamo felicemente constatato che, grazie all’intervento del robot, le interazioni fra i ragazzi erano più bilanciate. Avevamo formato Pepper a conversare su argomenti tra cui musica, film e sport ma sempre alla portata di ragazzini.

State lavorando anche negli ospedali. Come?

A sostegno di chi si ritrova a letto, paralizzato. In questo caso, per esempio, evitiamo domande che possano creare disagio come “Ti piace nuotare?” o “Ti piace giocare a calcio?”. Meglio un: “Ti piace guardare le partite di calcio?”.

Prossime tappe?

Dobbiamo perfezionare tanti dettagli. Innanzitutto va allargata la piattaforma dei contenuti per le conversazioni: Pepper deve ampliare la sua conoscenza. Quindi va istruito sempre di più.

Il dottorato finisce il prossimo novembre. Poi rimarrà in Italia o guarda Oltralpe?

Penso che starò a Genova. Mi trovo bene con il mio gruppo, mi piace il progetto. Poi certo, se si presenteranno nuove opportunità le valuterò.

I ricercatori italiani hanno bassi stipendi, e si misurano con lo spettro del precariato inteso come difficoltà a passare da un centro all’altro una volta concluso un progetto.

Al momento nel mio ambito c’è curiosità e spinta, posti e fondi. Sono ottimista.

Una curiosità: da piccola a cosa giocava?

Non con la Barbie e neppure con i Lego. Ero un maschiaccio: mi piacevano le macchine e soprattutto i videogiochi.

Le Stem e le donne: due strade che in Italia si incrociano poco. Questione di cultura o c’è dell’altro?

Ho frequentato il liceo scientifico e ammetto che la maggior parte delle mie compagne ha poi optato per facoltà umanistiche. Credo che il motivo principale fosse la mancanza di passione per le materie scientifiche.

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