Grand Ethiopian Renaissance Dam acqua
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Corsa all’oro blu: come l’acqua determinerà l’economia e la politica di interi continenti

“Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo lo saranno per l’acqua”. Così, nel 1995, l’allora vicepresidente della Banca mondiale, Ismail Serageldin, sottolineava l’importanza che l’acqua avrebbe rivestito, anche dal punto di vista geopolitico, negli anni a venire.

Non si sbagliava. Infatti, secondo il Water conflict chronology, un database che raccoglie informazioni sui conflitti nati per il controllo delle risorse idriche, i cosiddetti water conflict sono cresciuti dai 220 tra il 2000 e il 2009 ai 620 nel decennio 2010-2019, fino ai 202 registrati solo negli ultimi tre anni. Le ragioni principali di questo aumento sono tre: l’acqua è una risorsa scarsa, non è distribuita globalmente in maniera omogenea e ne consumiamo sempre di più. Meno del 3% dell’acqua presente sulla terra è acqua dolce e solo l’1% è disponibile per gli esseri umani. Dell’acqua disponibile, quasi i due terzi si trovano in 13 paesi, mentre alcuni continenti ad alto tasso di crescita demografica, come l’Africa, soffrono di una cronica scarsità. Inoltre, dagli anni Ottanta, il tasso di utilizzo medio di acqua sulla Terra è cresciuto mediamente del 1% annuo.

La geopolitica dell’acqua

Negli ultimi 50 anni, poi, per effetto sia della crescita demografica – la popolazione globale è raddoppiata, sia per effetto del cambiamento climatico, le risorse idriche pro capite si sono dimezzate, passando dai 16.800 metri cubi agli 8.470 attuali. Di conseguenza, oggi oltre 2,1 miliardi di persone al mondo, secondo un rapporto Unesco, non hanno accesso all’acqua potabile, entro il 2020 il problema problema riguardare il 52% della popolazione mondiale.

Per queste ragioni l’acqua viene definita oro blu, una risorsa preziosa come l’oro, il petrolio o le terre rare. Dal 2021 il World economic forum ha inserito le crisi idriche nella lista dei primi cinque global risk by impact. Il controllo dell’acqua, la cosiddetta ‘idro egemonia’, ha causato e potrà causare, quindi, molteplici tensioni a livello globale. Lo stesso Putin ha usato l’oro blu come uno dei pretesti dell’invasione russa dell’Ucraina. Dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, infatti, il governo di Kiev aveva costruito una diga che bloccava i flussi d’acqua che, attraverso un canale lungo 400 chilometri, il North crimean canal (Ncc), raggiungevano la penisola occupata. La superficie arabile in Crimea si era ridotta drasticamente, dato che dal canale dipendeva circa l’85% del fabbisogno idrico. L’Ucraina, quindi, oltre che una minaccia per le repubbliche separatiste del Donbass, secondo il Cremlino, metteva a rischio la sopravvivenza stessa degli abitanti della Crimea. Una delle prime mosse dell’esercito russo a febbraio 2022 è stata la distruzione della diga incriminata.

Il Grand ethiopian renaissance dam

La costruzione di una diga sta causando tensioni anche in Etiopia. Dal 2011 il governo locale ne sta costruendo una immensa sul fiume Nilo per produrre energia idroelettrica, visto che il 60% della popolazione non ha la corrente elettrica. Questo mastodontico progetto, da oltre 5 miliardi di dollari, chiamato Grand ethiopian reinaissance dam (Gerd), però, secondo il governo del Cairo rischia di ridurre del 25% la portata del Nilo in Egitto e Sudan, mettendo così a rischio siccità grave oltre 150 milioni di persone nei due paesi. L’Egitto, che possiede uno dei più forniti e numerosi eserciti del continente africano, ha minacciato ritorsioni anche militari contro l’Etiopia. Nonostante le minacce egiziane, gli etiopi hanno proseguito nel riempimento del bacino artificiale creato dalla diga, forti del sostegno della Cina, che ha più di 150 aziende operanti nel paese oltre che molteplici interessi commerciali.

L’Etiopia gode anche dell’appoggio della Francia, con cui ha siglato un accordo di cooperazione militare nel 2019. La situazione resta comunque in bilico, con il rischio di una escalation militare in un’area, il Corno d’Africa, già martoriata da guerre decennali in Sudan e nel Tigray. La siccità e la minor portata dei fiumi sono state anche la causa delle migrazioni verso le città principali del paese di oltre due milioni di siriani tra il 2009 e il 2010. La povertà diffusa e il malcontento che conseguentemente si sono venute a creare sono tra le cause della Primavera araba siriana del 2011 e della successiva guerra civile durata dieci anni. Sempre in Medioriente, Israele, dopo la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, ha preso il controllo di tutte le risorse idriche del fiume Giordano e, da allora, i terreni che i palestinesi riescono a irrigare sono diminuiti dal 25% al 5% di quelli disponibili.

Le rivolte dell’acqua

Oltre a conflitti armati tra stati vicini, le crisi idriche possono creare tumulti anche all’interno dei singoli paesi. Caso eclatante quello della città boliviana di Cochabamba dove, nel 2000, a seguito della privatizzazione della gestione dell’acqua pubblica, le tariffe vennero aumentate fino al 300%. Questi vertiginosi aumenti provocarono la reazione della popolazione che si ribellò in massa e fece tornare il governo sui suoi passi, riportando la gestione in mani pubbliche. In Tunisia, la carenza d’acqua quest’anno ha aggravato le condizioni della popolazione già afflitta da una pesante crisi economica e sociale. La compagnia idrica nazionale tunisina, infatti, sta razionando l’acqua in tutto il paese a seguito della siccità che affligge da anni il paese e che ha portato le riserve idriche sotto il livello di guardia. Tutto ciò, unito alle tensioni già presenti, potrebbe far deflagrare definitivamente il paese e le conseguenze si sentirebbero anche in Europa, con un’ennesima crisi migratoria e con la destabilizzazione dell’intero Nordafrica. 

“L’acqua è democrazia. Senza di essa non c’è futuro”, diceva Nelson Mandela. Nei prossimi anni, quindi, l’acqua sarà in grado di influenzare sempre più l’economia, la politica e la sopravvivenza stessa di nazioni e continenti interi. Per l’acqua potrebbero combattersi guerre più violente di quelle per il petrolio. Anche perché senza petrolio si può vivere, senz’acqua no.

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