Gaerne Ernesto Gazzola
Small Giants

344 imprese e 5.000 addetti: alla scoperta della Mecca veneta delle calzature sportive

Articolo tratto dal numero di giugno 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

È la Mecca della calzatura sportiva. Nell’area di 355 chilometri quadrati che va dal colle Montello al fiume Piave viene realizzato il 65% della produzione mondiale degli scarponi da sci, l’80% delle calzature da motociclismo e il 25% dei pattini in linea. Si producono inoltre scarpe da calcio, ciclismo, basket, tennis, atletica leggera, città. E poi scarpe ortopediche, scarponcini per il fondo, pattini per il ghiaccio, abbigliamento e attrezzatura sportiva.

Stiamo parlando del distretto della calzatura tecnica e articoli sportivi, che sintetizziamo in Sportsystem, di Asolo e Montebelluna, 344 realtà produttive per 4.966 addetti concentrati in 15 comuni della provincia di Treviso più Alano di Piave, nel Bellunese. L’export, che nel 2021 ha registrato un +2,9% rispetto al 2019, vale 1,5 miliardi di euro e deriva per il 68% da calzature sportive e scarponcini per l’outdoor. Il 19% è dovuto a scarponi e doposci, sci e tavole da snowboard, il 13% a biciclette e accessori per biciclette (secondo Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo).

Le calzature nel dna

La tradizione calzaturiera è nel dna di queste terre, che già durante il dominio veneziano fecero la fortuna dei calegheri (calzolai). Montebelluna fu abile nel capitalizzare la posizione strategica: a un passo dalle zone di approvvigionamento delle materie prime – i pellami anzitutto – e dai mercati dell’area predolomitica pedemontana e delle Alpi nord-orientali. Così i saperi si sono sedimentati nei secoli, seguendo le svolte, e all’occorrenza le giravolte, della storia. Dopo la prima guerra mondiale entrava in campo lo scarpone da montagna, dal secondo dopoguerra si aggiungeva quello da sci, con una produzione che, sull’onda del miracolo economico, passava dalle 180mila paia del 1963 alle 700mila nel 1969.

Il raggio d’azione via via si allargava ad altri sport e segmenti, abbigliamento e attrezzatura in primis. Con le delocalizzazioni forsennate degli anni Novanta – una falce per i più piccoli, che vennero decimati – e il copia-incolla operato dall’Est del mondo, il distretto trovava il suo salvagente nei prodotti di nicchia e di alta gamma e, a monte, nella ricerca.

Questa è infatti una terra che spicca per l’attitudine a innovare. Nella filiera della pelle, per esempio, detiene il primato del più elevato numero di brevetti. E la mente va a Mario Moretti Polegato, fondatore di Geox, che più e prima di tutti si è battuto per sensibilizzare gli imprenditori, ma anche gli studenti universitari, sul tema della tutela dell’idea innovativa. ‘Brevettate’ è il suo mantra.

Marchi ormai internazionali

Quello di Geox (735 milioni di ricavi) è un nome potente, tutt’uno con quelli di Diadora, Scarpa, Lotto, Stonefly. Torreggia il gruppo Tecnica della famiglia Zanatta, oltre mezzo miliardo di fatturato: atto di nascita nel 1930 come bottega artigiana specializzata nella produzione di calzature da lavoro, poi laboratorio tecnico da cui sarebbe uscito il primo moon boot, tra le icone del XX secolo. Acquistava marchi stranieri, dal tedesco Lowa allo statunitense Rollerblade e all’austriaco Blizzard, e del territorio, come Nordica, azienda di sci e scarponi con cui Zeno Colò divenne campione del mondo di discesa libera e di slalom gigante nel 1950.

Imprese come quella di Colò, e così pure della spedizione italiana del K2, nel 1954, con scarponi Dolomite, hanno contribuito ad accendere i riflettori sul distretto, che ha calamitato l’attenzione di multinazionali dello sport: da Adidas a Salomon, Rossignol e Nike, qui per la gamma alta e superspecialistica. Del resto si è sempre guardato oltre confine. Quando un tecnico del Colorado, nel 1964, realizzava lo scarpone in plastica, facendo colare in uno stampo un tipo speciale di poliuretano, i montebellunesi facevano il passo successivo, sostituendo la colata con l’iniezione.

L’avvento della plastica segnava l’inizio di una nuova era produttiva, anzitutto in termini di subforniture. Attorno ai grandi che progettavano e assemblavano si creava un pulviscolo di aziende fornitrici, oggi veri partner che contribuiscono ad arricchire una filiera unica al mondo che avrà una vetrina speciale nelle Olimpiadi 2026, neve permettendo.

Il Museo dello scarpone

Si innova, si brevetta, ma non si dimentica. Negli anni Ottanta è nato a Montebelluna il Museo dello scarpone e della calzatura sportiva, pensato per affidare alla memoria il patrimonio storico e culturale del distretto. Nel museo sono conservati oltre duemila manufatti di carattere storico, legati a design, progettazione, innovazione tecnologica e produzione delle calzature sportive. Il museo è gestito dalla Fondazione Sportsystem, impegnata in attività di informazione, formazione e ricerca per le aziende del comparto.

E infine si ricicla. L’azienda Scarpa, per esempio, ha messo a disposizione 50 punti vendita in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige per raccogliere le scarpe usate del modello Mojito. L’obiettivo della campagna è raccogliere, entro la fine dell’anno, 15mila paia di calzature che entreranno in un sistema di riciclo virtuoso e porteranno alla realizzazione di altrettante paia. Si calcola che la quota di utilizzo di materiale riciclato nel nuovo modello si attesti tra il 50 e il 70%.

La Mecca delle calzature sportive

• Aku
Galliano Bordin apprese i segreti di bottega da bambino. Era figlio di calzolai, e subito imparò a tagliare pellami, cucire tomaie, attaccare suole, riparando e creando da zero. Da giovanotto fondò un’azienda tuttora a conduzione familiare che chiamò Aku. È il nome – breve, di facile memorizzazione e pronuncia – di uno spirito benevolo che anima i racconti dei nativi dell’Isola di Pasqua, ripreso anche nel libro The Secrets of Easter Island del norvegese Thor Heyerdahl.

Nella fabbrica di Aku, a Montebelluna, è stata prodotta la prima Slope, una calzatura da trekking leggerissima, con tomaia in pelle e tessuto, coloratissima e presto dotata di una membrana che la rende impermeabile e traspirante. Una soluzione tecnica che fino a quel momento nessun produttore italiano di calzature da montagna aveva adottato. Slope è poi diventata Slope Gtx, poiché equipaggiata con membrana Gore Tex. Già all’alba del Duemila indossavano Aku personaggi come lo scrittore Mauro Corona e l’alpinista Fausto De Stefani.

• Gaerne
Nel 1962 Ernesto Gazzola lanciava l’azienda Gaerne per produrre scarpe da montagna di alta gamma. Con gli anni, parallelamente alla crescita dell’azienda, il raggio d’azione si è via via allargato a nuove linee di stivali da motociclismo (negli anni Settanta) e alle scarpe da ciclismo (dalla metà degli anni Ottanta).

• Garmont
Con il motto #StayWild, dal 1964 il marchio di Volpago di Montello produce scarpe di settore tecnico-sportivo per alpinismo, escursionismo e altre attività all’aperto. Curiosità: le T8 Garmont sono indossate dall’esercito americano e il mercato statunitense vale metà del fatturato dell’azienda. A un passo dalla chiusura, l’impresa veniva rilevata e rilanciata nel 2014 da Pierangelo Bressan. In tempi recenti la Riello Investiment Partners ha acquisito la quota di maggioranza.

• Garsport
È nata nel 1972 a Volpago del Montello dall’idea di una coppia: Diego Garbuio, all’epoca 25enne, scomparso nel 2020, e Gabriella Favotto, sua moglie, decisi a produrre calzature da neve. La produzione si poi diversificata, così da abbracciare calzature per il trekking, per l’alpinismo, per l’antinfortunistica e da lavoro.

• Northwave
Dici Northwave e la mente corre alle calzature da snowboard e da ciclismo (strada e mountain bike). Nacque nel 1971 come Calzaturificio Piva, dedito alla produzione di fodere per scarponi da sci e da neve per conto terzi. Il gran salto arrivava quando Gianni Piva – che veniva da esperienze in Dolomite, Munari, Tecnica e San Marco – acquistava il marchio statunitense Northwave, producendo scarponi da snowboard a propria firma. Lanciava la linea di scarpe Espresso, tra le icone degli anni ’90 con la suola Big Boy, ispirata al design della suola originale degli scarponi da snowboard. Entrava poi nel mondo della mtb e acquistava l’italiana Drake Bindings.

• Sidi
Il nome dell’azienda somma le iniziali del fondatore e ciclista amatoriale Dino Signori, che nel 1960 avviava un laboratorio artigianale per la manifattura di calzature sportive da montagna. L’azienda si è specializzata nella produzione di stivali da moto e calzature da ciclismo. Oggi è tra i leader del settore. Indossano scarpe Sidi campioni come Egan Bernal, Richard Carapaz e Gianni Moscon.

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