Se in Italia si segue con attenzione lo sciopero dei treni (regionali e nazionali) e degli aerei, a Los Angeles, sta andando in scena uno dei più grandi scioperi, o addirittura il più grande, nella storia di Hollywood e del cinema. Tutto fermo, tutto bloccato. Gli studios chiusi per la prima volta in 60 anni di storia.
La situazione coinvolge in particolare sceneggiatori e attori, la spina dorsale del cinema. E le ripercussioni saranno diverse: eventi a rischio (dalla Mostra di Venezia al New York Film Festival, passando per gli Emmy), film e serie tv in stand-by e possibili ritardi per quelli previsti nei prossimi mesi, come il tanto atteso Oppenheimer, l’ultima creatura di Christopher Nolan. Un film non citato a caso. E non solo per l’attesa di rivedere Nolan sul grande schermo dopo l’operazione (non così riuscita) di Tenet, ma anche e soprattutto per quanto accaduto ieri sera.
Matt Damon: “Una questione di vita o di morte”
Per rispettare lo sciopero, annunciato proprio ieri dalla Screen Actors Guild – American Federation of Television and Radio Artists (Sag-Aftra, sindacato degli attori), alla quale poi si è unita anche la Writers Guild of America (il sindacato degli sceneggiatori), il cast di Oppenheimer, composto, tra gli altri, da attori del calibro di Cillian Murphy, Florence Pugh, Matt Damon, Emily Blunt e Rami Malek, dopo aver sfilato sul tappeto rosso all’Odeon di Leicester Square all’inizio della serata, ha abbandonato la premiere londinese del film. Una decisione che ha comunicato sul palco lo stesso Nolan.
Damon, intercettato da Variety all’anteprima, ha dichiarato: “Ora che lo sciopero è iniziato, noi ce ne andiamo. Questa battaglia riguarda gli attori che lavorano. Si parla di concedere loro i 26mila dollari di assicurazione sanitaria necessari a chi non può pagarsi tutte le spese da solo. È una questione di vita o di morte. Speriamo di arrivare a un accordo al più presto. Nessuno vuole fermare le produzioni, ma trovare un accordo che sia equo per tutti”.
Christopher Nolan says the cast of #Oppenheimer left the premiere to ‘go and write their pickets’ and join the strike pic.twitter.com/rc2SaSxcfk
— Deadline Hollywood (@DEADLINE) July 13, 2023
Sciopero a Hollywood: cosa è successo
Scattato ufficialmente ieri, lo sciopero a Hollywood è stato indetto dopo che le negoziazioni – durate circa quattro settimane – con l’Alliance of Motion Pictures and Television Producers (Amptp), che rappresenta gli studios di Hollywood e le piattaforme di streaming, hanno portato a un nulla di fatto. Tante le questioni sul tavolo: dal miglioramento delle condizioni lavorative alla richiesta di compensi più alti per le categorie in ballo. Soprattutto in virtù del fatto che il sistema di calcolo dei diritti d’autore dovrebbe essere aggiornato in base alle novità apportate negli ultimi anni dai vari servizi streaming, dato che il concetto di replica – la base del sistema di calcolo dei diritti d’autore – è stato rivoluzionato dalle piattaforme, se non praticamente cancellato.
La paura, però, riguarda anche il futuro e le tecnologie. Una su tutte: l’intelligenza artificiale. Non è un mistero, infatti, che dopo la realizzazione e l’uso di software capaci di ricostruire volti, movimenti e voce degli attori, si sia creato un nuovo modo di fare cinema. Considerato pericoloso dagli stessi attori, sempre più preoccupati di un possibile futuro rimpiazzo. D’altronde, l’Indiana Jones giovane e artificiale è solo l’ultima trovata di questa nuova frontiera cine-tecnologica.
Decise le parole di Fran Drescher, presidente della Sag-Aftra: “Siamo stati resi vittime da questo sistema avido. Sono sconvolta dal modo in cui le persone con cui lavoriamo ci trattano. Dicono di essere poveri, che stanno perdendo un sacco di soldi, quando invece pagano i loro ceo guadagnano centinaia di milioni di dollari. È disgustoso. Si devono vergognare”.
Uno sciopero da 3 miliardi di dollari
Secondo Forbes, lo sciopero potrebbe comportare ricadute economiche per oltre 3 miliardi di dollari, se le varie organizzazioni in gioco non raggiungeranno un accordo a breve. Una stima avvalorata sia da un report pubblicato dal Milken Institute, sia da un articolo del Los Angeles Times, secondo il quale sarà più costoso rispetto allo sciopero del 2007. D’altronde, è evidente che un stop a lungo termine di Hollywood potrebbe comportare tanti altri disagi per Los Angeles e la California in generale. Chi continuerà ad acquistare, ad affittare case e alberghi, se l’attrazione principale della città non riaprirà i battenti?
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