Dario Nardella
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Perché Rinascimento vuol dire coraggio, innovazione, cambiamento. L’intervento di Dario Nardella a Forbes

In occasione della sesta edizione dell’evento Forbes Nuovo Rinascimento, svoltosi al Four Seasons di Firenze, Dario Nardella, sindaco della città, ha portato il suo contributo con l’intervento che di seguito riportiamo.

La parola Rinascimento è un termine carico di significati, di simboli, di implicazioni. E’ una parola molto impegnativa e per questo talvolta abusata in contesti dove non si riesce ad avere la consapevolezza piena del suo significato. Troviamo la parola Rinascimento in slogan comunicativi, progetti, prodotti, libri di ogni genere, ma spesso dimentichiamo le radici concettuali di questa parola.

Cosa sono stati l’Umanesimo e il Rinascimento e come si sono diffusi? Secondo Eugenio Garin, ancora oggi il maggiore studioso di quell’epoca straordinaria, il risveglio culturale che caratterizza il periodo tra XIV e XV secolo, “è innanzitutto una rinnovata affermazione dell’uomo, dei valori umani, nei vari campi: dalle arti alla vita civile”.

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Il Rinascimento, se lo guardiamo attraverso la lente della storia di Firenze, si lega a concetti molto precisi come quelli del coraggio, dell’innovazione, del cambiamento. Prendiamo ad esempio la cupola del Brunelleschi: un’opera magnifica realizzata in 17 anni nella prima metà del ‘400, un’opera impressionante sulla quale ancora oggi si interrogano generazioni di architetti che non riescono a comprendere come un uomo come Brunelleschi sia riuscito a realizzare una struttura così complessa con le tecnologie di 600 anni fa. Eppure la cupola di Brunelleschi è lì a ricordare a milioni di visitatori, turisti e cittadini, il significato profondo del Rinascimento ovvero l’epoca nella quale l’uomo aveva stabilito la sua centralità nell’universo attraverso l’ingegno e la capacità di modificare e rivoluzionare lo status quo.

Per questo, nel rappresentare la mia città declinandola attraverso i valori rinascimentali e del pensiero umanistico, mi capita spesso di dire che Firenze è stata grande quando è stata contemporanea. Il Rinascimento è infatti una sfida costante con la contemporaneità e si misura nella capacità di qualunque generazione di cambiare ciò che la circonda.

Oggi l’Italia più che mai ha bisogno di una classe dirigente capace di osare, capace di cambiare ciò che è sempre stato descritto come immutabile, incontrovertibile, capace di lavorare insieme. L’Italia non ha bisogno di una leadership solitaria e muscolare, ha bisogno semmai di una leadership collettiva che sappia attraversare il mondo delle imprese e quello delle istituzioni, scommettendo sul senso di responsabilità comune e sull’orgoglio di un paese che vuole tornare ad essere grande. Se Filippo Brunelleschi avesse dovuto ascoltare i detrattori del suo tempo, oggi non avremo la cupola. E così nel nostro tempo, se dovessimo ascoltare le tante voci di coloro che ci dicono che le cose non si possono cambiare perché sono sempre andate così, che sono sempre pronti a ricordarci ciò che è impossibile e non ciò che è possibile. Quando parlo del sistema burocratico e legislativo italiano, in modo quasi retorico, domando a chi ho di fronte: “Oggi a Brunelleschi gli farebbero fare la cupola con i vincoli burocratici, i veti delle soprintendenze, i comitati, i contenziosi legali che abbiamo?”

Se finiamo per cadere in questa narrazione collettiva rinunciataria e conservatrice non saremo mai all’altezza dell’Italia del Rinascimento.

Un grande scienziato come Einstein amava dire che “tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno che non lo sa e la realizza”. In questa frase trovo il significato profondo dello spirito rinascimentale. Se vogliamo recuperare i valori fondamentali del pensiero umanistico moderno, che attraverso Firenze e l’Italia si sono propagati in tutto il mondo fino a creare veri e propri modelli culturali e concettuali, dobbiamo riprendere quella capacità di forzare lo status quo, quella grande spinta a innovare processi, stili di vita, modelli produttivi e di consumo. Quella propensione naturale a sperimentare, così come fece il grande Galileo Galilei. E dopo di lui i suoi seguaci, con l’Accademia del Cimento fondata a Firenze nel 1657, il cui motto di origine dantesca “provando e riprovando” è rappresentato nella Tribuna di Galileo al Museo della Specola.

Quel cimento con il quale si misuravano gli uomini rinascimentali. Oggi tocca a noi imprenditori, amministratori della cosa pubblica, intellettuali, dirigenti, cimentarci con il cambiamento, con la novità, aprirci alle grandi sfide con intelligenza invece che richiuderci schiacciati da paure, egoismi e individualismi. Il seminario che si è tenuto a Firenze qualche giorno fa, promosso dal gruppo Kon insieme a Forbes, ha avuto l’intelligenza di utilizzare, con un approccio consapevole e strategico, il concetto di Rinascimento. E’ nel segno di incontri come quello che dobbiamo cominciare a tessere un nuovo patto generazionale per costruire una grande classe dirigente per il paese. Unire memoria e futuro, coniugare i valori e innovazione: questo è sempre stato il destino dell’Italia quando l’Italia ha tracciato la strada dei grandi processi culturali globali.

Questa è la missione che dobbiamo avere la forza e l’orgoglio di recuperare. L’alternativa sarebbe quella di un paese sempre più povero, sempre più piccolo, sempre più velleitario e nostalgicamente legato a una storia celebre di cui rischiamo di non essere più all’altezza.

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