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Ricomincia il Grande Gioco: perché le potenze mondiali guardano sempre di più all’Asia Centrale

Articolo tratto dal numero di settembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

“Chi governa l’Europa orientale comanda la Heartland, chi governa la Heartland comanda la massa euroasiatica, chi governa la massa euroasiatica comanda il mondo”. Così, con enfasi, si esprimeva uno dei padri della geopolitica moderna, Halford Mackinder, sull’importanza di quella che definiva Heartland e che coincide con i paesi dell’Asia Centrale. Oggi quel territorio, esteso per oltre quattro milioni di chilometri quadrati, ma abitato da poco più di 70 milioni di persone, si suddivide in cinque repubbliche: Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan.

La rilevanza di questi stati nello scacchiere geopolitico mondiale, come profetizzato dal geografo britannico, è tornata enorme. Non è un caso se nel 2013 Xi Jinping ha annunciato proprio ad Astana, capitale del Kazakistan, la nascita della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative), o se il suo primo viaggio all’estero, dopo la pandemia, è stato in Kazakistan e Uzbekistan.

Questi paesi, che nell’Ottocento furono protagonisti di quello che Kipling definì “il Grande Gioco” tra i servizi segreti zaristi e quelli britannici, oggi come allora sono centrali per l’economia e la politica estera delle superpotenze globali. Innanzitutto per la loro posizione geografica di passaggio tra Cina e India e l’Occidente, a maggior ragione ora che la Russia viene ostracizzata dai paesi occidentali a causa dell’invasione dell’Ucraina. La ricchezza di materie prime come uranio, gas e petrolio, inoltre, fa gola non solo alla Cina, ma anche a Unione europea e Stati Uniti. Per questo Xi ha organizzato un meeting a maggio a Xian – città simbolica, in quanto da lì partiva la Via della Seta – con i presidenti dei cinque paesi centro-asiatici e ha affermato di voler “rinnovare un’amicizia millenaria e aprire nuove prospettive per il futuro”.

La strategia cinese nell’Asia Centrale

Gli obiettivi della Cina sono chiari: aumentare l’influenza politica ed economica sui cinque stati ex Urss, considerati una via commerciale sicura e affidabile verso l’Ue. È fondamentale, poi, assicurarsi le loro immense risorse naturali. A questo proposito, Xi sta facendo investimenti enormi nelle infrastrutture dei paesi centro-asiatici, come la linea ferroviaria Pechino – Bishkek (capitale del Kirghizistan) – Tashkent (capitale dell’Uzbekistan), che costerà oltre 8 miliardi di dollari, o l’oleodotto da oltre 2.200 chilometri con il Kazakistan.

Le infrastrutture energetiche sono prioritarie nella strategia di Pechino. La Cina importa dal Turkmenistan, quarto paese al mondo per riserve di gas, circa 35 miliardi di metri cubi all’anno, contro i 15 miliardi dalla Russia. Inoltre il Kazakistan, che è il primo produttore al mondo di uranio, ha pianificato un aumento della sua produzione del 50% nei prossimi anni, grazie alla maggiore domanda della Cina, che vuole trasformare le sue centrali a carbone in centrali nucleari.

Come si muovono Ue e Usa

L’Unione europea non è rimasta a guardare. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha indicato il Kazakistan come il maggior partner commerciale nell’area. L’Eni, a giugno 2023, ha siglato un accordo con il presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev per realizzare una centrale elettrica ibrida alimentata a eolico, fotovoltaico e gas. L’azienda tedesca Svevind, invece, ha in cantiere lo sviluppo di un impianto di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili del valore di oltre 20 miliardi di dollari. Dopo il golpe di luglio in Niger, altro paese produttore di uranio, se le forniture nigerine verso la Ue si dovessero interrompere, il Kazakistan diventerebbe un fornitore imprescindibile per il continente.

Gli Stati Uniti avevano compreso già nel 1997 le potenzialità delle repubbliche ex Urss dell’Asia Centrale. Nel documento programmatico Silk Road Strategy Act auspicavano un incremento della presenza nell’area, a discapito dei legami degli stati con Mosca. La guerra in Afghanistan, però, costrinse gli americani a distrarre risorse e uomini, finendo per abbandonare il progetto. Oggi, con la Russia impegnata in Ucraina, anche gli Usa sono tornati in corsa per scalzare Mosca, promuovendo una maggiore cooperazione economica e ponendosi come garanti della sicurezza e integrità territoriale dei paesi. Un ruolo da sempre detenuto dalla Russia, come dimostra l’intervento militare del gennaio 2022 per sedare le rivolte popolari in Kazakistan.

Addio Mosca

Dall’invasione dell’Ucraina, la Russia si è disimpegnata dai paesi dell’Asia Centrale. Per di più, dopo l’aggressione militare a uno stato ex Urss, il Kazakistan teme che Mosca possa attuare in futuro una strategia simile anche nei suoi confronti. Per queste ragioni, dopo anni sotto l’egida russa, le repubbliche centro-asiatiche stanno cercando di svincolarsi dal Cremlino. Da una parte stringendo accordi commerciali sia con l’Ue, sia – soprattutto – con la Cina. Dall’altra tramite alleanze e nuove forniture nell’ambito della difesa, come dimostra l’accordo per l’acquisto di dispositivi militari per oltre 3 miliardi di dollari da Cina e Turchia.

Un altro effetto indesiderato per Putin dell’intervento in Ucraina sarà, perciò, quello di perdere in parte o del tutto la sua storica influenza sui paesi centro-asiatici. Pechino al momento è nettamente in vantaggio su Bruxelles e, vista la strategia della Belt and Road Initiative, non può prescindere da alleanze commerciali con le repubbliche centro-asiatiche. Porsi come alternativa alla Russia dal punto di vista non solo economico, ma anche politico e militare, le permetterà di aprirsi un’autostrada verso l’Europa e assicurerà nuove fondamentali materie prime per la sua economia. L’Ue non potrà lasciare, anche in questa parte del globo, l’iniziativa a Xi. La diversificazione delle forniture energetiche e soprattutto di uranio, fondamentale per la transizione energetica, passerà anche dagli accordi con questi paesi. Il Grande Gioco è appena ricominciato.

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