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Il boom di Bangkok: così la Thailandia cresce con innovazione, infrastrutture e digitale

Nat ha 22 anni e sfoggia su Instagram le foto della sua laurea. Al suo primo tirocinio guadagna l’equivalente di 700 euro al mese, più che sufficienti per pagare l’affitto di un monolocale (150 euro) e finanziare uno stile di vita senza grossi compromessi. “So che arriveranno promozioni, il lavoro non manca”, dice. Viene da una piccola provincia e fa parte della generazione che sta vivendo la crescita economica di Bangkok. Si è laureata alla Kasetsart University, una delle 37 università della capitale thailandese, 14 milioni di abitanti nell’agglomerato urbano, cioè oltre il 20% della popolazione del Paese.

Secondo il Fondo monetario internazionale, il Pil della Thailandia crescerà del 38% nei prossimi cinque anni. Il Pil pro capite passerà dagli attuali 22.675 dollari a 29.131 nel 2028 (+28%). Grazie a infrastrutture, crescita economica e costo della vita basso, conseguenza di un mix di politiche che hanno integrato protezionismo, libero mercato, spesa pubblica e tassazione basse, la città attrae aziende, investimenti e lavoratori da tutto il mondo. Inclusa l’Italia. 

Tra libero mercato e protezionismo 

La politica economica thailandese è un’alchimia tra libero mercato e protezionismo. Al contrario di Hong Kong e Singapore, il Paese ha posto limiti piuttosto stringenti agli investimenti degli stranieri, che possono detenere al massimo il 49% di una società (a eccezione del settore tecnologico e industriale). Le società thailandesi, sempre a eccezione del settore tecnologico, possono assumere al massimo il 20% di stranieri. Questa impostazione ha generato vantaggi, in particolare nel campo dei prezzi, ma anche qualche limite, come la difficoltà nel reperire personale (la disoccupazione è inferiore all’1%).

Oggi la Thailandia, guidata dal primo ministro Srettha Thavisin, fondatore della Sansiri, una delle più grosse società immobiliari del Paese (circa 2 miliardi di dollari di capitalizzazione), si trova di fronte a una nuova fase politica e finanziaria, in cui l’obiettivo è sempre una crescita ‘armoniosa’.  

Progetti immobiliari e infrastrutture 

Il settore immobiliare è popolato da società quotate in borsa che promuovono progetti ad alto valore finanziario, come il Bangkok One, un programma da 4 miliardi di dollari che prevede di realizzare dieci grattacieli, zone commerciali con oltre 400 negozi e una struttura per concerti. Nella zona sud-est sorgerà il Bangkok Mall, il più grande centro commerciale del Sudest Asiatico, mentre nel quartiere centrale di Phrom Pong sarà presto inaugurato l’Emsphere, zona ibrida commerciale-residenziale da 650mila metri quadrati, con ristoranti, uffici e il primo Ikea urbano del Paese (uno dei pochi punti vendita Ikea urbani del mondo).

A livello infrastrutturale, il sistema di trasporto pubblico metropolitano, che oggi serve 162 stazioni con nove linee tra sotterranee e sopraelevate, si allargherà a oltre 300 stazioni con 15 linee, oltre a treni ad alta velocità che collegano le principali località del Paese. 

Da Pechino a Bangkok

Dopo la pandemia, l’ecosistema thailandese ha ripreso dinamicità. È sempre meno legata all’agricoltura (8% del Pil) e sempre di più a servizi (57%) e industria (35%). Le produzioni tecnologiche avanzate rappresentano l’obiettivo principale del Paese, che ha sviluppato piani per attrarre produzioni all’avanguardia, per esempio nel campo dei veicoli elettrici e della chimica.

“Un elemento rilevante dell’attuale panorama economico sono gli investimenti nell’area Eastern Economic Corridor, che gode di benefici fiscali e organizzativi, in particolare in settori come l’automazione, la logistica, l’industria biochimica e digitale”, dice Federico Cardini, presidente della Camera di commercio italo-thailandese. “Molte aziende stanno considerando il riposizionamento dalla Cina verso i paesi del Sudest asiatico, e per il quarto trimestre del 2023 sono previste diverse inaugurazioni di fabbriche di aziende italiane in Thailandia. Spiccano nomi come Vittoria Tyres ed EssilorLuxottica. In un secondo momento arriverà anche l’espansione di Ducati Thailandia”.

A raccontare le opportunità di business tra i paesi è Lorenzo Tavazzi, partner e head of global intelligence and scenarios di The European House – Ambrosetti, che dal 2017 organizza l’evento High Level Dialogue on Asean Italy Economic Relations, che quest’anno si terrà a Bangkok. “Nel 2022 l’interscambio commerciale tra i due paesi è aumentato del 25,7%, superando i 4 miliardi di euro. Sempre lo scorso anno gli investimenti diretti dall’Italia alla Thailandia sono saliti del 60%, raggiungendo i 70 milioni, mentre gli investimenti diretti dalla Thailandia all’Italia sono aumentati del 200%.

In prospettiva, una crescita può venire da settori tradizionali come i macchinari e la moda, i principali prodotti esportati in Thailandia dall’Italia, ma notevoli opportunità possono venire anche dai settori del futuro, su cui la Thailandia sta investendo molto e l’Italia detiene tecnologie e competenze di eccellenza. Penso alle catene di valore industriali verdi, dall’energia all’ingegneria, ma anche all’aerospazio, al biotech e al pharma, o alla mobilità avanzata e connessa”

Startup e conglomerati

L’ecosistema delle startup è sostenuto da politiche di istruzione orientate all’innovazione (come corsi di programmazione e partnership tra scuole superiori, università e aziende). Poi ci sono progetti infrastrutturali come il True Digital Park, parco scientifico di oltre 230mila metri quadrati con startup, laboratori e spazi di coworking, e il Cloud 11, una nuova città dei creator (entrambi sono nel quartiere di Punnawithi).

I grandi conglomerati del Paese, poi, forniscono capitali e competenze. Un esempio è quello di Amity, piattaforma b2b di servizi tech e comunicazione interna con 10 milioni di utenti e una crescita che raddoppia ogni anno. Amity è stata fondata dall’Italiana Francesca Gargaglia e dai thailandesi Touchapon Kraisingkorn e Korawad Chearavanont, nipote di Dhanin Chearavanont, presidente della Charoen Pokphand Group, conglomerato multi-industry con 450mila dipendenti e ricavi per 65 miliardi di dollari.

“Abbiamo da poco annunciato uno spin-off che vende soluzioni di intelligenza artificiale e che si quoterà sul mercato thailandese il prossimo anno”, racconta Gargaglia. “Per la parte globale del business puntiamo al Nasdaq. A Bangkok ho trovato un grande desiderio di innovazione, una cultura del fare e l’accesso a tanto talento a prezzi molto più competitivi rispetto all’Occidente. Dal punto di vista umano, invece, ho trovato un popolo gentile e accogliente”.

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Italiani a Bangkok

La collaborazione tra startup e grandi aziende è una costante nell’ecosistema di Bangkok. Il milanese Riccardo Petrantoni ha fondato Instants, piattaforma di digital e influencer marketing che ha lavorato per brand come Coca-Cola e Mcdonald’s. Andrea Gallucci, dopo una carriera nell’It in Italia, ha creato Digithai, software house che opera con le Nazioni unite, con banche e con organizzazioni internazionali. 

Anche il settore industriale cresce, grazie ai vantaggi della Zona economica speciale. Aldo Quaratino guida Matrix Polimers, fornitore di materie prime per l’industria dello stampaggio rotazionale. All’inizio di quest’anno ha aperto il suo sesto impianto di compounding e macinazione a Rayong, in Thailandia, con un investimento di 6 milioni di dollari. “L’apertura del secondo impianto in Asia, con 6.740 metri quadrati di strutture all’avanguardia, è utile per servire il Sud-est asiatico”, spiega Quaratino, direttore tecnico del gruppo. “A partire dal 2027, l’impianto di compounding e macinazione fornirà oltre 40mila MT”.

Thailandia e Italia si somigliano per l’importanza che assume la cultura del cibo. A Bangkok mangiare fuori casa è un’abitudine consolidata, dallo street food all’alta cucina. Otto anni fa Francesco Lenzi ha aperto Lenzi, ristorante di fine dining con 53 dipendenti, a cui si sono poi aggiunti Nonna Nella e Casa Lenzi. I dipendenti totali sono circa 140. “A Bangkok si vive bene e, se si è professionali, si riescono a promuovere grandi progetti”, dice. “Rispetto a otto anni fa, aprire un locale oggi costa tre volte tanto”. Ma anche questo è conseguenza della crescita economica.

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