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“La Cina continua a preferire il made in Italy. Ma le aziende italiane devono puntare su ricerca e innovazione”

Considerato l’orientamento del Governo sullo stop all’accordo sulla Via della Seta, quello tra Italia e Cina è sicuramente un rapporto che va “maneggiato con cura”. In questo scenario, da giugno 2022 si inserisce l’associazione Italy China Council Foundation- ICCF, nata dall’integrazione della Fondazione Italia Cina (costituita nel 2003) e della Camera di Commercio Italo-Cinese (fondata nel 1970).

L’ente senza scopo di lucro comprende aziende e privati italiani e cinesi, e con i suoi 400 soci e partner che vantano un fatturato collettivo di oltre 70 miliardi di euro, è la più importante organizzazione di questo tipo in Italia e tra le principali in Europa. Grazie al suo network, l’ICCF si dedica allo sviluppo delle relazioni tra Europa e Asia, e in primo luogo tra Italia e Cina.

Alcuni dati sugli scambi tra Italia e Cina

Per fotografare l’attuale rapporto tra i due Paesi, bisogna fare una premessa: il consumatore cinese continua a essere un amante dei prodotti Made in Italy.

Come risulta da alcuni dati diffusi da Italy China Council Foundation, nonostante la pandemia abbia portato a un cambiamento degli equilibri nel panorama economico mondiale, nel 2022 il valore dell’interscambio complessivo tra i due territori ha raggiunto, secondo i dati Istat, i 73,9 miliardi di euro, in crescita del 36,3% su base annua, di cui 57,5 miliardi (+49%) di importazioni dalla Cina in Italia e 16,4 miliardi di esportazioni italiane in Cina (+0,5%).

Malgrado l’aumento del deficit commerciale nei confronti del Paese del dragone, quindi, l’Italia resta un buon mercato con cui fare affari.

Nel settore fashion si prediligono qualità e sostenibilità

Per quanto riguarda il settore del fashion, poi, i consumatori cinesi risultano essere particolarmente sensibili alle tendenze nate all’interno dei confini nazionali. Tuttavia, rispetto al passato, per i consumatori di fascia alta si evidenzia una predilezione per prodotti di qualità, dal design ricercato e sostenibili. Per questo l’Italia conferma il proprio ruolo di leader nel segmento tessile-moda, evidenziando come l’originalità e l’innovazione della manifattura vengano riconosciute e apprezzate.

Nel 2022 infatti le esportazioni italiane di prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori verso la Cina hanno raggiunto il valore di 3,5 miliardi di euro, mentre secondo i dati Istat tra gennaio e maggio di quest’anno hanno toccato quasi 1,5 miliardi di euro (+18% su base annua). In particolare, nei primi cinque mesi dell’anno l’export delle calzature ha messo a segno un +42% e quello di articoli da viaggio, borse, pelletteria e selleria un +32%.

Italy China Economic and Cooperation Council: un nuovo meccanismo di supporto

Per mantenere e fortificare le relazioni tra i due Paesi, l’Italy China Council Foundation ha proposto la creazione dell’Italy China Economic and Cooperation Council, un meccanismo di supporto e di confronto in grado di promuovere e sostenere i rapporti commerciali bilaterali tra Italia e Cina, fornendo occasioni di incontri periodici tra imprenditori, imprese e rappresentanti dei governi e delle istituzioni. Abbiamo chiesto a Mario Boselli, presidente di Iccf e presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana, di fare un bilancio degli attuali rapporti commerciali con la Cina.

Ci vuole raccontare cosa la lega personalmente alla Via della Seta?

La mia personale storia con la Via della Seta inizia nella metà del ‘500, quando la mia famiglia ha iniziato a produrre seta con il procedimento della trattura a Garbagnate Monastero, nel lecchese. Questa produzione è andata avanti sino al 1948 e da bambino ho potuto ammirare il processo con cui il preziosissimo filo veniva estratto dal bozzolo del baco. Dopo quella data, la trattura non è stata più realizzata in Italia perché è diventato antieconomico produrla con i nostri costi e si è preferito importare il filo grezzo, così ho dovuto aspettare ben 30 anni prima di rivedere questo magico processo. La prima volta fu nel 1978, quando ho fatto il mio primo viaggio in Cina, e poi ancora nel 1984, quando ho trascorso un lungo periodo nel Paese. Da allora, il mio percorso lungo la Via della Seta non si è mai interrotto. In oltre 40 anni ho percorso la rotta di Marco Polo più di un centinaio di volte, portando con me a ogni rientro nuove conoscenze, amicizie ed esperienze. Sono convinto che tutto questo, al di là delle decisioni che verranno prese a livello geopolitico, sia destinato a durare nel tempo. L’antica rete di rotte commerciali si è trasformata in rapporti economici e commerciali, ma anche culturali e scientifici, e questo dialogo andrà avanti a lungo con una collaborazione che tocca numerosi campi, dalle infrastrutture agli investimenti, dal turismo, alla ricerca e all’innovazione.

In una recente intervista lei ha detto che, attualmente, un terzo del pil mondiale viene dalla Cina, e che quest’ultima nel 2030 sorpasserà gli Stati Uniti. È dello stesso avviso?

Sono fondamentalmente un ottimista di natura, ma questo non vuol dire che non veda le difficoltà. Dalla nascita della Repubblica Popolare a oggi non sono passati neanche 75 anni eppure la Cina è riuscita a elevarsi da Paese agricolo e manifatturiero a una delle prime potenze economiche al mondo, con un livello di sviluppo senza precedenti. La sua ascesa non si ferma nonostante gli innumerevoli ostacoli messi in mezzo al percorso dalla pandemia, dalla guerra e dalla crisi economica. Se guardiamo alla dimensione e la dinamicità della popolazione cinese, la diversificazione e l’innovazione del settore produttivo, l’espansione del mercato interno e il suo ruolo crescente nel commercio e nella cooperazione internazionale, la Cina ha tutte le carte in regola per superare gli Stati Uniti. C’è anche questo tra i fattori di tensione che stanno mettendo in crisi l’equilibrio geopolitico mondiale. I rischi e le sfide non mancano: oltre alle tensioni esterne di cui accennavo, ci sono le diseguaglianze interne, i problemi ambientali, la gestione del Paese da parte del Partito. In base a questi scenari, la Cina potrà o no superare l’avversario a stelle e strisce. Ma che questo succeda o meno, sono certo che nel giro di pochi anni la Cina sarà diventata una potenza globale. Quello che le auguro è che questo succeda perché ha raggiunto gli obiettivi che contano, dallo sviluppo sostenibile all’innovazione tecnologica, dall’armonia territoriale a quella internazionale.

Come funziona l’Italy China Economic and Cooperation Council?

Da qualche anno ICCF realizza un sondaggio tra gli imprenditori italiani e cinesi che ci permette di scattare una fotografia il più possibile completa dell’interscambio economico tra Italia e Cina. Sulla base dei risultati di questi studi e considerando il diverso ruolo che giocherà l’Italia nella Belt and Road Initiative (iniziativa strategica della Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell’Eurasia, ndr), negli ultimi mesi ci siamo impegnati per presentare alle istituzioni di entrambi i Paesi l’Italy China Economic and Cooperation Council. Si tratta di un meccanismo permanente pensato per garantire un flusso di informazioni oggettivo e completo, che possa fornire occasioni di incontri periodici tra imprenditori, imprese e rappresentanti dei governi e delle istituzioni. Siamo certi che l’iniziativa, con l’avallo delle autorità, raccoglierebbe ampi consensi e potrebbe rappresentare uno strumento concreto ed efficace per dirimere eventuali problematiche, suggerire nuove modalità di collaborazione e incrementare i rapporti bilaterali.

In che modo, per il futuro, un’intesa più salda tra Italia e Cina potrà dare una spinta alle nostre pmi sul territorio?

Le pmi sono il vero tessuto produttivo del nostro Paese e certo quelle che hanno più bisogno di supporto quando si parla di internazionalizzazione. Per loro, come anche per le grandi aziende che sono già sul territorio, portiamo avanti i nostri programmi di formazione e informazione, affinché tutti siano pronti ad affrontare le sfide che sul medio-lungo periodo la Cina richiede. Serve però anche una maggiore integrazione economica e commerciale, basata sulla complementarità e sulla reciprocità. Italia e Cina hanno un forte potenziale di scambio e di investimento, soprattutto nei settori dell’innovazione, dell’industria 4.0, dell’agroalimentare, della moda, del turismo. Questi settori sono proprio quelli in cui le nostre pmi eccellono e possono offrire prodotti e servizi di qualità e competitività. Per sfruttare questo potenziale, occorre rimuovere gli ostacoli e le barriere che ancora limitano l’accesso ai rispettivi mercati e garantire condizioni di parità e di trasparenza.

Qual è invece la situazione per le imprese italiane che vogliono entrare in Cina in questo momento? 

La Cina è un mercato dinamico, ma anche molto competitivo e regolamentato. Le imprese italiane devono affrontare diverse barriere di ingresso come le normative tecniche, le licenze, le tariffe doganali, la protezione della proprietà intellettuale e la concorrenza sleale. Per adeguarsi alle sue sfide e opportunità, le aziende italiane che vogliono entrare in questa realtà non devono solo essere formate e informate sul contesto locale ma devono anche avere una strategia chiara insieme a una buona capacità di innovare e di differenziarsi dai concorrenti.

L’Italia dovrebbe cambiare qualcosa nel suo approccio?

Credo che l’Italia debba modificare il suo approccio a questo Paese, che è un partner strategico ma anche un “rivale” in alcuni settori, perciò serve un equilibrio tra cooperazione e competizione, salvaguardando gli interessi nazionali e le norme internazionali. A livello nazionale ci serve una strategia più coerente e a lungo termine, basata su una visione chiara degli interessi nazionali ed europei. L’Italia dovrebbe essere la porta d’Europa per la Cina, e per questo dovrebbe rafforzare la collaborazione con gli altri Paesi comunitari, così da affrontare insieme le sfide e le opportunità che la Cina rappresenta. Bisogna lavorare soprattutto per promuovere il dialogo e gestire le divergenze in modo costruttivo.

Il consumatore medio cinese vede ancora la stessa desiderabilità nei prodotti made in Italy?

Il Made in Italy è da sempre sinonimo di qualità, eleganza e innovazione nel mondo della moda, del design e dell’agroalimentare. Lo possiamo declinare con le tre effe – fashion, food, furniture – ed è tuttora molto ammirato dai cinesi che amano i nostri prodotti e il nostro stile di vita. Uno dei fattori più rilevanti è la percezione del valore aggiunto che ha il prodotto italiano, legato alla storia, alla tradizione, alla cultura, all’artigianalità, alla sostenibilità o alla personalizzazione. Il consumatore cinese è sempre più attento alla qualità, all’originalità e al significato di ciò che acquista, e non si lascia più attrarre solo dal prezzo o dal marchio. Ma ci sono molte sfide che le aziende italiane devono intraprendere per avere successo in questo senso: lavorare sulla comunicazione digitale dei loro prodotti, ad esempio, adattarsi alle esigenze e ai gusti del consumatore cinese, nonché ai cambiamenti di un mercato complesso. E soprattutto, puntare su ricerca e innovazione per mantenere il nostro vantaggio competitivo e la nostra reputazione.

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