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Come il Fondo Salvaguardia Imprese Invitalia salva le imprese in difficoltà

Articolo apparso sul numero di ottobre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Programmi di ristrutturazione, trasferimenti d’impresa, partecipazioni, staff di esperti per soccorrere le aziende italiane in difficoltà e salvaguardare i livelli occupazionali. Con una strada maestra da percorrere legata agli Esg, quindi ai processi di sostenibilità economica e sociale. Ecco la missione del Fondo Salvaguardia Imprese Invitalia e del suo responsabile, Paolo Alberto De Angelis.

Il fondo ha l’obiettivo di salvare le imprese in difficoltà e le persone che ci lavorano. Come è nato?

È stato istituito in pieno Covid per fornire un sostegno concreto. È il primo strumento esplicitamente pensato e applicato a favore delle imprese in difficoltà economico-finanziarie.

Parliamo di aziende di tutti i settori?

Hanno accesso tre categorie di imprese: marchi storici – attivi da più di 50 anni – con più di 20 dipendenti; grandi imprese con più di 250 dipendenti; aziende strategiche del made in Italy. Il concetto di ‘aziende strategiche’ è vasto, però è utile per far rientrare aziende con meno di 250 dipendenti che si occupano di aspetti molto delicati del sistema, di infrastrutture o tecnologie critiche, per esempio legate alla sicurezza, alle informazioni sensibili o alla cybersecurity.

Come scegliete le aziende che meritano il vostro intervento?

Dopo un primo controllo di coerenza, c’è un affiancamento temporaneo all’impresa in difficoltà attraverso equity – quindi senza problemi di restituzione – con l’impegno a uscire dopo cinque anni. Pensiamo che sia un lasso di tempo sufficiente per consentire all’impresa di tornare a camminare con le proprie gambe. Lavoriamo insieme al rilancio e al consolidamento, poi lasciamo l’azienda al mercato, ma con più forza e competenze.

C’è particolare attenzione per le imprese del Sud?

Non ci sono attenzioni particolari, le aziende del Sud sono al pari delle altre. Finora, su 15 interventi, solo uno ha riguardato un’impresa del Mezzogiorno. Le aziende che abbiamo selezionato sono entrate in crisi perché troppo piccole per competere nel mercato internazionale, per le difficoltà legate allo stop da Covid o per le restrizioni dovute alla guerra in Ucraina, con conseguenti criticità nel campo delle materie prime e dell’energia. La nostra filosofia è rivitalizzare e supportare la crescita delle filiere produttive, anche a difesa del nostro patrimonio. Nei settori tipici del made in Italy, per esempio, registriamo acquisizioni dirette e aggressive da parte dei grandi marchi, soprattutto francesi, di produttori di scarpe, cuoio, tessuti particolari. Perdiamo valore e valori di mercato. È necessario mettere in sicurezza al più presto la nostra catena produttiva.

Parliamo solo di aziende italiane con sede in Italia?

Assolutamente sì. Intendiamo dare ossigeno al tessuto imprenditoriale italiano, ma non solo: vogliamo andare oltre, e tentare di riportare a casa fasi di lavorazione che sono state trasferite in altri paesi per svariati motivi.

È un momento di grande sensibilità sui temi green. I criteri Esg, diventati strategici per le imprese, sono tenuti in considerazione nel valutare gli interventi?

Riteniamo siano uno dei fattori di successo, un cammino da seguire con rigore nelle ristrutturazioni e nei rilanci, insito nella genesi del nostro fondo. Un esempio su tutti: un laminatoio d’alluminio in zona Porto Marghera da settembre produrrà solo alluminio primario utilizzando energia rinnovabile. Interveniamo con decisione per suggerire processi e prodotti coerenti con la filiera sostenibile e i dettami esg. Ma troviamo terreno fertile. Anche gli imprenditori sono dalla nostra parte.

Vi siete fatti un’idea dei motivi principali della crisi di queste imprese?

Spesso la causa è da cercare nel passaggio generazionale. In Italia è un fenomeno frequente: non sempre gli eredi sono all’altezza dei genitori. C’è una forte esigenza di amministratori, di manager che abbiano capacità organizzative. Serve una struttura produttiva in grado di presidiare i fattori strategici, ad esempio gli Esg o la transizione digitale. I mercati sono complessi e vanno affrontati con strutture e competenze adeguate.

La transizione impone di lavorare sul capitale umano in maniera diversa, sia nelle competenze che nei processi legati all’occupabilità?

Le aziende in difficoltà vengono sistematicamente ‘saccheggiate’ da questo punto di vista ed entrano in spirali negative, perché spogliate del personale qualificato. I percorsi formativi non sembrano in grado di fornire le competenze adeguate a colmare questi improvvisi vuoti. Molte aziende a cui ci avviciniamo vengono frenate nel rilancio proprio perché ‘rapinate’ delle professionalità migliori: succede nel comasco per il tessile o in Emilia per la meccanica. Dobbiamo reagire e investire: noi siamo in pista.

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