Articolo di Lavinia Desi tratto dal numero di ottobre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
Il campo di atletica Calvesi di Brescia, dove Sara Simeoni stabilì il record mondiale di salto in alto nel ’78, è stato sotto sequestro per quasi dieci anni. Era il 2013 quando la procura di Brescia mise i sigilli al campo, anche detto Morosini, a causa dell’inquinamento da Pcb (policlorobifenile, composti organici a base di cloro) prodotto dalla Caffaro, azienda chimica industriale. Le sostanze chimiche tossiche hanno contaminato i terreni sottostanti lo stabilimento dell’azienda, diffondendosi attraverso lo scarico delle acque delle rogge e arrivando a compromettere molti alimenti.
Il Pcb iniziò a essere prodotto negli anni ’20 negli Stati Uniti. In Italia, a Brescia, arrivò intorno agli anni ’30. Si tratta di una sostanza particolarmente idonea a fare da fluido isolante nelle apparecchiature elettriche. Nel 1944 emersero i primi sospetti di cangerogenicità. Nel 1972 il Giappone ne vietò la produzione. Solo nel 1984 l’Italia ha detto addio ai clorobifenili. E ancora oggi l’ex area industriale Caffaro è isolata a causa dell’inquinamento da Pcb e del rischio di diffusione in falda.
La sostanza tossica si concentra nel suolo. Il suo vettore preferito è l’acqua e si diffonde attraverso fiumi e correnti marine. È possibile trovarla anche nell’olio minerale, perché è presente in molti trasformatori. “Sono passati molti anni e ancora ci capita di trovare il Pcb nell’olio lubrificante esausto, tirato via da un vecchio trasformatore”, spiega Riccardo Piunti, presidente del Conou (consorzio nazionale degli oli minerali usati), prima agenzia ambientale italiana per la gestione dell’olio minerale esausto.
Quanto spesso rilevate Pcb nell’olio minerale esausto?
Nel solo 2023 abbiamo raccolto circa 300 tonnellate di olio a forte contenuto di Pcb, trovate in vecchi trasformatori. La soglia massima ammessa è di 25-50 parti per milione. Negli anni il consorzio si è attrezzato per rilevarlo tempestivamente e cercare di scongiurarne la miscelazione, ovvero per evitare che un carico di olio Pcb ne inquini altri dieci di olio usato ‘sano’.
Come smaltite l’olio contaminato?
L’olio contaminato non viene rigenerato, né utilizzato come combustibile, ma termodistrutto in appositi inceneritori, non mirati al recupero del calore ottenuto, ma alla distruzione delle molecole. Questi sono in grado di impedire l’emissione di composti clorurati cancerogeni in atmosfera. In fondo, la storia si ripete, circa 40 anni dopo, con i Pfas (molecole a base di fluoro), ampiamente utilizzati nel packaging, negli indumenti, nelle pentole antiaderenti. Anche per loro i primi segnali di pericolo risalgono già agli anni ’70-‘80 e soltanto oggi in Europa si discute, finalmente, di come e quando bandirli e come distruggerli.
Possiamo approfondire la questione dei trasformatori?
Tuttora vecchie apparecchiature elettriche come trasformatori e sezionatori possono contenere Pcb (spesso sono i piccoli trasformatori alla sommità dei pali elettrici in campagna). A volte, invece di inviarlo a smaltimento oneroso, il produttore del rifiuto lo miscela con altro olio minerale usato, per farlo poi raccogliere e smaltire dal Conou.
Quanto olio raccolto riuscite a rigenerare? E quanto, invece, è destinato a combustione o a termodistruzione?
La filiera Conou gestisce in Italia la raccolta dell’olio minerale esausto che, grazie alla rigenerazione, torna a fare il lavoro di lubrificante, con caratteristiche equivalenti a quelle del prodotto da cui deriva. In 39 anni di attività, la quasi totalità dell’olio raccolto dal Conou è stato avviato alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti. Solo il 2% è stato destinato a combustione in appositi impianti, mentre solo una frazione molto piccola, in quanto inquinata, è stata termodistrutta.
Come avviene la raccolta dell’olio lubrificante esausto?
L’attività di raccolta è molto legata al territorio. Abbiamo infatti 60 imprese che presidiano diverse aree e si occupano di prelevare l’olio esausto da più di 100mila posti diversi, soprattutto dalle fabbriche e dalle officine di meccanica. Raccogliamo l’olio dal produttore di rifiuto e poi il nostro raccoglitore si attiva per gestire la qualità dell’olio, in modo da individuare eventuali partite inquinate e isolarle. Lavorando in questo modo, la quasi totalità dell’olio (circa il 98%) può essere rigenerato, mentre l’1-2% di cattiva qualità viene usato per combustibili”.
Come avviene la rigenerazione?
L’olio lubrificante idoneo alla rigenerazione viene trattato in una delle tre raffinerie presenti in Italia. Il prodotto, dopo una lunga vita da lubrificante in cui è stato corrotto, viene trattato in modo tale che possa tornare a fare il suo lavoro di lubrificante. Il trattamento viene fatto con l’idrogeno ad alta pressione, che elimina e sostituisce le parti inquinate. Il 70% circa dell’olio rigenerato ritorna dunque a svolgere il lavoro di olio. La parte restante viene utilizzata come bitume o come gasolio.
E qual è l’impatto del riciclo di olio usato sull’economia?
Il riciclo di olio esausto nel 2022 ha generato un risparmio di circa 130 milioni sulle importazioni di petrolio. In circa 40 anni di attività, il Conou ha raccolto 6,7 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, 6 milioni delle quali avviate alla rigenerazione, che ha prodotto 3,5 milioni di tonnellate di olio base. Questo ha consentito un risparmio complessivo sulle importazioni di greggio in Italia di circa 3 miliardi di euro. La riflessione sul cambiamento climatico e sulla riduzione della CO2 è importante. L’alternativa sarebbe andare in Arabia Saudita o in Russia, estrarre il petrolio consumando ingenti quantità di acqua, caricarlo su una nave e portarlo in Italia, dove avviene la raffinazione. Questo sarebbe molto dispendioso per l’economia, oltre che dannoso per l’ambiente. Inoltre, se l’olio non venisse riciclato, in quanto rifiuto pericoloso, bisognerebbe trovare un modo per smaltirlo.
Secondo il vostro rapporto di sostenibilità, in Italia nel 2022 oltre il 98% delle 181mila tonnellate di olio raccolte sono state rigenerate. In Europa, invece, solo il 61%. Perché?
Il modello consortile italiano è un’eccellenza. La nostra è un’attività economica indirizzata all’ambiente, senza fini di lucro. La comunità europea stabilisce che prima di qualsiasi altro uso l’olio usato deve essere, se può, rigenerato. Per garantire questa priorità in Italia c’è il Conou, che raccoglie e analizza tutto l’olio usato e porta quello rigenerabile in raffineria. Nel resto d’Europa, non essendoci un organismo che controlli che l’attività di raccolta avvenga secondo gli obiettivi ambientali, questo non accade. 04
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .