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Formazione universitaria vecchia, burocrazia, pochi investimenti: perchè i lavoratori autonomi in Italia sono sempre meno

Secondo l’ultimo rapporto di Confprofessioni (Confederazione italiana libere professioni) in Italia ci sono un milione e 402mila lavoratori autonomi. Un numero che rappresenta il 28,5% della forza lavoro indipendente del Paese. Le stime per il futuro, però, non sono molto confortanti. I giovani infatti non sono più attratti dalla libera professione: stando agli ultimi dati censiti da Confprofessioni e Adepp (l’Associazione degli enti previdenziali privati), tra gli under 40 si registra un ritmo di cancellazione dalle casse previdenziali del 2% e nel 2021 i neolaureati orientati al lavoro autonomo sono calati del 7,2% rispetto all’anno precedente.

“Il mondo professionale non è più appetibile come qualche anno fa”, spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni. Dopo una carriera dedita alla causa del lavoro autonomo, Stella è anche vicepresidente dell’Unione mondiale delle professioni liberali e presidente del board executive del Conseil Européen Professions Libérales, oltre che componente del Cnel. “I professionisti fanno crescere il sistema Paese, perchè assistono i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione. Negli ultimi dieci anni in Italia abbiamo avuto una crescita esponenziale di lavoratori autonomi, siamo il Paese che ha il maggior numero di professionisti in rapporto agli abitanti”. Forse troppi? “Chiaramente questa proliferazione ha impedito un’ulteriore crescita, ma le previsioni per il futuro sono allarmanti. Solo il 28% dei laureati vuole diventare professionista, percentuale che è destinata a calare ancora. Una volta la libera professione era lo sbocco naturale: i ragazzi si laureavano, per esempio, in giurisprudenza o in economia e commercio e andavano a fare gli avvocati o i commercialisti. Ora non è più così automatico”.

Professioni a rischio

Un calo della ‘vocazione’ che forse aiuterà a “snellire” qualche settore (secondo lo Eu Justice Scoreboard 2023 siamo il quarto paese dell’Unione Europea per numero di avvocati in rapporto alla popolazione, dietro solo a Lussemburgo, Cipro e Grecia), ma che rischia di metterne in crisi altri: basti pensare alla carenza di medici che si è registrata durante la fase più dura della pandemia.

La formazione universitaria

Per Stella il problema alla base risiede nella formazione universitaria. “Non risponde più alle esigenze di mercato. Negli ultimi anni si sono sviluppati temi nuovi, come il digitale e la sostenibilità, su cui i giovani hanno grande sensibilità ma che ancora non sono entrati nei paradigmi universitari. E poi c’è troppo poco contatto con il mondo del lavoro: un ragazzo dopo la laurea non comincia a esercitare subito. Una volta c’era uno sbocco naturale, adesso invece la gente deve fare i conti con ciò che le permette di vivere il più dignitosamente possibile in tempi rapidi. In questo contesto bisogna considerare anche che le normative sono diverse rispetto a un tempo, soprattutto in ambito fiscale”.

La burocrazia

E qui entra in gioco la burocrazia. “Si parla sempre di semplificazione, ma in Italia non si riesce mai a realizzarla. Paradossalmente, non avremmo bisogno di più norme utili a inserire i professionisti nel mondo del lavoro, ma ce ne vorrebbero meno. Recentemente abbiamo avuto un incontro con il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, che ci ha chiesto una mano per il processo di semplificazione. Ma la Pa ha a che fare con tanti ministeri: quello dell’economia, quello dei trasporti, della salute, delle attività produttive… Quindi noi dovremmo interfacciarci con tutti. È impossibile”.

Le battaglie di Confprofessioni

Una delle battaglie che Stella sta combattendo da anni è quella per l’accesso agli incentivi e l’equiparazione tra imprese e lavoratori autonomi. “Nel 2006 la Commissione europea ha sentenziato che il professionista esercita un’attività economica alla pari delle piccole e medie imprese. Spesso i lavoratori autonomi hanno dipendenti e devono fare investimenti per portare avanti la propria attività, come l’acquisto di computer, programmi, attrezzature. Non si capisce per quale motivo sia avvenuta una frattura: il mondo delle imprese da una parte, quello professionale dall’altra”. L’emendamento presentato dalla Lega al ddl incentivi, sostenuto dal sottosegretario al ministero delle Imprese e del made in Italy Massimo Bitonci, sembrava aver chiuso la questione. “Ma alla fine hanno aggiunto che i professionisti hanno il nulla osta per accedere agli incentivi ‘ove previsto’. Due parole che rispediscono i lavoratori autonomi al punto di partenza”.

Un’altra battaglia portata avanti da Confprofessioni è quella relativa all’assistenza sanitaria integrativa. “Il libero professionista non può farla per problemi di bilancio dello Stato, perché una misura di questo tipo significherebbe consentire una detrazione fiscale, che quindi crea un problema di sostenibilità economica”.

Differenze tra Italia ed Paesi esteri

Facendo parte anche di organismi europei e internazionali, Stella ha ben chiare le differenze più evidenti tra Italia ed estero: “Prima di tutto, negli altri paesi i lavoratori autonomi sono molti meno rispetto ai nostri. Ma sono considerati alla stregua delle piccole e medie imprese. Comunque non siamo gli unici ad avere criticità: all’estero, per esempio, non hanno i contratti collettivi, che sono una peculiarità italiana. Grazie alla Cassa di assistenza sanitaria, poi, riusciamo a garantire anche prestazioni di welfare come pacchetto famiglia, asili nido, rimborsi spese e libri di testo, anche se in questo campo c’è ancora tanto per cui lottare”.
Per esempio, il rimborso totale della maternità e maggiori tutele per chi esercita una libera professione non soggetta ad albo professionale. “La soluzione è solo una: che lo Stato creda e investa di più nel mondo professionale”.

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