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Chi è Giovanna Iannantuoni, la prima donna alla guida dell’Assemblea dei rettori

In 60 anni di attività è la prima volta che la Crui, l’Assemblea dei rettori, sceglie di essere guidata da una donna. La scelta è caduta su Giovanna Iannantuoni, 53 anni, rettrice dell’Università di Milano Bicocca, ordinaria di Economia Politica, e ora presidente di Crui.

C’erano due donne nella terna dei candidati alla presidenza. Una rivoluzione.

Quest’elezione indica proprio una volontà di cambiamento, ringrazio i colleghi.

Ha festeggiato?

Non ancora. È mancato il tempo.

Per cosa si batterà anzitutto?

Per la riconoscibilità del ruolo dell’università. Noi, come sistema universitario, siamo aperti ad assumere la leadership nella società italiana. La Crui  deve rimanere una conferenza indipendente dalla politica, ma allo stesso tempo è chiamata al dialogo. Sappiamo esattamente cosa funziona e cosa no, per questo chiediamo che i nostri suggerimenti nati dalla pratica quotidiana vengano raccolti.

Prima richiesta?

Lavorare sulla sostenibilità finanziaria: tra i Paesi Ocse, l’Italia è quella che investe meno sull’università. C’è poi il tema del diritto allo studio, va rafforzato altrimenti  avremo problemi di tenuta sociale. L’università rimane un ottimo ascensore sociale, dobbiamo permettere ai nostri ragazzi di talento di potersi specializzare, devono poter lavorare su loro stessi in un’atmosfera moderna e innovativa. Oltre alla formazione sono determinanti la ricerca e la spinta all’innovazione.

Per centrare l’obiettivo di cosa avete bisogno in tempi rapidi?

Di riforme. Va cambiata la legge che regola l’università. La governance deve essere più snella, più flessibile così da poter dare risposte immediate alle esigenze che mutano velocissime: non è possibile che per cambiare un corso siano necessari anni. Abbiamo bisogno di più autonomia, dobbiamo rompere i vincoli che frenano l’aggiornamento della didattica. Fuori c’è un mondo che galoppa. 

Torniamo ai finanziamenti. Qualora selettivi, saranno su base meritocratica?

Sicuramente gli atenei vanno giudicati, va misurato l’impatto che hanno sulla società e sui territori in cui operano. Sulla base di questo vanno innestate o rafforzate alleanze con le imprese e le istituzioni locali. Misurare la qualità è fondamentale. Detto questo, non penso che il finanziamento pubblico si debba concentrare su pochi atenei, benché i migliori. Non inneschiamo guerre fra poveri. La priorità sta nell’aumentare i fondi, poi si valuterà la distribuzione.

La percentuale di laureati italiani continua a essere tra le più basse in Europa. C’è tanto da fare per ottenere una svolta. Da dove partire?

Lo dico da economista: iniziamo a pagare di più i nostri laureati. Questo avrà un impatto sulle iscrizioni. Deve poi cambiare la mentalità in generale perché è il sistema nel suo complesso a dover mutare, dalla scuola all’impresa.

Pochi laureati in generale, ma anzitutto nelle Stem, così determinanti per alimentare l’innovazione nelle aziende.

E’ anche un problema culturale: va rafforzato l’orientamento a partire  dalla scuola primaria. Dev’esserci un’alleanza tra ministero dell’università e quello dell’istruzione. Subito, dai primi anni di vita, le persone vanno avvicinate al mondo dei numeri, degli esperimenti scientifici. 

Lei ha frequentato l’Università di Cambridge. Cosa vorrebbe trasferire di quell’esperienza nelle nostre università?

Il senso di appartenenza. Dovremmo essere più orgogliosi di quel che facciamo. Già qualcosa sta accadendo ma cerchiamo di aprire sempre di più le nostre università alle scuole, anche ai bambini: che entrino e che vedano. Alla Bicocca, ad esempio, abbiamo un osservatorio astronomico aperto alle scuole. Facciamolo tutti, però. Diciamo chi siamo.

Nel nostro Paese di prevede un calo demografico, e l’università ne risentirà. Nel discorso di insediamento ha osservato che anche per questo dovremmo internazionalizzare i nostri atenei.

Se sulla ricerca, nonostante le scarse risorse, brilliamo nel mondo,  ancora c’è molto da fare sul versante dell’internazionalizzazione. Di nuovo torna il tema delle riforme: abbiamo limiti che non consentono di fare accordi con atenei stranieri, il nostro meccanismo è troppo rigido. Per attrarre studenti da fuori abbiamo bisogno di flessibilità.

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