Stefano Cuzzilla
Leader

Chi è Stefano Cuzzilla, leader di Federmanager e presidente di Trenitalia

Articolo di Mirko Crocoli apparso sul numero di gennaio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Stefano Cuzzilla è un romano doc. Nella Capitale è cresciuto, si è laureato in giurisprudenza e ha ricoperto incarichi manageriali in diverse aziende. Oggi è presidente di Trenitalia e siede nel consiglio di amministrazione di Cdp Venture Capital. Da otto anni è alla guida di Federmanager, l’associazione più rappresentativa nel mondo del management. Nel 2022 ha preso il timone della Cida, la confederazione che riunisce tutta la dirigenza pubblica e privata. La sua esperienza spazia dalle politiche industriali al welfare e, in questo campo, lavora come amministratore delegato di Iws – Industria Welfare Salute, un progetto unico sul mercato della sanità integrativa, nato dall’esperienza di Confindustria, Federmanager e Fasi (Fondo di assistenza sanitaria integrativa). Il suo ultimo libro si intitola Il buon lavoro, edito da Luiss University Press. 

Cuzzilla, ci racconti la sua storia professionale. 

Ho un ricordo bellissimo dei primi anni in Federmanager, quando coordinavo il gruppo dei giovani dirigenti della sede di Roma. È stato allora che ho iniziato a esercitare lo spirito di squadra e di leadership partecipativa in cui credo ancora. La mia storia professionale è andata di pari passo con quella associativa. Anche in azienda ho sempre curato le relazioni istituzionali e i rapporti con gli stakeholder, nonostante le mie prime specializzazioni siano state di tipo tecnico-informatico. Una palestra importante è stata la presidenza del Fasi: è lì che ho acquisito l’esperienza e la conoscenza sui temi del welfare pubblico e privato, dalle norme alle logiche di mercato, che ancora oggi sono fondamentali nel mio lavoro.

Com’è ricoprire il suo ruolo in Trenitalia in questa fase delicata?

Il gruppo Fs è una grande azienda e ha una mission importante, cioè interpretare un modello di mobilità sostenibile competitivo e vicino alle esigenze delle persone. La complessità del mandato è bilanciata dalla ricchezza di competenze e di talenti che ho trovato in azienda. Un patrimonio di dedizione, impegno e capacità di adattamento. Per affrontare le prossime sfide, dobbiamo investire ulteriormente nella digitalizzazione e nelle tecnologie emergenti. Bisogna innovare, e non sempre è facile. Abbiamo anche la responsabilità di migliorare i nostri servizi secondo un modello integrato, intermodale. Il Polo Passeggeri, di cui Trenitalia è la società capofila e di cui fanno parte anche Busitalia e Ferrovie del Sud Est, sta lavorando per diventare un’azienda di mobilità a tutto tondo. 

Tra gli incarichi che ricopre, quanto è importante per lei la presidenza di Federmanager?

Il 15 novembre si è svolta l’assemblea nazionale di Federmanager: vedere davanti a me centinaia di colleghi, saperne migliaia collegati in streaming da tutta Italia, mi ha reso orgoglioso di capitanare una squadra di persone volitive, che si rimboccano le maniche, fanno crescere le imprese in cui lavorano e vogliono migliorare il Paese.

Quali sono i dati, la mission, gli obiettivi e i progetti dell’associazione?

Rappresentiamo circa 180mila dirigenti dell’industria e dei servizi, in attività e in pensione. Facciamo tantissimi progetti, sarebbe lungo elencarli e rischierei di dimenticarne qualcuno importante. Ma voglio sottolineare che abbiamo 55 sedi sul territorio che offrono ogni sorta di servizio a misura di manager. A livello nazionale, uno dei fiori all’occhiello è il programma di certificazione delle competenze manageriali BeManager. È un unicum nel panorama italiano. Anche sulla previdenza: i nostri consulenti sono i migliori. Tra i miei obiettivi c’è anche quello di stare vicino a chi attraversa un periodo di difficoltà. Per questo nel 2024 rafforzeremo l’azione verso i manager inoccupati, a cui offriremo formazione e opportunità di reinserimento. 

È ottimista sul futuro del tessuto imprenditoriale italiano o siamo ancora indietro rispetto alle potenze europee?

La vera competizione non è dentro l’Europa. Credo che l’Italia debba farsi capofila di un progetto di rinnovamento delle regole europee, perché il destino della nostra economia è legato alle decisioni che prendiamo a Bruxelles e alle sorti dei nostri vicini di casa. 

Un consiglio agli industriali e uno alle pmi? 

Non scoraggiarsi di fronte alle incertezze della giustizia e alla burocrazia soffocante. Abbiamo bisogno di imprenditori illuminati e di storie d’impresa di successo. La competitività della manifattura italiana dipende molto dalla nostra capacità di unire le forze, di irrobustire le filiere e i distretti. Ci sono due aspetti su cui il mondo dell’impresa deve insistere. Uno riguarda gli investimenti: dobbiamo investire di più in innovazione e dobbiamo allearci per attrarre capitali esteri senza subire attacchi predatori. Il secondo aspetto riguarda la capacità di managerializzarsi. Le pmi devono capire che dotarsi di un manager è un passaggio essenziale per crescere, e non solo a livello di dimensioni. 

È appena uscito Il buon lavoro. Di che cosa parla?

Tengo molto a questo libro, che ho scritto insieme alla giornalista Manuela Perrone. È un viaggio nel mondo del lavoro, che, dalla pandemia in poi, è cambiato radicalmente. L’idea mi è venuta perché, dopo aver osservato i dati sulle cosiddette grandi dimissioni, mi sono convinto che si stava modificando il senso attribuito al lavoro e che ciò avveniva in modo dirompente tra le generazioni più giovani. Anche tra i manager le priorità sono diverse rispetto al passato. Mi sono chiesto se, proprio per il ruolo di rappresentanza che svolgo, non fosse il caso di tentare di dare qualche risposta alla domanda emergente: è possibile stare bene sul posto di lavoro? E mi ha fatto piacere che abbiano partecipato al progetto tanti manager delle risorse umane e tanti cacciatori di teste che hanno reso una testimonianza. 

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