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Neuralink e i primi chip nel cervello umano: i risvolti medici secondo il neurochirurgo Giulio Maira

Un obiettivo a lungo termine: “Realizzare un collegamento diretto fra la mente umana e l’intelligenza artificiale delle macchine”. È questo in estrema sintesi il progetto di Neuralink, azienda di Elon Musk, che il 30 gennaio 2024 ha annunciato di aver impianto il primo chip in un cervello umano. Per approfondire rischi e opportunità di questa brain-computer interface, abbiamo posto alcune domande a Giulio Maira, Adjunct Professor di Neurochirurgia presso l’Università Humanitas di Milano, presidente della Fondazione Atena e studioso del cervello umano.

Giulio Maira
Il professor Giulio Maira

Professor Maira, che cos’è questo chip di Neuralink?

Si tratta di una brain-computer interface. Ci sono molte società che stanno lavorando al progetto e alcuni chip sono già stati impiantati nell’essere umano. Neuralink sembra essere la più avanzata dal punto di vista della tecnologia e della raffinatezza del lavoro svolto. L’obiettivo è quello di arrivare a realizzare un collegamento diretto fra la mente umana e l’intelligenza artificiale delle macchine.

In che modo? Captando l’attività elettrica del cervello e convertendo i segnali in comandi che permettano di controllare un dispositivo esterno. Siamo però ancora nella fase iniziale del progetto, perché non si poteva pensare di partire già con un obiettivo super sofisticato e troppo complesso. Non siamo ancora quindi arrivati a una vera trasmissione del pensiero.

Quali sono gli obiettivi di Musk?

L’obiettivo finale è quello di poter utilizzare un segnale cerebrale – attraverso l’elettricità che lo esprime – in modo da attivare un dispositivo esterno o delle altre parti del sistema nervoso. In sostanza, in futuro questa interfaccia tra il cervello e un computer potrebbe servire per attivare una macchina o una protesi esterna oppure, guardando a una fase ancora più avanzata del progetto, questi chip, impiantati nella corteccia motoria di pazienti tetraplegici o paraplegici per una lesione midollare, potrebbero portare il segnale cerebrale al midollo integro, bypassando la lesione neurologica. In questi pazienti, insomma, si potrebbe attivare il midollo comandandolo con il pensiero. Anche se immaginabile tecnicamente, questa parte del progetto appare tuttavia di realizzazione difficile data la complessità dell’organizzazione anatomica del midollo spinale.

Cosa è stato fatto in questa prima fase?

È stato impiantato nel cervello di un volontario tetraplegico un chip, grande come una moneta da 50 centesimi e dotato di 1.000 microelettrodi, per registrare l’attività elettrica prodotta da altrettanti neuroni cerebrali. I segnali elettrici captati e decodificati sono stati utilizzati per trasmettere degli ordini a una macchina. L’obiettivo dichiarato è quello di consentire, a chi non ha l’uso degli arti, di attivare uno smartphone, un computer o altri apparecchi digitali solo con la forza della mente. Come detto, siamo ancora in una fase in cui non sono ancora stati trasmessi pensieri, ordini o intenzioni di ordine a un’intelligenza artificiale. Più semplicemente, sono stati captati degli impulsi elettrici e utilizzati in modo tale da attivare una macchina. È la prima tappa di un progetto che, quando portato fino in fondo, permetterà di comandare una macchina col pensiero.

La tecnica che si sta utilizzando non è una novità assoluta. Consideri che noi neurochirurghi da circa cinquant’anni mettiamo degli elettrodi nel cervello dei pazienti per studiare l’origine di malattie come l’epilessia.

Perché il progetto di Neuralink potrebbe rappresentare una svolta in questo ambito?

Il grande vantaggio di questa proposta di Elon Musk è che può usufruire di investimenti e di laboratori di ricerca straordinari e che possono essere implementati. Ci troviamo in un ambito che è inedito per un normale ricercatore che deve cercare fondi da istituzioni pubbliche o private. Neuralink potrà fare dei passi da gigante, come abbiamo visto per esempio con SpaceX.

Elon Musk è un visionario che si pone progetti ambiziosi e, per forza di cose, visionari. Lo sviluppo ulteriore di queste tecnologie potrebbe aiutarci a decodificare l’attività elettrica neuronale per capire meglio il funzionamento del cervello, con la conseguenza di approfondire la conoscenze sul funzionamento della mente e quindi aprire anche la strada verso la cura di malattie che adesso sono totalmente incurabili.

Quali sono i rischi di questa sperimentazione?

Ci sono ovviamente delle preoccupazioni di tipo tecnico. È importante che l’impianto non crei dei danni al cervello, perché come si può capire, ogni trauma cerebrale può determinare un’emorragia o un’infezione. Inoltre, cercare di introdurre un elettrodo in un neurone – o vicino a un neurone – cercando di rilevarne l’attività elettrica, può essere causa di crisi epilettiche.

Un altro rischio è quello legato ai campi elettromagnetici che abbiamo intorno, e che non conosciamo, che potrebbero interferire con il funzionamento dell’impianto. Credo però che questo aspetto tecnico sia stato affrontato dal team di Neuralink, realizzando delle apparecchiature in grado di ridurre il rischio di interferenze dall’esterno.

In conclusione, possiamo dire che il progetto che sta realizzando Neuralink suscita un grande interesse nel mondo scientifico per le conoscenze che possono derivarne e le ricadute terapeutiche che ne possono venire.

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