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Chi è Leonardo Notarbartolo, il Lupin italiano che ha rubato milioni di euro in diamanti dal caveau più sicuro d’Europa

A prestargli il volto sul piccolo schermo è stato l’anno scorso Kim Rossi Stuart, ma nell’immaginario collettivo potrebbe magari avere le fattezze dell’attore spagnolo Pedro Alonso, il “Berlino” de La Casa di Carta. Nella realtà, però, a riuscire nell’impresa di rubare milioni di euro in diamanti dal caveau più sicuro d’Europa, nell’ottobre 2003, è stato un italiano, Leonardo Notarbartolo.

Chi è Leonardo Notarbartolo, il Lupin italiano

Il suo nome suona sconosciuto a molti, eppure poco più di vent’anni fa il Lupin nostrano è stato in grado di svaligiare uno dei luoghi più inespugnabili al mondo senza far suonare alcun allarme né lasciare traccia del suo passaggio. A riprova che il delitto perfetto è un’invenzione letteraria, però, alla fine è stato incastrato – tradito da una fetta di salame in un panino – e assicurato alla giustizia. Condannato a 10 anni, ha pagato il suo debito con la società e ha raccolto in un libro (Rubare l’impossibile, Rizzoli) la sua incredibile storia, che è diventata anche una serie tv.

Palermitano classe ’52, figlio di un mezzadro e una casalinga, cresciuto nel mito del bandito Giuliano, Notarbartolo scopre sin da piccolo di possedere una memoria eidetica, ossia la capacità naturale di visualizzare mentalmente le immagini dopo averle viste solo per pochi istanti, con grande precisione e nitidezza.

“Questa mia caratteristica – spiega – mi ha portato a sviluppare una sorta di ‘decalogo’ di regole che hanno sempre governato le scelte della mia vita. Ad esempio, ho imparato che non esiste un punto di vista oggettivo, una linea che demarca le cose giuste da quelle sbagliate, senza però mai mentire a sé stessi. Ho coltivato l’arte della pazienza e della disciplina, ho capito quanto fosse importante affiancare l’ambizione alla conoscenza e mi sono imposto di mantenere sempre la parola data”.

Gli anni di reclusione

Tutte doti che Notarbartolo affina col tempo, negli anni della gioventù, fino a quando – siamo a Torino, era l’anno 1969 – un amico del padre, Renzo, gli propone di aiutarlo a rapinare una gioielleria. “Avevo 17 anni, e accettai ponendo come unica condizione che nessuno si facesse del male. Entrammo e uscimmo con la refurtiva in pochi minuti: andò tutto bene, e per un anno non pensai alle rapine. Ripresi a giocare a pallanuoto e venni addirittura convocato in Nazionale”. Ma proprio in quel momento, quando Lorenzo ha davanti l’occasione della vita, il passato bussa alla sua porta e presenta il conto: Renzo, il complice, ha confessato e fatto il suo nome in cambio di uno sconto di pena.

Notarbartolo si fa 5 anni di carcere. Ne passano quasi altri 30 dal giorno dell’arresto: nel 2003 Leonardo ha ormai una famiglia e vive tra Torino e Anversa, in Belgio, dove gestisce un’attività di compravendita di gioielli. In fondo la città è la capitale mondiale dei diamanti, per le sue strade ne transita l’80% di tutto il mondo, per un giro d’affari di 3 miliardi di dollari.

Ad Anversa Notarbartolo prende in affitto un appartamento e un ufficio nel Diamond Center, sotto il quale si trova un caveau impenetrabile, considerato tra i più sicuri al mondo, con all’interno quasi 200 cassette di sicurezza. Ancora non sa che sta per mettere a segno il colpo più ardito della storia. “A settembre vengo avvicinato in un bar da un tale Geremia, che sarebbe diventato la mente del furto: mi spiega il suo piano e mi chiede di entrare a far parte della squadra”.

Il colpo (quasi) perfetto

Notarbartolo accetta, e conosce gli altri membri del team: c’erano il “Mostro”, alto quasi 2 metri e in grado di mettere fuori uso qualsiasi sistema d’allarme in pochissimo tempo, il “Genio” capace di hackerare telecamere e computer, ed il “Chiavaro” abilissimo nel forzare serrature e creare chiavi. Notarbartolo diventa il “Torinese”, ingaggiato perché avendo l’ufficio nel Diamond Center è l’unico in grado di osservare e memorizzare ogni singolo dettaglio del caveau. Fa richiesta di una cassetta di sicurezza mentre il “Mostro” progetta una microcamera per spiare al suo interno.

Finalmente il ladro riesce a entrare nell’edificio con la microcamera fornendo ai complici il quadro degli allarmi – sensibili al calore, alla luce, ai suoni e ai movimenti – presenti nel caveau. L’unico a creare preoccupazioni è un complesso radar doppler, impossibile da superare. Ma dopo una settimana di riflessioni, la sua memoria eidetica si attiva: “Avevo visto in tv la pubblicità di una lacca per capelli, e capii che era ciò di cui avevamo bisogno. Convocai gli altri e spiegai che sarebbe bastato spruzzarne una leggera patina sul sensore del radar per metterlo fuori uso”.

Cancellare tutte le tracce

Il piano era di nuovo sui binari giusti, e la banda poteva tornare in azione. Nei due mesi seguenti Geremia costruisce una copia in cartongesso del caveau, dove la squadra impara a muoversi nel buio più totale. Il 13 febbraio, dopo due mesi di training e in concomitanza con un torneo di tennis che distoglie l’attenzione generale, la banda dà il via al furto: poco prima nel caveau era arrivato un grosso carico di diamanti della De Beers, e la notte del 15 febbraio la squadra si mette al lavoro mentre Geremia tiene occupata l’unica guardia notturna portandola a bere in un locale.

Attraversando un cantiere e un condominio abbandonato la banda entra nell’edificio dal retro e inizia a disattivare gli allarmi, arriva al piano del caveau e tra mille imprevisti supera i sensori, le telecamere e il radar, digitando i codici d’accesso “rubati” alle guardie con una microcamera nascosta in un estintore, anche qui con l’aiuto della memoria straordinaria di Notarbartolo.

Il mal di schiena

Quando anche l’ultima chiave viene utilizzata, la squadra si divide: alcuni iniziano a far man bassa del contenuto del caveau, Leonardo e il Genio si mettono alla ricerca dei server per cancellare ogni traccia del loro passaggio dalle registrazioni. Qui arriva l’ennesimo contrattempo: “Un mal di schiena che mi colpì come una coltellata: presi due antidolorifici e continuai, ma dopo poco fui costretto a sdraiarmi a terra, bloccato.

Mi accompagnarono fino all’uscita, percorrendo a ritroso il tragitto fatto per entrare, e io tornai all’appartamento con vista sull’edificio. Qui Geremia mi chiamò per avvisarmi che il guardiano stava per tornare, ma non poteva sapere che non ero più insieme al gruppo. Mi misi in auto e raggiunsi l’ingresso del Diamond Center, pronto a raccogliere al volo i miei compagni”. Ma non ce ne fu bisogno: alle 5,12 il furto è compiuto, e 45 minuti più tardi la banda è già nell’appartamento di Notarbartolo a festeggiare.

Il dettaglio che manda tutto a monte

I telegiornali non dicono nulla, tutto sembra finito. Ma non è così. La squadra decide di rientrare in Italia al più presto, approfittando del fatto che per le 48 ore successive nessuno si sarebbe accorto del furto. Ma è in quel momento che Notarbartolo ha l’ennesima illuminazione: i diamanti sono tanti, è vero, ma non quanti ne aspettavano.

Epresto arriva il dubbio che Geremia, ancora uccel di bosco, potesse essere il vero committente del furto, un cliente del Diamond Center che ha voluto usare la banda per una truffa assicurativa. Ma in ogni caso ormai il furto è andato, c’è solo da buttar via la spazzatura con gli avanzi della cena. Ed è questo dettaglio, a mandare tutto a monte: “Ci separammo, e arrivato a 20 minuti d’auto da Anversa scaricai i sacchi di spazzatura nella boscaglia a bordo strada. Ma vidi troppo tardi la porta di una casa aprirsi e un tizio accorgersi di me.

Galeotto fu quel panino al salame…

Corsi verso l’auto ma nella fretta lasciai rompere due sacchi di rifiuti che disseminarono il loro contenuto sul terreno”. A una settimana dal colpo al Diamond Center tutto il Belgio parla dell’accaduto, ma la polizia sembra brancolare nel buio. Accompagnato dalla moglie, Notarbartolo torna ad Anversa per disdire il contratto dell’appartamento. Ma quando si presenta in banca, dopo un breve colloquio con la direttrice viene arrestato come primo sospettato del furto del secolo.

Cosa l’ha incastrato? E’ presto detto: tra quei rifiuti c’erano sia fatture intestate all’azienda di Notarbartolo sia un panino al salame da cui gli investigatori ricavano il suo Dna. Frugando tra i rifiuti, la polizia riesce a mettere le mani su tutta la banda, uno alla volta. Il colpo (quasi) perfetto del Lupin italiano è fallito all’ultimo miglio, con parte della refurtiva che – insieme a Geremia – è ancora introvabile.

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