Il fast fashion è da tempo sotto i riflettori per le pratiche lavorative discutibili delle aziende, con disumani turni di lavoro e numeri non confortanti in termini di impatto ambientale. Da poco ha ricevuto una stretta ulteriore in Francia, che potrebbe metterne a repentaglio il business futuro.
Risale al qualche giorno fa, infatti, la decisione dell’Assemblea nazionale francese che ha approvato una proposta di legge, presentata a fine febbraio dalla parlamentare Anne-Cécile Violland, secondo cui verrà imposto un sovrapprezzo ai venditori di fast fashion, che venderanno nel Paese i loro capi. Ora, dopo l’approvazione dell’Assemblea, la proposta dovrà passare in Senato.
Il sovrapprezzo iniziale sarà di 5 euro per tutti i capi prodotti in questo settore, e potrà arrivare fino a 10 euro per un singolo capo di abbigliamento entro il 2030, sul modello della tassa che è già stata applicata in Francia alle automobili più inquinanti. La motivazione è chiara: mettere in ginocchio la vendita e l’acquisto di abiti a basso costo e con un alto impatto sul Pianeta.
La proposta di legge nel dettaglio
Sono tre gli articoli che compongono la proposta di legge. Si parte dal primo che prevede, oltre al prezzo, l’inserimento in tutti gli e-commerce di fast fashion di messaggi che incoraggino al riuso e alla riparazione e diano informazioni sul loro impatto ambientale.
Nel secondo, invece, viene introdotta la tassa secondo il principio di Epr ovvero responsabilità estesa del produttore: con questa metodica si incoraggiano le aziende a progettare prodotti più riciclabili e a seguire processi di fabbricazione sostenibili. Infine, il terzo articolo limita la pubblicità sull’acquisto di abiti e accessori prodotti da marchi di fast fashion.
Shein ancora nel mirino
Se risale a poco tempo fa la notizia secondo cui Shein starebbe discutendo di una potenziale quotazione a Londra dopo i problemi riscontrati alla Borsa statunitense, uno dei marchi citati nel disegno di legge è proprio l’e-commerce cinese di abiti e accessori.
Come emerge dal testo, Shein registra in media più di 7.200 nuovi modelli di abbigliamento al giorno e mette a disposizione dei consumatori più di 470mila prodotti diversi. Numeri 900 volte superiori a quelli di un rivenditore tradizionale francese, insomma.
L’intento della norma è virtuoso: gli introiti generati dalle sanzioni, infatti, verranno utilizzati per gestire la raccolta, lo smistamento e il trattamento dei rifiuti tessili, ma anche per erogare dei bonus alle aziende che scelgono di produrre i capi partendo da principi di circolarità e finanziare campagne pubbliche sull’impatto ambientale (il bonus réparation andrà dai 6 ai 25 euro).
Il fast fashion oggi
Se una recente direttiva del Parlamento europeo, approvata con 593 voti favorevoli, potrebbe migliorare l’etichettatura dei prodotti e vietare l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti (la disposizione dovrà ricevere l’approvazione del Consiglio, e gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale), nel frattempo i numeri dell’impatto ambientale generato dall’industria della moda non fanno ben sperare.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ad esempio, l’industria tessile produce da sola il 10% delle emissioni di gas serra mondiali, consuma 1,5 mila miliardi di acqua all’anno, ed è responsabile dell’inquinamento delle falde acquifere, contribuendo alla diffusione delle microplastiche. Facile, quindi, immaginare in tal senso il contributo del segmento fast fashion.
I player del fast fashion
Shein non è però l’unico operatore del settore: alla voce moda a basso costo risponde anche il colosso Inditex, che controlla marchi quali Zara, Bershka e Stradivarius, ed H&M.
Quest’ultima, però, negli ultimi anni sembra motivata a dimostrare il suo impegno green e secondo Bloomberg si starebbe preparando al lancio di un nuovo green bond a otto anni da 500 milioni di euro per finanziare progetti per l’utilizzo di materiali riciclati, le energie rinnovabili e l’uso sostenibile dell’acqua.
Nel 2021, sempre in Francia è stata approvata la legge “Clima e resilienza”, il cui obiettivo è ridurre del 40% le emissioni di gas a effetto serra nel 2030.
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