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Grazie al chip di Neuralink un paziente tetraplegico gioca a scacchi con il pensiero – IL VIDEO

Neuralink è già arrivata a un punto di svolta? Poche settimane dopo aver impiantato il primo chip in un cervello umano, l’azienda di Elon Musk ha condiviso su X quanto ha già ottenuto. In una live di nove minuti condivisa dalla pagina della società,  si vede Noland Arbaugh, un 29enne statunitense tetraplegico dal 2016, che riesce a muovere il cursore del mouse di un computer e giocare a scacchi, usando “la forza del pensiero” attivata dall’impianto cerebrale.

Giocare a scacchi con il chip di Neuralink

“Questo è solo l’inizio”, ha scritto Elon Musk su X commentando il video. “A lungo termine sarà possibile deviare i segnali della corteccia motoria del cervello oltre la parte danneggiata della colonna vertebrale per consentire alle persone di camminare di nuovo e di usare normalmente gli arti”.

E alla provocazione di un utente: “Immaginate qualcuno che controlla un Optimus (il robot di Tesla, ndr) con il proprio chip Neuralink”, Musk ha risposto senza smentire: “Gli arti Optimus, che sostituiscono gli arti umani perduti, potrebbero infine essere controllati con destrezza da un chip Neuralink impiantato nel cervello”.

I rischi e le opportunità

Per approfondire rischi e opportunità di questa brain-computer interface, qualche settimana fa abbiamo posto alcune domande a Giulio Maira, Adjunct Professor di Neurochirurgia presso l’Università Humanitas di Milano, presidente della Fondazione Atena e studioso del cervello umano.

Come ci ha spiegato il professore, nella prima fase, “è stato impiantato nel cervello di un volontario tetraplegico un chip, grande come una moneta da 50 centesimi e dotato di 1.000 microelettrodi, per registrare l’attività elettrica prodotta da altrettanti neuroni cerebrali. I segnali elettrici captati e decodificati sono stati utilizzati per trasmettere degli ordini a una macchina. L’obiettivo dichiarato è quello di consentire, a chi non ha l’uso degli arti, di attivare uno smartphone, un computer o altri apparecchi digitali solo con la forza della mente”.

“Come detto, siamo ancora in una fase in cui non sono ancora stati trasmessi pensieri, ordini o intenzioni di ordine a un’intelligenza artificiale. Più semplicemente, sono stati captati degli impulsi elettrici e utilizzati in modo tale da attivare una macchina. È la prima tappa di un progetto che, quando portato fino in fondo, permetterà di comandare una macchina col pensiero”.

Gli utilizzi in futuro

E per gli obiettivi a lungo termine? “L’obiettivo finale è quello di poter utilizzare un segnale cerebrale – attraverso l’elettricità che lo esprime – in modo da attivare un dispositivo esterno o delle altre parti del sistema nervoso”, ha spiegato Maira. “In sostanza, in futuro questa interfaccia tra il cervello e un computer potrebbe servire per attivare una macchina o una protesi esterna oppure, guardando a una fase ancora più avanzata del progetto, questi chip, impiantati nella corteccia motoria di pazienti tetraplegici o paraplegici per una lesione midollare, potrebbero portare il segnale cerebrale al midollo integro, bypassando la lesione neurologica”.

Attenzione però anche ai rischi del progetto. “È importante”, ha concluso il professore, “che l’impianto non crei dei danni al cervello, perché come si può capire, ogni trauma cerebrale può determinare un’emorragia o un’infezione. Inoltre, cercare di introdurre un elettrodo in un neurone – o vicino a un neurone – cercando di rilevarne l’attività elettrica, può essere causa di crisi epilettiche”.

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