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Innovation

Come il visore Apple potrebbe fondere il mondo reale con quello digitale

Articolo tratto dal numero di marzo 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

C’è ancora chi si illude che mondo reale e digitale siano due cose diverse e separate. “Ciò che accade online non ha nulla di virtuale ed è anzi molto reale, solo che non è materiale, ma immateriale”, spiegava qualche anno fa Stefano Quintarelli, uno dei padri del web in Italia, nel libro Capitalismo immateriale. Quanto manca per convincere chi non ha ancora chiaro il concetto? Il tempo di provare a indossare, almeno una volta, il Vision Pro di Apple. I racconti di chi ha potuto già farlo negli Stati Uniti sono un misto di ‘wow’ e ‘ooh!’. “Puoi vedere cose che non ci sono e toccarle con le mani”. “Gli occhi diventano il mouse”. “Interagisci con le immagini e non hai bisogno di un controller”. Fantascienza? Sempre meno.

Ci stiamo avviando verso un futuro ibrido, dove reale e digitale si mescoleranno. Prepariamoci a vedere il mondo in 4k (lo standard ultra hd del cinema digitale, della computer graphic e dei televisioni più avanzati). “Con i Vision Pro è come avere l’equivalente della risoluzione di un televisore da 75 pollici in ciascuno dei bulbi oculari: 23 milioni di pixel”, ha detto il regista James Cameron, che lavora sulla realtà virtuale da quasi 20 anni. Difficile distinguere la realtà da una sua ri-creazione digitale. Ci aspetta un futuro in cui sarà normale scrivere sulla tastiera di un computer seduti su una spiaggia lontana migliaia di chilometri o interagire con persone distanti come se fossero accanto a noi.

L’era dello spatola computing

Il Vision Pro è il primo vero nuovo prodotto, dopo lo smart watch, lanciato dopo sette anni da Apple, dove sono molto bravi nel marketing e nella narrazione. Nei primi dieci giorni dal lancio, a inizio febbraio, secondo la stima più diffusa, ne sono stati venduti 200mila, a 3.500 dollari l’uno (non sappiamo ancora quando arriverà in Italia). Le previsioni sono discordanti: Morgan Stanley prevede vendite fino a quattro milioni di pezzi nei prossimi cinque anni, ma altri analisti sostengono che rimarrà un prodotto di nicchia. Certamente è un primo modello con diversi difetti. Non sono mancati i primi scontenti e probabilmente il prezzo scenderà. Comunque il visore di Cupertino rappresenta una svolta nel settore della realtà virtuale, che non nasce oggi, ma sta arrivando a un punto di maturità.

Gli ambienti digitali che simulano pezzi di realtà esistono da tempo, a cominciare dai videogiochi. E da qualche decennio si lavora per portarci sempre più dentro spazi fatti di pixel. Risale al 2013 l’Oculus realizzato da una startup comprata da Facebook. Poi ci sono stati Rift, Vive, Quest (che nella sua versione 3, secondo Mark Zuckerberg, è migliore). Anche il Vision Pro arriva da lontano, visto che i lavori sono cominciati almeno otto anni fa nell’angolo più segreto dell’Apple Park, la sede di Cupertino: il Mariani1, l’edificio da cui sono usciti l’iPod e l’iPhone. Perché ha provocato così tante attenzioni? Perché ci fa entrare in una nuova era dell’informatica diffusa, lo spatial computing.

Più di una finestra sul virtuale

Il concetto sembra semplice da capire, ma gli effetti sono difficili da immaginare. Lo spatial computing, o computazione spaziale, è fatto dalle tecnologie capaci di comprendere e utilizzare lo spazio tridimensionale intorno a noi. Questo significa che dispositivi come il Vision Pro non si limitano a proiettare immagini o suoni in un ambiente virtuale, ma interagiscono attivamente con lo spazio fisico in cui ci troviamo, permettendo una fusione senza precedenti tra reale e digitale. Immaginiamo di poter disegnare una scultura virtuale proprio nel mezzo del vostro soggiorno, ruotandola, ingrandendola o modificandola con gesti delle mani, come se fosse realmente lì. Oppure, pensiamo a come potrebbe cambiare l’insegnamento, potendo esplorare l’interno di una cellula o camminare tra i dinosauri, non attraverso uno schermo piatto, ma in un ambiente 3D in cui ogni dettaglio è tangibile e interattivo. Davanti non abbiamo semplici proiezioni, ma creazioni che occupano e rispondono allo spazio fisico, proprio grazie allo spatial computing.

Ecco perché Vision Pro, che pure non è perfetto, non è solo una finestra su mondi virtuale, ma li porta nel nostro ambiente, eliminando l’effetto claustrofobia dei tradizionali visori di realtà virtuali e aprendo scenari prima inimmaginabili. Un esempio: proiettare un ufficio in casa e lavorare come se si fosse lì. Capito perché quella scatola bianca apre futuri ancora tutti da disegnare? È uno strumento con cui esplorare e interagire con una realtà ampliata, in cui le barriere tra fisico e digitale sono sempre più labili.

Le parole di Tim Cook

“Sapevo da anni che saremmo arrivati qui”, ha detto Tim Cook, ceo di Apple. “Non sapevo quando, ma sapevo che ci saremmo arrivati”. Cosa viene dopo, adesso, è tutto da capire. Intanto sono già arrivate le prime cose da fare con il Vision Pro. Decathlon ha lanciato negli Stati Uniti la versione della sua app per fare shopping immersivo: si visualizzano i prodotti in 3D come se fossero a casa, li si sceglie e li si compra. La stessa cosa ha fatto J.Crew con un armadio virtuale che permette di scegliere una maglietta o un paio di jeans, magari chiedere consiglio a un’assistente e creare il proprio look, semplicemente con il movimento delle mani. Per il momento sembrano resistere a Vision Pro i grandi brand digitali, come Netflix, Spotify o Meta. Ha invece già ceduto Walt Disney, che mette a disposizione alcune centinaia dei suoi film da vedere in 3D, Star Wars compreso. Ci si potrebbe trovare in salotto con Darth Vader od Obi Wan Kenobi.

“Ti stai mettendo il futuro in faccia”, è l’immagine forse un po’ cruda ma forte usata da Greg Joswiak, vicepresidente senior del marketing mondiale di Apple. Ma questo futuro pesa ancora troppo (mezzo chilo), sembra tanto una maschera da sub e certamente servirà ancora tempo per arrivare ad avere un visore grande quanto un paio di occhiali, facendo il lavoro di miniaturizzazione riuscito con l’iPod, un tentativo dopo un altro e dopo tanti prototipi respinti da Steve Jobs (c’era ancora lui). E poi siamo sicuri di voler correre il rischio di non riuscire più a vivere senza la realtà fatta di pixel, con una nuova schiavitù da visore dopo quella da smartphone? Questa sì che, per il momento, è fantascienza. Vedere, per credere, il film Ready Player One di Steven Spielberg.  

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