Renato Panesi Luca Rossettini D-Orbit
Space Economy

Taxi spaziali di terza generazione e manutenzione dei satelliti in orbita: la nuova era di D-Orbit

Di Emilio Cozzi e Matteo Marini

C’è poco di piccolo, ormai, in D-Orbit. Quella che poteva essere definita una startup forse fino al 2020, quando è decollato il suo primo Ion, cioè il ‘taxi spaziale’ che consegna alle rispettive orbite micro e nanosatelliti dei clienti, oggi, a 13 anni dalla fondazione e dopo altrettante missioni di successo, può dirsi una grande realtà della space economy.

Quanto grande lo stabiliscono il mercato e la fiducia degli investitori. Basti una cifra: 100 milioni di euro, cioè quelli raccolti nell’ultimo round di investimento. “È il più importante caso di equity in Italia del 2023”, afferma Renato Panesi, chief commercial officer di D-Orbit, sottolineando come non si tratti di prestiti. “Altri grandi importi sono stati raccolti da startup, ma come debito. È un ottimo segnale in un contesto molto difficile”.

Un round da record

Capofila, in questo capitolo della storia della società con sede a Fino Mornasco (Como), è la giapponese Marubeni Corporation, colosso dell’investimento che ha creduto in D-Orbit dopo una meticolosa due diligence, un controllo rigoroso dei conti societari. Che tornavano tutti, spiega Panesi: “Sono arrivati fino alla pagliuzza prima di investire, poi l’hanno fatto senza remore. Per noi è motivo d’orgoglio. Essendo una corporate e non un fondo, hanno obiettivi di lungo periodo, ci vogliono accompagnare nella crescita. Ci faranno anche da promotori commerciali nel mondo”. 

D-Orbit è una pmi che ha però prospettive vaste: “Contiamo 300 persone di 18 nazionalità diverse, con un’età media di 31 anni”, dice Panesi. “Abbiamo americani, olandesi, francesi, tedeschi, europei un po’ da ovunque. Si parla spesso di fuga dei cervelli, ma noi riusciamo a essere attrattivi”. Dopo 13 lanci e la consegna di decine di payload in orbita, l’azienda si prepara a un altro anno intenso: nell’agenda 2024 ci sono già cinque lanci acquistati per uno dei leader del last mile delivery: “Possiamo considerare i lanciatori come autobus, che arriva al capolinea e scarica tutti i passeggeri, i satelliti. Tra questi ci siamo noi, con il nostro Ion, che è un veicolo da 350 chili, capace di trasportarne 200 di carico utile. Il carico, a sua volta, è costituito da satelliti più piccoli. È come fossimo l’Uber dello spazio, che dal capolinea dell’autobus porta i clienti a destinazione”.

La prossima generazione di taxi spaziali

Soprattutto per micro e nanosat, il cui volume e peso vengono compressi all’estremo, arrivare dove serve senza sprecare carburante, prezioso per mantenere l’assetto, è vitale. Ion, il ‘taxi’ di D-Orbit, permette proprio questo per conto terzi. È la ragione per cui l’azienda si è costruita una solida credibilità a livello globale. “Questione di affidabilità”, precisa il cco. “Alle conferenze in giro per il mondo mi sento ripetere: ‘Il last mile delivery siete voi’”. Non mancano anche dispositivi ed esperimenti che rimangono a bordo di Ion, per clienti che devono sfruttare l’assenza di peso in orbita per testare farmaci, materiali, biotecnologie.

Secondo Panesi, gli anni recenti hanno però registrato qualcosa di nuovo in termini di dimensioni e costi. “I nostri clienti hanno costellazioni di cubesat”, dice, “ma molti altri stanno tornando a masse maggiori, fra i 100 e i 150 chili”. La ragione è da rintracciare nel ridimensionamento dei costi di lancio e del prezzo dei materiali: “Si possono costruire satelliti più grossi in modo, diciamo, low cost”. Nulla che minacci di cogliere impreparata l’azienda, a dire del manager: D-Orbit si sta aggiornando e sta progettando Ion-3.

È una sensibilità alle tendenze emergenti nel mercato che la società ha anche dimostrato nella sua reazione al ‘momento difficile’ di cui parlava Panesi. Una situazione che riguarda, in particolare, l’Europa, al momento orfana di sistemi di lancio propri (Ariane 6 esordirà a giugno, Vega C tornerà operativo a fine anno, forse). È significativo che D-Orbit abbia più spesso volato, e continuerà a farlo, con SpaceX, a bordo di un Falcon 9: “Il mondo istituzionale si muove con logiche tradizionali, è più lento. Un lancio può avvenire anche 24 mesi dopo la firma di un contratto. Di contro, in ambito commerciale, può capitare di sottoscrivere un accordo e lanciare dopo appena sei mesi. E per noi lanciare è linfa vitale”.

La manutenzione nello spazio

A proposito di partenze, è previsto che la terza generazione di Ion prenda il volo in circa due anni. Un periodo durante il quale potrebbe esordire anche un nuovo tipo di servizio, l’in orbit servicing, ambito in cui si attende un’altra mezza rivoluzione. Si tratta di fare manutenzione ai satelliti direttamente nello spazio, cosa in passato riuscita a cinque missioni Shuttle per il telescopio Hubble e poche altre volte. Sempre con astronauti.

Nel prossimo futuro, però, si proverà a farlo usando i satelliti: “C’è un’ampia gamma di servizi che è possibile offrire in orbita, dall’ispezione visuale all’estensione della vita operativa di un apparato. E ci sono due modi per fornirli: il primo consiste nel rendez vous e nel docking con il satellite target. Detto altrimenti, si rimane attaccati al satellite per fornirgli un nuovo motore.

Il secondo modo è il refueling, il rifornimento, che consente di servire più satelliti in una singola missione”. Anche questo è un nuovo mercato di servizi spaziali, una prateria da conquistare. La statunitense Orbit Fab ha già lanciato un prototipo di stazione di rifornimento spaziale e nei prossimi anni potrebbe piazzarla sulle orbite geostazionarie (a 36mila chilometri di quota) per servire i satelliti più grossi, costosi e dalla vita più lunga.

La missione italiana di assistenza in orbita

A questo proposito, già nel biennio 2026/2028, potrebbe essere inaugurata la prima missione dimostrativa italiana di assistenza in orbita, finanziata con fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. D-Orbit fa parte del consorzio di aziende, guidato da Thales Alenia Space, che ha firmato un contratto da 235 milioni di euro con l’Agenzia spaziale italiana. Sono coinvolte anche Avio, Leonardo e Telespazio: “Thales Alenia Space è responsabile del satellite di servizio, detto Cesar, mentre noi costruiremo l’apparato target e saremo responsabili del refueling. Nel frattempo, stiamo anche lavorando con l’Esa per completare lo sviluppo del nostro veicolo per le orbite geostazionarie, quelle dove c’è il mercato più rilevante”. E davvero D-Orbit, un’azienda fondata da Panesi e Luca Rossettini nel 2011, nata per offrire soluzioni al problema dei detriti spaziali in orbita bassa, 3 milioni e 400mila euro di ricavi nel 2021 e 10 milioni nel 2022, così lontano non era mai arrivata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .