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Dentro la lenta trasformazione sostenibile di Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo

Questo articolo è apparso su Forbes.com

Quest’anno Amin Nasser, l’amministratore delegato di Saudi Aramco, ha dichiarato che l’era dei combustibili fossili è lontana dalla fine. “Probabilmente il picco del consumo di petrolio e gas non arriverà ancora per qualche anno, di certo non nel 2030”, ha detto. “Dovremmo abbandonare la fantasia di eliminare gradualmente il petrolio e il gas, per investire invece su queste risorse in modo adeguato, secondo ipotesi realistiche sulla domanda”.

È normale che Nasser dica così. Come numero uno della più grande compagnia petrolifera al mondo (terza nella Global 2000, la classifica di Forbes delle più grandi aziende quotate al mondo, in discesa di una posizione rispetto a un anno fa a causa del calo del prezzo del petrolio), Nasser supervisiona la produzione di oltre 12 milioni di barili di petrolio e gas al giorno.

Aramco è un colosso tale che sia la sua produzione che i suoi 117 miliardi di dollari di utili sono più di tre volte quelli di ExxonMobil, la seconda compagnia petrolifera in classifica (al numero 14, con una perdita di sei posizioni rispetto allo scorso anno). Chevron (22esima) sembra minuscola al confronto, con appena 20 miliardi di utili. E Aramco non cederà lo scettro: con riserve ben superiori ai 200 miliardi di barili, può tenere questo ritmo ancora per decenni.

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La domanda di petrolio, gas e carbone non cala

Nasser, quindi, è di parte. Ma il punto è che non ha torto. L’energia rinnovabile e a zero emissioni di anidride carbonica, finora, è stata un’aggiunta, ma non ha portato a una transizione. Malgrado si parli molto di abbandono del petrolio, del gas e del carbone, la verità è che il mondo non ha mai fatto tanto affidamento su fonti energetiche che causano emissioni di CO2 come oggi.

“Nel mondo reale, l’attuale strategia per la transizione energetica sta fallendo palesemente sulla maggior parte dei fronti”, ha detto Nasser. Le rinnovabili rendono difficile produrre energia su larga scala, hanno costi iniziali troppo alti e non sono convenienti.

Per quanto la Cina faccia progressi nell’installazione di pannelli solari, per esempio, lo scorso anno ha bruciato una quantità record di cinque miliardi di tonnellate di carbone, cioè dieci volte il consumo degli Stati Uniti. I veicoli elettrici costituiscono oggi fino al 19% delle vendite globali di auto, eppure il consumo globale di petrolio continua a superare i 100 milioni di barili al giorno. Secondo Claudio Galimberti, analista della società di consulenza Rystad Energy, “la domanda di petrolio non cede” e continuerà a salire “perché le alternative a basse emissioni non sono ancora abbastanza sviluppate o economicamente competitive da compensare l’aumento della domanda dei trasporti e dei servizi industriali”.

Gli investimenti nelle rinnovabili di Saudi Aramco

Potrebbe sorprendere, quindi, che Aramco sia già uno dei principali investitori al mondo nella transizione verso l’energia pulita. Nasser ha destinato il 10% dei 50 miliardi di dollari di spese in conto capitale alle rinnovabili e ha lanciato la divisione Aramco New Energies. Quest’anno l’azienda ha completato il progetto solare Sudair, con 1,5 gigawatt di capacità, mentre l’impianto di Shuaibah, da 2,7 GW, sarà completato l’anno prossimo.

Aramco promette 12 GW di energia solare ed eolica entro il 2030. È in trattativa con il gigante petrolifero spagnolo Repsol per una quota del suo business delle rinnovabili, sulla base di una joint venture esistente, nata per produrre carburante per aerei a zero emissioni con idrogeno verde e anidride carbonica catturata nell’atmosfera. Nel complesso di raffinazione di Jubail, Aramco sta costruendo un sistema per catturare nove milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Sarà il complemento a un processo esistente per catturare CO2 da un impianto di glicole etilenico e trasformarla in metanolo a basse emissioni.

Tuttavia, se Aramco intende mantenere la promessa di Nasser di catturare e sequestrare 44 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2035, avrà bisogno di nuove soluzioni. Per cercarle, ha più che raddoppiato i finanziamenti al suo ramo di venture capital Aramco Ventures, mettendo a disposizione 4 miliardi di dollari.

Le spugne per catturare la CO2

Fra i progetti più promettenti c’è un nuovo investimento da decine di milioni di dollari nella startup del New Mexico Spiritus, nata dal Los Alamos National Lab. I suoi cofondatori, Charles Cadieu e Matt Lee, hanno sviluppato una nuova tecnologia che, secondo loro, è in grado di assorbire CO2 dall’aria. E a differenza di tecnologie rivali, che si basano su enormi ventole e compressori per risucchiare l’aria, i dispositivi di Spiritus funzionano in modo passivo, come alberi. La chiave è rappresentata da palle delle dimensioni di un pompelmo, fatte con un materiale assorbente che cattura selettivamente e trattiene le molecole di anidride carbonica. Funziona un po’ come una spugna, ma con una struttura molto più complessa e molti più angoli e fessure.

Cadieu non svela molto su come sia fatto e come operi il sistema, ma paragona la funzione del materiale assorbente a quella dei nostri alveoli polmonari nella cattura dell’ossigeno. “Pensiamo ai polmoni dei mammiferi: esiste qualcosa di meglio? È difficile battere centinaia di milioni di anni di evoluzione”, dice. Il materiale, che si pensa sia costituito soprattutto da grafene, quindi a base di carbonio, si lega chimicamente alla CO2.

Spiritus (latino per ‘respiro’) produrrà il materiale in uno stabilimento vicino a Kansas City, e possiede già un sito nel Wyoming dove intende erigere strutture per conservare queste palle di materiale assorbente. Una volta sature di CO2, le palle verranno raccolte e sottoposte a un processo che rilascia la CO2, che verrà poi iniettata in profondità nel suolo, in un pozzo autorizzato e conforme alla legge.

Cadieu sostiene che i costi saranno ben al di sotto dei 100 dollari alla tonnellata e che in un primo tempo il sito del Wyoming sequestrerà due milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Sarebbe un affare molto remunerativo, visti i 180 dollari alla tonnellata di crediti d’imposta per la cattura e il sequestro di anidride carbonica previsti dall’Inflation Reduction Act. I dirigenti di Aramco Ventures affermano che intendono distribuire la tecnologia in Arabia Saudita, una volta che Spiritus l’avrà collaudata.

I numeri di Saudi Aramco

Negli ultimi 12 mesi Saudi Aramco ha generato utili per 117 miliardi di dollari, a fronte di ricavi per 490 miliardi: più di qualsiasi altra società della Global 2000 di Forbes. Quest’anno prevede di distribuire dividendi per 124 miliardi di dollari, pari a un rendimento di circa il 6%.

Il titolo di Aramco viene scambiato appena al di sopra del prezzo della sua Ipo del 2019, a una capitalizzazione di mercato di 1.900 miliardi di dollari. Il governo saudita possiede ancora più del 90% della compagnia e questo mese ha raccolto 12 miliardi in un’offerta secondaria di azioni, pari a meno dell’1% della società. Con quasi 100 miliardi di liquidità, a fronte di 77 miliardi di prestiti, il bilancio di Aramco lascia a Nasser opzioni pressoché infinite per cercare di crescere. Una buona parte di quelle opzioni sono interne all’Arabia Saudita. Ciascuno dei progetti petroliferi Marjan e Berri aggiungerà più di 250mila barili al giorno alla capacità produttiva della compagnia, mentre i giacimenti di gas appena annunciati di Jafurah forniranno quasi 57 milioni di metri cubi al giorno. L’espansione della Fadhili Gas Plant, struttura da 8 miliardi di dollari, contribuirà con altri 42,5 milioni di metri cubi.

Investimenti in giro per il mondo

Aramco, però, dopo avere operato principalmente in patria per decenni, è decisa a diversificare a livello globale. Investirà 6 miliardi in uno stabilimento petrolchimico in Cina, ha comprato il 40% di Gas & Oil Pakistan, ha acquistato la catena di stazioni di servizio cilena Esmax per 370 milioni di dollari e una quota dello sviluppatore di gas naturale liquefatto australiano MidOcean Energy.

Si dice che Nasser sia in caccia di altri accordi, specie se possono aiutarlo a rispettare la promessa delle zero emissioni nette di carbonio entro il 2050. Un obiettivo plausibile potrebbe essere Bp, che ha una capitalizzazione di mercato di 100 miliardi di dollari e di recente è stata troppo impegnata a rimescolare i vertici aziendali per essere coinvolta nell’ondata di fusioni e acquisizioni nel settore petrolifero. Bp ha perso 19 posizioni nella Global 2000 di quest’anno e si è attestata al 47esimo posto.

Bp ha attività legate a petrolio e gas in tutto il mondo, ma ciò che potrebbe interessare davvero a Nasser è il suo ramo dedicato alle rinnovabili, LightsourceBP, che ha progetti per 60 gigawatt solari ed eolici in fase di realizzazione. Sarebbe di grande aiuto al graduale processo di trasformazione verde di Saudi Aramco.

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