Con la chiusura di un’altra vendemmia e l’inizio del processo di trasformazione delle uve, l’industria vinicola si trova a dover fare i conti con una situazione sempre più complessa. L’Italia, uno dei maggiori produttori di vino del mondo, è al centro di un dibattito cruciale riguardante il surplus produttivo.
Sebbene la qualità del vino italiano sia riconosciuta a livello globale, non tutto il vino prodotto riesce a trovare il proprio mercato. Accanto alla tradizione della distillazione delle vinacce, che porta alla produzione di grappa, esiste anche un’altra forma di distillazione: quella del vino, che genera distillati nobili, ma oggi meno popolari, come il brandy.
La vendemmia del 2024 vede un aumento del 7% rispetto al 2023, con una previsione di 41 milioni di ettolitri, anche se piogge abbondanti al Nord e siccità al Sud hanno limitato il raccolto, che si distingue comunque per una buona qualità.
L’Italia si riconferma il primo produttore mondiale di vino, superando la Francia, che ha visto un calo del 18%, e la Spagna, ora al secondo posto. Crescono le produzioni in Argentina, Australia e Sudafrica, mentre calano in Cile e Nuova Zelanda.
A livello regionale, il Veneto rimane il principale produttore con 11 milioni di ettolitri. Al Nord si distinguono il Piemonte (+10%) e l’Emilia-Romagna (+7%), mentre Lombardia e Sardegna sono in calo. Abruzzo e Molise mostrano aumenti significativi, rispettivamente +85% e +100%, mentre Sicilia e Sardegna subiscono flessioni dovute alla siccità.
Il contesto del surplus di vino
Ma nonostante letti così i dati sembrino positivi, l’Europa si trova ad affrontare un surplus di produzione vinicola che sta creando gravi difficoltà economiche per molti produttori.
In Italia, il surplus di vino supera i 60 milioni di ettolitri, un numero impressionante che non solo compromette il mercato interno, ma mette anche a rischio la reputazione del vino italiano nel mondo. Negli ultimi anni, nonostante le esportazioni di vino italiano abbiano mostrato segni di crescita, il volume delle esportazioni è stagnante o addirittura in calo. Questo è principalmente attribuibile all’aumento dei prezzi, piuttosto che a una crescita della domanda.
L’analisi dei dati evidenzia un fenomeno preoccupante: mentre il mercato del vino di alta qualità continua a prosperare, la maggior parte dei consumatori sembra essere meno propensa a investire in bottiglie costose. Inoltre, le vendite nella grande distribuzione hanno registrato una diminuzione in volume, nonostante un incremento dei ricavi. Questo suggerisce che i consumatori stanno scegliendo di spendere di più per un numero inferiore di bottiglie di alta qualità, piuttosto che aumentare il volume complessivo delle loro spese.
La distillazione di crisi
Per affrontare questa crisi, la distillazione di crisi è diventata una pratica comune in paesi come Francia e Spagna, dove l’eccedenza di vino viene trasformata in alcol utilizzabile in vari settori, da quello alimentare a quello cosmetico. Tuttavia, l’Italia non ha ancora ufficializzato richieste per la distillazione di crisi, nonostante l’elevato surplus, come dichiarato anche recentemente anche da Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini (Uiv), che ha sottolineato la necessità di un “vigneto Italia” più gestibile e flessibile, da ottenere tramite strumenti di intervento che possano affrontare il problema delle eccedenze e rendere meno traumatiche le annate di scarsa produzione.
Durante il Divinazione Expo, Frescobaldi ha ribadito la sua contrarietà agli espianti, misura già adottata in Francia, ricordando l’esperienza di 13 anni fa, quando, nonostante una spesa pubblica di circa 300 milioni di euro per espiantare 30 mila ettari, principalmente in collina e aree Doc, due anni dopo si è registrata una vendemmia record di 53 milioni di ettolitri.
La distillazione del vino
Ma se da un lato abbiamo già parlato della distillazione d’emergenza, esiste un altro tipo di distillazione del vino, che può avvenire sia con vino sano che con vino guasto (ma non acetificato), e che può dare ottimi risultati. Infatti, da secoli si è usata questa pratica per la produzione di acquaviti come il brandy, anche se negli ultimi anni, il mercato ha visto una diminuzione dell’interesse per questi distillati, con ad esempio il consumo pro capite di Cognac (il nobile equivalente francese) oltralpe che è calato fino ad essere inferiore a quello mensile di whisky nell’esagono. Questo spostamento nella preferenza dei consumatori crea un’opportunità unica per rivalutare la distillazione del vino non solo come pratica tradizionale, ma come una strategia per la produzione di gin.
Infatti questo distillato che ha conquistato i consumatori di tutto il mondo. La distillazione del vino per produrre gin rappresenta un modo alternativo di affrontare il surplus di produzione, unendo la tradizione vinicola con le moderne tecniche di distillazione. Questa pratica non solo consente di smaltire l’eccedenza di vino, ma anche di creare prodotti unici che possono attirare un pubblico sempre più vasto con una narrazione territoriale che va oltre le celebri botaniche. Esistono già molti esempi di questo tipo, sia qui da noi che in altri paesi europei, ecco alcuni esempi interessanti.
Gin in Italia
Un esempio di gin italiano di questo tipo è O de V, prodotto da Enoglam. Questo gin si distingue per l’utilizzo del vino come base alcolica. Proposto in due varianti, White e Black, quest’ultima presenta una leggera affumicatura di rosmarino, che conferisce un tocco aromatico inedito e distintivo. O de V si sta affermando come un prodotto che celebra il patrimonio vitivinicolo italiano, mentre si rivolge a un pubblico globale.
Un altro produttore innovativo è Winestillery, la prima vinstilleria al mondo che combina winery e distillery. Fondata dalla famiglia Chioccioli Altadonna, Winestillery distilla vino del Chianti per creare gin unici e innovativi. Il master distiller Enrico Chioccioli Altadonna ha studiato la distillazione in Francia e America, portando le sue competenze a Gaiole in Chianti.
Qui tutti prodotti sono a base di alcool di vino dei vigneti di sangiovese circostanti, dal London Dry Gin alla Vodka, fino ai prodotti innovativi come l’Old Tom Gin senza zuccheri e uno Sloe Gin (battezzato Slow Gin) a base di infusione di vinaccia, dimostrando come le tradizioni vinicole possono essere reinterpretate attraverso un alambicco.
Gin in Francia
In Francia, il gin sta guadagnando sempre più spazio, con etichette che utilizzano la ricca tradizione vinicola del paese. Un esempio di questo è G’Vine, nato a Maison Villevert, dove la visione del master distiller Jean-Sébastien Robicquet ha portato alla creazione di un gin che utilizza acquavite di uva come base alcolica. Ma ciò che rende G’Vine unico è l’uso dei fiori di vigna, raccolti durante la loro breve fioritura annuale e distillati in alambicchi fiorentini. Questa combinazione di botaniche, che include ginepro, zenzero, cardamomo e molti altri, crea un profilo aromatico complesso e raffinato.
Un altro prodotto emergente è Mirabeau Rosé Gin, un London Dry proveniente dal sud della Francia. Questo gin combina alcol a base di uva con botaniche fresche, come limone e coriandolo, insieme a petali di rosa, lavanda e gelsomino. La sua estetica, che richiama un vino provenzale, unita a un sapore equilibrato, lo rende adatto sia per essere gustato liscio che per preparare cocktail sofisticati.
Infine, tra le novità, da segnalare il Gin Dry Renais ideato dall’attrice Emma Watson, nata a Parigi ma di origine britannica, ispirato ai ricordi della sua infanzia trascorsa nei vigneti di famiglia a Chablis, dove suo padre ha lavorato per oltre 30 anni. Questo gin innovativo è realizzato utilizzando un distillato ottenuto dagli scarti delle uve impiegate per la produzione del vino.
A questo viene aggiunto un distillato ottenuto dalle rocce kimmeridgiane della zona e un pizzico di salgemma, per riprodurre il caratteristico gusto minerale e leggermente salino tipico del vino di Chablis. Tra le botaniche utilizzate nel gin ci sono uve biologiche provenienti dai vigneti Grand Cru del Domaine Des Malandes, raccolte subito dopo la pressatura per il vino. Insieme al ginepro, si aggiungono anche fiori di tiglio, pepe cubebe e miele di acacia, che contribuiscono a creare un profilo aromatico complesso e raffinato.
Gin in Portogallo
Vale infine la pena di citare uno dei Gin più celebri degli ultimi anni anche qui in Italia (dov’è importato da Dovel), ovvero Adamus. Questo Gin Adamus Gin prodotto nella regione portoghese di Bairrada, famosa per i suoi vigneti e, in particolare, per l’uva Baga, celebre per il suo sapore ricco e tannico quando usata nella vinificazione, ma nel caso di Adamus Gin, viene utilizzata per donare al distillato note fruttate e floreali distintive, contribuendo al suo profilo aromatico complesso.
Per raggiungere il risultato finale, i maestri distillatori hanno testato ben 86 botaniche, selezionandone soltanto 18. Questo lungo e accurato processo di selezione assicura che ogni ingrediente utilizzato contribuisca in modo armonioso al gusto finale del gin. Tra le botaniche scelte, oltre all’uva Baga, vi sono erbe aromatiche e piante tipiche del territorio portoghese, come la lavanda e il caprifoglio, che aggiungono profondità al sapore del distillato.
Questo London Dry si distingue per l’enorme tappo in sughero della bottiglia, un omaggio alla tradizione del Portogallo, il maggiore produttore di sughero al mondo. Questo elemento non è solo simbolico, ma evidenzia l’attenzione del brand alla sostenibilità e al legame con il territorio. Il design della bottiglia, che ricorda un diamante, sottolinea ulteriormente la cura e l’eccellenza che caratterizzano questo gin premium, rendendolo immediatamente riconoscibile e attraente per gli appassionati di gin di tutto il mondo.
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