Finita la cena delle cene, alla Società del Giardino di Milano i fasti si sintetizziamo coi numeri: sette maître, sessanta camerieri, trenta sommelier e dieci addetti alla movimentazione. Mentre i cinquecento ospiti se ne escono con un librone sotto braccio. La cena di gala è il sigillo mondano all’apertura della stagione del Teatro alla Scala, con l’opera La forza del destino di Giuseppe Verdi, nel giorno del patrono della città: Sant’Ambrogio il 7 dicembre. È la Prima della Scala, il grande evento di sempre, in diretta Rai e mondovisione. Chi può c’è, perché da due secoli abbondanti è questo il salotto buono della città.
Il librone, “La Scala. Architettura e città” (Marsilio), l’ha scritto Pierluigi Panza e racconta le trasformazioni strutturali del teatro, dalla posa della prima pietra, nel 1776, a oggi, ma al contempo ripercorre la storia di una città che è la testa della Lombardia, a sua volta locomotiva d’Italia.
Tra palco reale, platea e gallerie è passata la storia d’Italia, si va dai cospiratori risorgimentali annidati tra i palchi, e snidati dalla polizia austriaca, a quello reale da dove l’imperatore Francesco Giuseppe e consorte, la malinconica Sissi, tentarono, fallendo, di riannodoare i rapporti con l’aristocrazia milanese ormai filo-sabauda (1859). Qui sabato fra le istituzioni si ergeva, nobile e fiera, la senatrice Liliana Segre, monumento vivente alla resilienza; qui il presidente Sergio Mattarella raccolse un fiume di applausi, in una delicatissima fase del nostro Paese.
Col nuovo Governo, issata la bandiera del trinomio Dio-Famiglia-Patria, s’è rotto il ventennio di conduzione della Scala franco-austriaca, e nonostante l’ottima performance dell’ultimo sovrintendente, il francese Dominique Meyer, s’è fatto in modo che al timone ci fosse un italiano: Fortunato Ortombina, in sella dall’aprile 2025. Anche questa è storia.
Storia è un foyer più sobrio e compito d’un tempo, abiti d’un lusso non più sfrontato e neppure fantasioso, ora domina il “less is more” Armani, che di fatto è pure sponsor dell’istituzione. E tocchiamo il tema “sponsor”, la manna di un teatro che per contributi privati, pari a 44 milioni, è il numero due al mondo, alle spalle del Metropolitan di New York. Il nostro librone narra il contributo fondamentale dei palchettisti del Sette e Ottocento che regolarmente si riunivano per raccogliere fondi per il proprio teatro, voluto al punto da far abbattere la chiesa di Santa Maria della Scala. Vollero un teatro moderno, con tutti i confort dell’epoca, dunque cucine, ristoranti, bottiglierie, botteghe, sale da ballo e da gioco, cui cedette – così si narra – anche il giovane Alessandro Manzoni.
Un parallelo coi Promessi Sposi di Manzoni ha dato sostanza all’attacco del Discorso alla città dell’arcivescovo Delpini, enunciato il 6 dicembre, e centrato sul valore della fiducia e del dovere di darsi coraggio. E con la fiducia nella Provvidenza chiude la Forza del destino andata in scena sabato, un finale che Giuseppe Verdi riscrisse apposta per Milano dotandolo di questa luce ambrosiana. Assumono, dunque, un peso particolare le parole di Antonio Marcegaglia, anche lui alla Prima, quando dice che “il tema del destino che prende il controllo è attualissimo, ma penso che questa forza vada orientata anziché subita”. Sabato c’era tanta imprenditoria e finanza alla Scala, dai fratelli Marcegaglia a Diana Bracco, i Moretti, Giovanni Bazoli, Francesco Micheli, Antonio Patuelli.
Questo ed altro è la Prima della Scala, che ha poi totalizzato oltre due milioni e mezzo di euro d’incassi. Del resto, tradizione vuole che siano milionarie le inaugurazioni di stagione del teatro massimo cittadino, un unicum italiano. La produzione è stata seguita da 1800 persone in sala e 1.411 milioni via tv grazie alla diretta Rai, 10,2% di share. Numeri importanti per la musica d’arte, sebbene la Scala stacchi tutti anche per il resto dell’anno accogliendo 450mila spettatori, che fruttano 37 milioni di ricavi da botteghino. Così è stato per il 2023. Meglio pare sarà il 2024.
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