L’89% dei lavoratori italiani rende di più se c’è un senso di collettività tra i colleghi. L’88% lavora meglio se sente di “conoscere bene” le persone che ha intorno e l’87% vorrebbe che il posto di lavoro fosse una comunità. E non è solo questione di performance: per l’89% delle persone il “senso di comunità” sul lavoro è importante per la propria salute mentale. Il 76% ha creato rapporti di amicizia con i colleghi. E per l’85% l’esperienza in ufficio è stata di aiuto anche nella vita personale, grazie alle relazioni con persone di opinioni e background diversi.
La socialità nel posto di lavoro
È una forte richiesta di socialità quella che emerge dalla nuova edizione del Randstad Workmonitor, l’indagine di Randstad in 35 Paesi sulle trasformazioni del mercato del lavoro. Lo studio ha analizzato il senso di collettività e la fiducia tra i dipendenti, attraverso le interviste a 26.800 persone a livello globale, 750 in Italia.
Il bisogno di “fare comunità” oggi appare imprescindibile e fortemente legato all’esigenza di benessere, espressa in modo chiaro dai lavoratori italiani. Il 57% sarebbe pronto a lasciare il posto attuale se non si sentisse a suo agio (30 punti in più rispetto a un anno fa). Il 42% non accetterebbe un nuovo lavoro se l’organizzazione non facesse uno sforzo proattivo per promuovere una comunità o una cultura positiva.
Come si costruisce la comunità
Per gli italiani, la comunità si costruisce innanzitutto dal vivo: per l’84% è più facile costruire relazioni con i colleghi sul posto di lavoro, piuttosto che da remoto. E secondo il 79% per migliorare la produttività è necessario lavorare in ufficio. Addirittura, per il 71% andare in ufficio migliora l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Questo non significa una retromarcia sullo smart working, a cui i dipendenti non intendono affatto rinunciare: il 35% potrebbe lasciare l’impiego se il datore di lavoro chiedesse di passare più tempo in ufficio. E la mancanza di flessibilità nell’orario di lavoro è la terza ragione (indicata dal 45% dei lavoratori) per rifiutare un lavoro, dopo l’assenza di benefit e di carriera.
Ma la preferenza va per formule ibride, che combinano la possibilità di relazioni dal vivo alla flessibilità. Analizzando le risposte degli impiegati, oggi, la maggioranza (il 28%) lavora tutti i giorni in sede, il 12% fa un giorno alla settimana di smart working, il 19% due, il 6% tre il 4% quattro e il 9% tutti i giorni. Ma, se potessero scegliere, i lavoratori opterebbero prevalentemente per un solo giorno di smart working (27%) o per due (25%), non formule al 100% da remoto.
“Tra i profondi cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, emerge con forza la richiesta di senso di collettività tra i dipendenti italiani”, dice Valentina Sangiorgi, chief hr officer di Randstad. “I benefici della socialità, della fiducia e del senso di appartenenza sul posto di lavoro sono in grado di migliorare performance e benessere, possono essere la vera marcia in più per le persone e per le organizzazioni. Dopo l’esperienza dello smart working di massa che in certi casi ha comportato anche isolamento e senso di straniamento, gli italiani oggi sono tra i più convinti che la relazione si costruisca dal vivo. E ricercano formule ibride tra lavoro in presenza e da remoto, per massimizzare insieme i benefici della flessibilità e della relazione con i colleghi. Su questo aspetto, sembra essersi trovato un accordo tra le esigenze di lavoratori e imprese, che secondo i risultati dell’indagine stanno trovando nuovi equilibri per soddisfare le richieste di flessibilità delle persone”.
Il valore della comunità
L’importanza del senso di collettività per la performance è maggiore tra i lavoratori italiani rispetto al resto del mondo: l’Italia è 4 punti in più della media globale e 5 in più dell’Europa. L’aumento di produttività è avvertito maggiormente dagli uomini rispetto alle donne, e dai Boomers e dalla Generazione X rispetto alle altre fasce di età. Il 90% degli italiani socializza con piacere con i colleghi, una percentuale che ci pone in 5° posizione su 35 Paesi analizzati. E il 72%, soprattutto la Gen-Z, frequenta i compagni di lavoro anche fuori dall’azienda. La composizione demografica non è un ostacolo: l’81% dei lavoratori reputa facile andare d’accordo con colleghi di diversa età, sesso e provenienza.
Fiducia del proprio manager
Il ruolo del manager è cruciale nella creazione dell’ambiente lavorativo e del senso di comunità. Il 64% dei lavoratori italiani ha un rapporto solido con il proprio responsabile, il 68% si sente più legato al proprio manager che all’azienda nel complesso. Il 45% darebbe le dimissioni in caso di frequenti disaccordi con lui. Secondo il 77% degli intervistati, i manager si fidano quando si tratta di gestire le attività in modo indipendente. Una fiducia che viene percepita anche nel lavoro da remoto: nel 72% dei casi, i responsabili pensano che il proprio team sia produttivo anche se non fisicamente in ufficio.
Fiducia nel datore di lavoro
In generale, anche le opinioni sulla propria azienda sono positive: l’84% dei lavoratori percepisce un senso di fiducia, il 77% è a suo agio nel condividere punti di vista e posizioni personali sul lavoro senza temere giudizi o discriminazioni, il 76% si fida dei colleghi. I giudizi più negativi sono sulla flessibilità: solo il 55% dei lavoratori può scegliere quanto lavorare, il 53% dove lavorare, appena il 49% ha un sostegno sufficiente per il congedo parentale e per gravi motivi familiari.
I motivi per lasciare l’azienda
L’importanza del work-life balance e del benessere si confermano anche tra i primi motivi per cui gli italiani lascerebbero l’attuale datore di lavoro. Le prime ragioni sono il basso stipendio (evidenziato dal 41% degli intervistati), poi il fatto che il lavoro non si adatti alla vita personale (40%) e un ambiente di lavoro tossico (40%). A seguire, il 29% cesserebbe il rapporto di lavoro perché l’azienda non ha dato seguito alle richieste di condizioni migliori, il 27% per flessibilità insufficiente, il 24% per mancanza di fiducia nel team dirigenziale.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .