Cover story tratta dal numero di dicembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
Sembra relegata in un angolino d’Italia. Lassù verso la Slovenia, stretta tra il mare e il confine. Poi, guardando meglio, si scopre che Trieste, seppur così spostata a Nordest, è un punto di riferimento italiano. Non solo per il castello di Miramare e le sue leggende, non solo per il suono delle campane di San Giusto, ma per il suo peso economico e finanziario.
Due nomi per tutti: il Porto, il primo in Italia per traffico merci e il primo in Europa per il petrolio; le Assicurazioni Generali, uno dei pilastri su cui si basa la forza finanziaria italiana anche all’estero.
Trieste, poi, è una città disincantata: ne ha viste troppe nella sua storia. Da lì si gode una splendida vista sulle cose italiane, guardate però con il binocolo della Mitteleuropa, distaccata dalle miserie di casa nostra e più intellettuale, austera, imparziale. E allora, per farsi raccontare questo momento italiano dall’osservatorio privilegiato di Trieste, non c’è nessuno meglio di Riccardo Illy, industriale del caffè da tre generazioni, oggi alfiere dei prodotti alimentari di qualità con il Polo del Gusto, ma soprattutto triestino e italiano fino al midollo.
Controcorrente quanto basta. È un imprenditore sui generis: da industriale è stato vicepresidente di Confindustria, ma anche sindaco di Trieste e presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, eletto da indipendente con la sinistra. Eppure non si sente in contraddizione con sé stesso. “No, per due ragioni”, spiega. “Normalmente quelli di destra sono i conservatori, quindi coloro che propongono un approccio liberale, mentre da noi quelli di centro destra hanno interessi al monopolio e oligopolio, non a liberalizzare il mercato. Mi ritrovo più nel pensiero liberale, a favore della concorrenza che alberga nella sinistra rispetto a quello conservatore del centro destra italiano. Forse negli Stati Uniti mi troverei coi democratici che sono liberali. Mi definisco comunque un progressista”. Illy considera il periodo in Confindustria, anni di apprendimento utili. “Ho provato però un mondo statico e conservatore nel senso letterale della parola. Poca propensione all’innovazione, meccanismi farraginosi compresi quelli elettivi”.
Ma questo ormai è il passato. Riccardo da sempre è un appassionato della qualità e della sostenibilità, prima che diventasse una moda necessaria. “Credo che sia un cambiamento culturale importante che parte soprattutto dai giovani”, dice. “I temi ambientali oggi vengono insegnati nelle scuole, prima no. Per fortuna in famiglia mio padre e mio nonno hanno sempre avuto questa sensibilità: se in montagna mi cadeva una cartaccia per terra la dovevo raccogliere. C’è poi un altro fattore: la popolazione sulla Terra sta raggiungendo il limite, le proiezioni demografiche lo dicono, e questo ci obbliga a pensare alla disponibilità ridotta delle risorse. Ecco che entra in gioco la sostenibilità”.
A Riccardo piacciono le sfide e guardare le cose dall’alto, perché si vedono meglio. Sciatore, appassionato della montagna, ha volato anche con il deltaplano (“è lo sport più bello che io abbia fatto nella vita finora”). Legge e scrive libri ma la sua grande passione è il lavoro. E creare cose nuove.
“In principio fu il caffè”. Chi vuole raccontare la genesi del gruppo Illy, deve partire per forza con questa frase. È vero, in principio fu il caffè, ma fu soprattutto il nonno, Francesco, che in pieno impero austro-ungarico, giunto a Trieste dall’Ungheria, capì che quel porto sull’Adriatico movimentava una gran quantità di caffè. E lui, capace e scaltro, si infilò nel business. Ma in principio fu anche la cioccolata, che nonno Francesco si era messo a produrre, per poi rendersi conto che era troppo complicato. Tentò anche la via delle conserve di frutta, ma si trattò di una strada a fondo cieco perché la Regione Istria, dove piantò gli alberi da frutta per produrre la materia prima, passò alla Jugoslavia alla fine della seconda guerra mondiale. E la fattoria venne subito nazionalizzata dal governo comunista.
Così mise da parte le attività accessorie e, idealmente, le lasciò in eredità alle generazioni successive. Che in effetti, a cominciare da Riccardo, hanno saputo raccogliere il testimone con il Polo del Gusto, una subholding del gruppo Illy, che fattura 90 milioni e controlla o partecipa attività nella cioccolata (Domori), nel vino (Mastrojanni), nel tè con Dammann Frères, nelle confetture (una partecipazione in Agrimontana), guidata dall’ad Andrea Macchione.
Ma il nastro si è riavvolto con l’idea iniziale del nonno. “In effetti riprende all’inizio l’idea originale del nonno con riferimento al mondo del cioccolato”, conferma Illy, “ma si ispira al modello di business sviluppato con il caffè. Domori crea un approccio nuovo nella vendita del cioccolato. Sono due aziende, Illy Caffè e Domori, che non sono copiabili dai grandi gruppi. E hanno una filiera e un processo produttivo talmente diverso, che nessun’altra azienda potrebbe fare come loro. Domori usa solo la materia prima migliore in assoluto. La specie migliore di cacao si chiama Criollo, praticamente scomparsa dalla terra. Domori ne ha recuperato due piantagioni: una in Venezuela e una in Ecuador per produrre in partnership con famiglie locali la migliore qualità di cacao. Domori usa Criollo o Trinitario e li trasforma con un processo evolutivo originale: tostatura, macinazione, raffinazione (che si fa con macchine a rulli) e poi il concaggio dopo aver aggiunto gli altri ingredienti come burro di cacao, vaniglia, vanillina, zucchero. La differenza di Domori è che mette insieme in un unico processo produttivo queste tre fasi e usa dei mulini, con cilindri pieni di sfere d’acciaio, che vengono mosse da un motore elettrico”.
Domori è stata fondata nel 1997 dall’attuale presidente e socio di minoranza Gianluca Franzoni. Illy l’ha acquisita nel 2006, e ha dovuto fare diversi aumenti di capitale. Domori però è stata l’inizio del processo di diversificazione, avviata nel 2004 con la costituzione del gruppo Illy. “Quando entrai alla Illy Caffè”, racconta Riccardo senza celare un pizzico di orgoglio, “i miei genitori avevano poco più del 60% delle azioni dell’azienda. E producevamo meno di un ventesimo rispetto a oggi”. Il resto delle azioni era di una finanziaria regionale e di Ermanno Hausbrandt.
Negli anni a seguire, fino al ‘91-’92, la famiglia ha acquisito il 100% e nel frattempo i volumi si erano moltiplicati per cinque. “Nel 2004 avevamo il 100% della Illy Caffè”, prosegue Riccardo. “I miei genitori decisero di fare il secondo passaggio generazionale, quindi venne costituita la holding di famiglia, il gruppo Illy, con il controllo che è stato passato ai tre fratelli e alla sorella. I nostri i genitori tennero solo il 10% del capitale. Io divenni presidente del gruppo Illy con il compito di avviare la diversificazione. Ci siamo detti: abbiamo una storia, delle radici legate al cioccolato, alle confetture e persino ai tè. Decidemmo quindi di avviare la diversificazione. Tra il 2006 e il 2008 ho acquisito Domori e Dammann Frères per il tè”.
Poi è arrivata Mastrojanni, l’azienda vinicola che a Montalcino produce Brunello. “Il vino è un ritorno all’agricoltura”, sostiene Riccardo. “Fu mio fratello Francesco, che adesso è uscito dalla società, a innamorarsi di quel posto. Stabilì un’amicizia con la vecchia proprietà e quando questa decise di vendere riuscimmo ad inserirci nell’asta e a diventare i nuovi proprietari. Mastrojanni ha richiesto molti investimenti, ma oggi sta dando le soddisfazioni che ci aspettavamo. Invece il progetto delle confetture lo abbiamo realizzato con la partecipazione in Agrimontana”.
Il progetto del Polo del Gusto è nato da poco ma è in pieno sviluppo. E si sta anche muovendo a caccia di risorse per crescere. L’anno scorso Domori ha emesso un mini bond quotato da 5 milioni. È stato il primo contatto con il mercato.
“Per il Polo del Gusto, invece, siamo alle battute finali, con la selezione di un partner finanziario al quale vogliamo cedere il 20-25, massimo 40%, tramite aumento di capitale da organizzare per l’anno prossimo”, spiga Illy. “Con le nuove risorse vogliamo rafforzare patrimonialmente le società esistenti in modo da accompagnarne la crescita e fare alcune nuove acquisizioni. Tre i nostri settori prioritari: quello vitivinicolo, e mi riferisco alle zone del Barolo perché a me interessano solo i vini universali cioè quelli che hanno una lunghissima storia e sono già distribuiti a livello globale. Ci potrebbe interessare anche l’Amarone, ma quello è un vino difficile. Altro obiettivo sono i biscotti, dove riteniamo ci possano essere delle eccellenti sinergie nella distribuzione con il cioccolato e le confetture. Abbiamo acquisito Pintaudi, un’azienda che produce biscotti di altissima qualità con sede a Trieste che usa farine speciali, in genere farro o kamut, e fa prodotti gluten free. Inizieremo la produzione già dal prossimo anno. Infine le caramelle. Siamo molto interessati anche a quelle”.
Chissà se tutti questi prodotti alimentari, gustosi, di grande qualità, e anche un po’ sfiziosi, un giorno troveranno una casa in comune, anzi una vetrina comune. Riccardo ha un’altra idea. Almeno per ora. “Prevediamo che ogni società apra negozi monomarca. La società più avanti da questo punto di vista è Dammann Frères con nove boutique gestite in proprio nell’area di Parigi e con la previsione di aprire la decima il prossimo anno. Ne ha altre 13 in licensing nel resto della Francia, una a Lussemburgo, una in Corea del Sud e due in Giappone: la prima, aperta a Parigi nel 2019, ha fatturato un milione di euro. L’unica boutique in Italia è a Milano, in piazza XXV Aprile, gestita da Domori. Con Domori vogliamo aprire il primo flagship store sicuramente a Torino, mentre nei luoghi di passaggio, come stazioni ferroviarie e aeroporti, puntiamo a sperimentare negozi plurimarca, quindi con un’insegna comune, che non sarà Polo del Gusto”.
L’idea di sviluppare, seppur all’interno del Polo del Gusto, ogni singola società per conto proprio è finalizzata anche alla way out di eventuali investitori istituzionali: le società-prodotto, infatti, dovrebbero essere quotate quando ci saranno le condizioni. Ma Illy ha anche un’altra alternativa: quotare il Polo del Gusto con negozi plurimarca con il nuovo brand commerciale. “È per questo”, dice, “che chiediamo a chi investirà un impegno di dieci anni. Il nostro à un progetto vincente ma che ha bisogno del suo tempo”. In tutto questo Illy Caffè andrà per i fatti propri restando però il punto di riferimento della famiglia. Non è da escludere, però, che lo si possa trovare nei negozi plurimarca assieme al cioccolato, alle caramelle o ai biscotti. Su questo Illy è sornione e se la cava con una battuta: “Non escludo una soluzione del genere, ma al momento non ci abbiamo pensato. Lo chiederò al nuovo amministratore delegato”.
È un progetto non solo italiano ma che guarda con grande interesse anche all’estero. E oggi essere un’azienda italiana aiuta molto nei rapporti internazionali. “Oggi aiuta molto, molto di più rispetto a quello che si percepisce all’esterno”, conferma Illy. C’è un apprezzamento particolare, ad esempio, nella moda, nei mobili, nell’agroalimentare, nel design e negli orologi. In Cina l’orologio di grido in assoluto è italiano: il Panerai. Lo stesso vale per i ristoranti. La metà dei migliori è italiana. L’Italia vince per la qualità e la sostenibilità, anche per la dieta alimentare che propone, per la sua bellezza, per la simpatia degli abitanti. Tre fattori dove pochi possono eguagliarci. E fanno dell’Italia uno dei più grandi brand al mondo”.
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