“La nostra è una società sui generis, fondata da una donna visionaria”. Con queste parole Stefano Carganico, partner e vp sales global and head of subsidiaries, descrive Pqe Group, azienda specializzata in soluzioni tecnologiche e servizi di consulenza sulla compliance nel settore life science, con sedi in 27 paesi e oltre 1.100 dipendenti nel mondo. Carganico, che aveva iniziato la sua carriera come ricercatore, con un dottorato di ricerca ad Harvard in chimica, è entrato poi in Pqe Group dove lavora da undici anni.
Pqe Group è stata fondata a Firenze, nel 1998, da Gilda d’Incerti, manager con una lunga esperienza nel campo della farmaceutica e della tecnologia. La sua visione è presente in ogni elemento distintivo del gruppo: dalla promozione della meritocrazia, all’inclusione, fino alle attività di corporate social responsibility.
Recentemente, Pqe Group è stata premiata tra le Best managed companies, un premio di Deloitte Private per supportare le eccellenze italiane d’impresa nell’ambito dell’iniziativa sostenuta da Elite, il programma di Borsa Italiana che promuove lo sviluppo delle imprese ad alto potenziale.
Che cosa intende quando dice che Pqe group è una società sui generis?
Pqe Group è frutto del progetto della sua fondatrice, una donna visionaria che ha identificato, prima di tutto, una mission: creare posti di lavoro, con l’obiettivo di includere tutte le culture del mondo. Sembrava una follia, ma come soci l’abbiamo seguita. Il mondo della consulenza è tradizionalmente molto maschile e maschilista, può sembrare anche aggressivo, anche per la natura del lavoro stesso. Noi siamo un’altra cosa: la leadership femminile ha creato un ambiente inclusivo, dove le persone lavorano in team multiculturali. La fondatrice è stata per Pqe Group la forza della natura che spinge verso la selezione naturale del più adatto, e non del più ‘anziano’.
Come viene declinato questo concetto di meritocrazia?
Da noi la meritocrazia è applicata in ogni aspetto. In molti contesti è inusuale che un giovane comandi una persona più senior, spesso ci si ritrova con molta disparità tra sessi o tra persone di diversi paesi. Nel nostro gruppo non è così: la meritocrazia è applicata costantemente, e, unita alla crescita e all’ambiente inclusivo, ci ha portato a sviluppare dei meccanismi di adattamento come in un organismo vivente. Noi cambiamo pelle, ci adattiamo, viviamo in uno stato di miglioramento continuativo. Selezioniamo i migliori, donne e uomini, giovani e persone che spesso vengono da altre realtà. Questo nelle società di consulenza non è molto frequente: se arriva una persona con lo spirito giusto, noi la accogliamo meritocraticamente, e può passare avanti anche a persone più senior.
Come incide la crescita?
Cresciamo rapidamente e Pqe Group è un candidato serissimo a diventare il numero uno nella consulenza mondiale del life science. Al momento non esiste alcuna azienda che abbia venti sedi con gruppi tecnici di lavoro in questo settore. La gran parte dei nostri competitor ha una prospettiva più locale.
Siete un’azienda nata in Italia. Che ruolo gioca la cultura del nostro Paese?
Il nostro successo è anche frutto della nostra italianità, il consulente aiuta, serve il cliente, con flessibilità e con un approccio friendly. Questa cultura è insita nel nostro Paese da millenni. Nella consulenza sentiamo di avere una marcia in più. Abbiamo fatto fatica a tenere insieme tutto e anche a sfidare alcuni pregiudizi in ambito internazionale, ma ora ne raccogliamo i frutti.
Aiutate le imprese del mondo farmaceutico a sviluppare prodotti e strategie in compliance con le normative vigenti. Quali sono le sfide dei prossimi anni?
Si va verso un’era digitale in cui, finalmente, sparirà la carta. Oggi, inoltre, si cerca di fare qualità, ma sostenibile, quindi con soluzioni smart e agili. Il futuro del regolatorio sarà, in parte, lo snellimento della burocrazia, insieme alla digitalizzazione.
Che ruolo svolgono oggi i dati nell’industria farmaceutica?
Hanno sempre svolto un ruolo importantissimo, anche se oggi su questo c’è grande confusione. Non si ha idea di quanto siano controllati i farmaci, ben più di altri prodotti. Pensiamo ai vaccini e ai pregiudizi dei novax: la possibilità che ci facciano male è veramente remota, ci sono pochissimi casi su decine di milioni di persone. C’è un tema di condivisione e visualizzazione dei dati che, mostrati meglio, potrebbero aiutare a far capire il perché delle cose. Questa è un’opportunità anche per le aziende: c’è bisogno di maggiore comunicazione per dare informazioni a consumatori e pazienti che abbiano valenza scientifica.
Che futuro vede per le scienze per la vita in Italia?
Bisognerebbe investire di più. Si tratta di un’opportunità, perché le aziende italiane e gli italiani presi come singoli possono vantare preparazione e motivazione straordinarie. Manca un sistema-Paese dove imprese e istituzioni dialoghino. La mancanza di investimenti in ricerca porta a organizzarsi diversamente. Non è un caso che in Italia ci siano molte aziende di consulenza e produttori di macchine per il farmaceutico. Le competenze si trasferiscono.
Istruzione, ricerca e ambiente sono i pilastri su cui si basano le attività di csr di Pqe Group. Qual è il filo conduttore che collega i vostri sforzi in questo senso?
La nostra ceo crede molto nella possibilità di dare un contributo. Le attività possono anche dare molto all’impresa e ai dipendenti. Nel 2019 abbiamo sviluppato un progetto selezionando otto dipendenti che sono andati a fare volontariato in Nepal, nel 2020 abbiamo creato una task force contro l’infodemia da Covid-19. E quest’anno abbiamo coinvolto i dipendenti in un’attività di archeologia legata al sito di Casturm Novum a Santa Marinella, in provincia di Roma. Per sviluppare questo tipo di progetti abbiamo creato un comitato che rappresenta persone di tutti i paesi.
Che tipo di ruolo devono avere oggi le imprese nella società?
L’ideale sarebbe che le aziende facessero parte di un sistema-Paese come accade all’estero, ad esempio in Francia. In Italia solo i grandi gruppi vengono aiutati dalle istituzioni ed è un peccato. Molte aziende italiane vanno bene perché vanno bene all’estero. Vendiamo qualità nel mondo farmaceutico. Ci concentreremo su mercati importanti come gli Stati Uniti e l’Europa centrale. Il futuro per noi è consolidare, e siamo pronti a farlo.
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