Articolo apparso sul numero di dicembre di Forbes. Abbonati!
Frederico da Silva è il nuovo amministratore delegato di Gilead Sciences Italia, società biofarmaceutica californiana che da 35 anni ricerca e sviluppa farmaci per la prevenzione e il trattamento di patologie come Hiv/Aids, malattie epatiche, ematologiche e oncologiche. Oggi produce e commercializza 28 farmaci in 38 Paesi e ha oltre 15mila dipendenti, di cui metà impegnati in ambito medico e scientifico.
Da Silva, portoghese, è laureato in scienze farmaceutiche e ha un master in marketing management. Ha iniziato la carriera nel settore farmaceutico come informatore scientifico e in Gilead ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità. Forbes Italia lo ha intervistato per comprendere le innovazioni di un’azienda che opera per rendere più sostenibile e migliore la vita di centinaia di migliaia di pazienti.
Quali sono le ultime innovazioni introdotte da Gilead nel trattamento delle patologie croniche infettive?
In questi anni abbiamo portato e continueremo a sviluppare farmaci trasformativi, vale a dire farmaci che hanno un impatto significativo sulla storia naturale delle malattie infettive, in grado di curarle in via definitiva o di migliorare in modo sostanziale la vita di chi ne è colpito. Questo grazie a un modello di business che unisce competenze interne e quelle di altri partner e permette di sviluppare innovazioni nelle aree terapeutiche più complesse.
L’Hiv è un fronte su cui Gilead è impegnata con importanti innovazioni. Quali sono le prospettive per pazienti e ricerca?
Le nostre innovazioni hanno permesso lo sviluppo di terapie sempre più efficaci e meglio tollerate. Grazie a questi farmaci una persona con Hiv può avere una qualità e un’aspettativa di vita non diverse da quelle di una persona senza infezione, con un abbassamento della carica virale che rende non trasmissibile l’infezione. Pur considerando che il virus Hiv è ben più complesso come target di cura, il nostro obiettivo rimane quello di trovare una cura definitiva: stiamo lavorando insieme a Gritstone bio ad approcci innovativi come l’immunoterapia, alla ricerca di un vaccino terapeutico.
Gilead ha contribuito anche a contrastare il Covid-19: che ruolo ha svolto l’azienda nel nostro Paese?
Fin dal suo esordio, abbiamo reso disponibile il primo farmaco antivirale approvato per l’infezione da Covid-19. Questo è stato possibile anche grazie all’eccellenza di aziende del Paese che fanno parte del network di produttori dei principi attivi dei nostri farmaci. I partner italiani hanno fatto la differenza, confermando il nostro Paese come hub europeo di Gilead per la produzione dei principi attivi. Le competenze italiane sono entrate in gioco anche per la produzione dei nostri farmaci oncologici di più recente approvazione.
A che punto siete nell’area dell’oncologia?
L’oncologia è la seconda direttrice di sviluppo per Gilead e puntiamo a diventare leader. Abbiamo siglato accordi per ampliare la nostra capacità di ricerca e sviluppo e questo consentirà di sviluppare nuove opzioni terapeutiche. Entro il 2030 puntiamo a rendere disponibili terapie trasformative che possano migliorare la vita di oltre 400mila pazienti. Continuiamo nello sviluppo delle Car-T, la frontiera più avanzata della ricerca contro i tumori del sangue, che continua a dare risultati straordinari. Una delle nostre terapie ha ottenuto il Premio Galeno, considerato il Nobel per il settore farmaceutico.
Quali attività di corporate social responsibility saranno più importanti nella fase post-pandemica?
Fellowship e Community Award Program rappresentano le iniziative che esprimono l’impegno verso la ricerca e le comunità di pazienti del Paese. Attraverso i bandi sono stati erogati 14 milioni di euro, che hanno sostenuto 550 progetti finalizzati al progresso medico-scientifico e al miglioramento della qualità di vita dei pazienti. La nostra è stata una delle prime aziende a sostenere il Servizio sanitario nazionale e le associazioni di pazienti, con oltre un milione e mezzo di euro. La pandemia ha reso sempre più necessario l’impegno da parte dell’industria per un ruolo significativo a livello sociale ed economico. Penso all’accesso ai farmaci, che deve essere garantito a tutti e che non può prescindere, però, dalla sostenibilità economica. Abbiamo promosso meccanismi di rimborsabilità innovativi, prezzi differenziati per i Paesi a reddito non elevato, l’uso compassionevole e forniture gratuite per far fronte a esigenze specifiche e urgenti non altrimenti risolvibili. Ad esempio, in ambito Hiv abbiamo contribuito a ridurre dell’80% il costo dei nostri farmaci nei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, sentiamo la responsabilità di creare una società inclusiva, che contempli e integri le diversità.
Il suo percorso professionale è eterogeneo: da una laurea in materie scientifiche a un ruolo manageriale. Quale consiglio darebbe a chi volesse intraprendere un percorso simile?
Ho un fratello e una sorella minori e tre figli piccoli e penso sempre a cosa voglio trasmettere loro. Ciò che è importante per alcuni può non esserlo per altri, ma posso condividere cosa funziona per me. Lo riassumo in quattro punti: avere uno scopo, applicarsi con costanza, essere la migliore versione di se stessi e lavorare in squadra. Per quanto riguarda lo scopo, il mio percorso nel settore della salute è dovuto a un evento triste: la morte di mia nonna a causa di un’errata diagnosi di cancro. In quel momento ho deciso che non volevo succedesse ad altri. Non sono diventato medico, ma ho perseguito lo scopo di aiutare i pazienti, alla guida di un’azienda che vuole creare un mondo migliore e più sano per tutti. Anche la costanza è importante. Ho fatto errori, ma ho continuato a studiare per essere preparato a cogliere le opportunità che si sarebbero presentate nel futuro. Cerco di essere la migliore versione di me stesso. La vita mi ha insegnato che per vincere una gara devi lavorare duro, restare coerente con i tuoi valori, rispettare colleghi e avversari. Inoltre, una lezione che ho imparato nella vita è: bilanciare lavoro e vita privata. Mia moglie mi ha seguito con entusiasmo nei Paesi dove sono stato chiamato a lavorare negli scorsi dieci anni. Mi ha sostenuto e dato energia. Infine, il lavoro di squadra: lavorando da soli si ottiene poco.
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