È stata chiamata la “Force of Change” a Hollywood, la forza del cambiamento. Perché, a soli 33 anni, Margot Robbie si è affermata come una delle celebrity più quotate. E, le sue quotazioni aumenteranno ancora, dopo che il film Barbie, da lei prodotto, ha registrato 155 milioni di dollari al botteghino negli Stati Uniti. Per lei questo film, segna anche un punto di svolta della sua carriera, finanziariamente.
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“Sono cresciuta in una fattoria, con una mentalità pratica”, dice. “Fin da ragazza volevo avere il mio business ed essere in grado di mantenermi, di non avere più problemi e ansie. E per questo, ero disposta a sacrifici estremi”. Dopo essersi affermata come attrice, e anche come sex symbol, con film come The Wolf of Wall Street, Focus, The Big Short e The Legend of Tarzan, si è dedicata anche alla produzione, attraverso progetti da sviluppare e storie con ruoli di donne forti e consapevoli.
Margot Robbie l’imprenditrice
Nel 2014 ha fondato la sua casa di produzione cinematografica, LuckyChap Entertainment, insieme a suo marito, il regista britannico Tom Ackerley, che aveva conosciuto quando era aiuto regista sul set di Suite Francaise, il migliore amico di lui, il regista Josey McNamara, e Sophia Kerr, la sua migliore amica, che le faceva anche un po’ da manager.
“Io e Sophia siamo cresciute insieme nella Gold Coast, in Australia. Ci sono spiagge stupende, anche se vivere lì non è di certo una vacanza”, racconta. “Conosciamo entrambe il duro lavoro fin da ragazze. Mi fido moltissimo di lei. L’idea di fondare la nostra casa di produzione è nata dopo la premiere del film The Wolf of Wall Street a Londra, quando eravamo in un pub a festeggiare. Dato che ne avevamo passate davvero tante insieme, eravamo convinti di conoscerci fino in fondo e di poter avere successo nel business della produzione, nonostante tutte le difficoltà che potevamo incontrare”.
I quattro avevano infatti condiviso per lungo tempo insieme un appartamento a Londra. Robbie e il marito, in principio, erano solo buoni amici e lo sono stati per diverso tempo, prima di rendersi conto che esisteva qualcosa di più profondo tra loro. “Il mondo del cinema è un ‘gioco di squadra’, se il team è unito è molto probabile che il film avrà molto successo. Ho creduto così nel nostro team” ammette diretta.
Come ha deciso di produrre e interpretare il film Barbie?
Non è stata una scelta legata alla mia infanzia. Mi piacevano i trattori e passare tempo all’aria aperta. Una mia amica le aveva le Barbie, ma non io. Per quanto riguarda il film, mi sono resa conto che Barbie è un brand noto quanto la Coca-Cola. Sapevo che altri avevano provato prima a fare un film e avevano fallito. Ero certa di convincere la Mattel. Nel 2018 ottenni un meeting con il nuovo ceo, Ynon Kreiz, al ristorante Polo Lounge, al Beverly Hills Hotel. Col mio team della LuckyChap non avevamo ancora un progetto preciso, ma sapevamo che volevamo fare qualcosa di diverso. Volevamo una storia forte, allo stesso modo divertente, che sapesse far ridere, riflettere, inquietare, ma farti sentire bene alla fine. Intanto, stavo lavorando per convincere pure la Warner Bros. a salire a bordo.
Come è riuscita a convincere tutti?
Ho fatto leva sul fatto che se ci sono molti fan di Barbie, ci sono anche tanti che odiano Barbie. E che dovevamo considerare pure un mondo dove le donne sono sempre più consapevoli e indipendenti. E poi, ho pensato a Greta Gerwig come sceneggiatrice e regista. Greta è una femminista molto rispettata nell’ambiente del cinema e che ha fatto molti film impegnati. Temevo mi dicesse no. Invece ha accetto a patto che potesse scrivere la sceneggiatura con il suo compagno, il regista Noah Baumbach, un altro grande talento. Di certo, hanno creato qualcosa di geniale, assurdo ed esilarante. Con il mio team a LuckyChap abbiamo dovuto lottare per lasciare loro totale libertà creativa, dato che sia Mattel che Warner Bros. erano abbastanza nervosi. Ma, alla fine, ha funzionato.
Lei ha co-fondato LuckyChap Entertainment insieme a suo marito Tom Ackerley. Molte coppie non riescono a lavorare bene insieme. Voi invece?
Mio marito è stato per diverso tempo anche il mio migliore amico e il mio co-inquilino. Lo conosce bene e mi sono fidata di lui. Sapevo che mi avrebbe sempre supportato e seguito nelle mie scelte. Tra noi non è mai esistita competizione, ma solo rispetto reciproco per le nostre professionalità.
Lo scopo di LuckyChap Entertainment è di promuovere storie prettamente al femminile. Anche suo marito ha la sua stessa visione?
Ha una mentalità molto aperta anche lui. Crede nell’uguaglianza tra uomini e donne, nelle scelte che hanno un forte impatto e non teme le sfide o i rischi. Così mi ha sostenuto quando ho voluto interpretare Tonya, la storia controversa di una campionessa di pattinaggio, o quando ho prodotto un film delicato sulla violenza sessuale come Una donna promettente, con Carey Mullingan nel ruolo della protagonista. Abbiamo prodotto perfino un blockbuster come Birds of Prey, del mondo della DC Comics, su una mia idea che proposi alla Warner Bros. di incentrarlo sul mio personaggio di Harley Quinn. Io e Tom abbiamo letto nello stesso momento la sceneggiatura di Barbie, l’abbiamo trovata da subito vincente, anche se temevamo non ci facessero fare il film. Abbiamo dovuto lottare molto per lasciare la storia esattamente così.
In Barbie si scopre infatti addirittura un mondo opposto, che ruota attorno al concetto di bambola, ma anche ai ruoli di uomo e donna.
Il film porta veramente a riflettere in questo senso, perché il mondo di Barbie Land è un matriarcato dove sono le donne al potere. E, poi, ci sono gli uomini Ken, capitanati da un bravissimo Ryan Gosling, che si è prestato a recitare un ruolo non proprio mascolino e a saputo magistralmente prendersi gioco di se stesso. Nel mondo reale le cose vanno diversamente come scoprirà Ken, che cercherà di portare il patriarcato a Barbie Land. Alla fine, quello che conta è credere in se stessi, trovare la propria identità, lottare per i propri sogni, non conformarsi al mondo che ci circonda, ma scoprire chi si è veramente.
In Barbie si parla anche dei problemi che devono affrontare le donne self-made nel mondo reale. Anche lei ha fatto la gavetta per sfondare…
Mio padre era un agricoltore del Queensland, attivo nel business nella canna da zucchero. Mia madre una fisioterapista e ha sempre avuto uno spirito più umanitario e aperto al mondo. I miei genitori si separarono quando io avevo solo cinque anni. Crebbi con mia madre, insieme ai miei due fratelli e a mia sorella. Ci trasferimmo nell’entroterra, tra le zone rurali della Gold Coast, nella fattoria dei miei nonni. Non fu di certo facile, ma eravamo anche circondati da tanto amore. Quindi sì: nessuno nella mia famiglia veniva dal mondo del cinema.
Come ha deciso poi di voler diventare attrice?
Ero sempre dinamica fin da bambina, ribelle, molto sportiva e un po’ selvaggia. Mia madre, esasperata da quella mia infinita energia, decise di iscrivermi a una scuola di circo, dove mi distinsi da subito nel trapezio. A soli otto anni ero davvero un portento in quella disciplina. E, intanto, mi divertivo a improvvisare scene di teatro a casa per intrattenere la mia famiglia. In una fattoria questo poteva essere davvero un modo per passare una bella serata tutti insieme. La scelta di divenire un’attrice professionista l’ho presa alla high school: studiai lì recitazione e notarono il mio talento. Cominciai a fare audizioni e conquistare ruoli in tv in Australia. Per mantenermi lavoravo nella catena di fast food Subway, facevo la barista di sera o anche la donna delle pulizie.
E poi?
Quando mi diplomai mi trasferii a Melbourne, che è il centro della scena creativa, dove mi dedicai a fare audizioni e riuscii finalmente a trasformare la mia passione in un lavoro vero, da cui guadagnare. Ma il grande successo arrivò quando mi trasferii a Los Angeles. Dopo un periodo trascorso a Londra con mio marito, abbiamo deciso di tornare a vivere a Los Angeles. Adesso siamo a Venice Beach. E, mi piace fare surf o correre in riva al mare con i miei roller blades, come si vede anche nel film Barbie.
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