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Tra invecchiamento e denatalità: come la divergenza demografica impatta su crescita, debito pubblico e inflazione

In un contesto complesso dal punto di vista macroeconomico, in cui, tra diverse crisi, anche di natura geopolitica, i tassi di natalità stanno diminuendo e l’aspettativa di vita, contestualmente, continua ad aumentare, sono diverse le sfide, guardando ai prossimi 20 anni, che dovranno affrontare le principali economie mondiali: dall’impatto sull’inflazione, fino ad arrivare a quello sulla crescita e sul rapporto debito/pil che, guardando in particolar modo all’Italia, continua a crescere anno dopo anno.

Da qui l’esigenza da parte del BlackRock Investment Institute di analizzare i cambiamenti demografici e le opportunità e i rischi di investimento presentati da trend e risposte divergenti.

Tra invecchiamento e meno lavoratori

Partendo dall’assunto che “la popolazione in età lavorativa è un fattore determinante, ma non coincide con la forza lavoro occupata”, è evidente che “una forza di lavoro in calo implica che un’economia non può crescere altrettanto velocemente”, rivela Bruno Rovelli, chief Investment Strategist di BlackRock. Questo perché l’espansione della produzione di un paese si basa sull’aumento del numero di lavoratori e/o sulla crescita della produzione di ciascun lavoratore. Secondo l’Ocse, negli ultimi 20 anni la crescita della forza lavoro in tutto il G7 ha rappresentato 0,3 punti percentuali del tasso di crescita medio dell’1,7%. “Questa spinta sta ora diventando negativa. Quindi, a meno che la produttività dei lavoratori non aumenti più rapidamente, stimiamo che la crescita economica media rallenterà all’1,2%. In passato i tassi di crescita del G7 sono stati inferiori all’1,3% solo in occasione delle recessioni statunitensi”, sottolinea Rovelli.

Di conseguenza, l’impatto dell’invecchiamento sulla crescita dipende dal fatto che il paese interessato trovi il modo di compensare il calo della popolazione in età lavorativa, ad esempio attirando lavoratori da altri paesi o cercando di aumentare la quota di donne e di altri gruppi sottorappresentati nella forza lavoro. Una sfida importante considerando che è improbabile che il numero di migranti, donne e ultrasessantenni nella forza lavoro sia sufficiente a compensare completamente il calo della forza lavoro dovuto all’invecchiamento”.

L’importanza della tecnologia

In questo contesto, “risulta fondamentale, per alcuni paesi, incrementare la produttività di una forza lavoro più ridotta, investendo per esempio nell’automazione e nell’intelligenza artificiale”. D’altronde,  negli ultimi 30 anni, più la popolazione di un paese è invecchiata, più quel paese ha investito nella robotica, secondo la ricerca di Acemoglu e Restrepo (2021). Anche in virtù del fatto che si ritiene che una maggiore automazione dovrebbe aumentare la produttività. “La robotica è stata impiegata soprattutto nel settore manifatturiero. È possibile che i progressi dell’IA consentano ulteriori aumenti di produttività, anche nel settore dei servizi, a vantaggio dei paesi più orientati ai servizi. Un elemento importante per l’Europa, ad esempio, dove sappiamo che in questo momento la produttività sta un po’ arrancando rispetto a quella americana. L’Europa ha una storia di sotto-investimento in ricerca e sviluppo, elementi invece cruciali per la crescita e l’innovazione”, precisa Rovelli.

In cifre

In Giappone e in Europa, la popolazione in età lavorativa si sta riducendo già da molti anni. A loro si sono aggiunti di recente Regno Unito, Canada, Cina e, negli ultimi due anni, anche gli Stati Uniti, secondo i dati demografici delle Nazioni Unite. Il numero di persone in età lavorativa in Cina, per esempio, è destinato a diminuire di oltre il 10%, ovvero 140 milioni di persone, nei prossimi 20 anni. Si tratta di una cifra pari a quella della Germania e dell’Italia messe insieme.

E l’impatto sull’inflazione e sul debito pubblico?

Abbiamo visto come il tema della demografia sia abbastanza rilevante, avendo degli impatti sulla crescita piuttosto significativi. Lo stesso vale per l’inflazione. In questo caso tuttavia “bisogna andare oltre la tendenza a rimanere – per  dire – influenzati dall’esperienza del Giappone, e da un certo punto di vista della Germania degli ultimi vent’anni, dove associamo ad una popolazione che invecchia pressioni disinflazionistiche perché la domanda scende”.. Per diversi aspetti, osservando la domanda, “notiamo che questa non si riduce, ma si riconfigura. Invecchiando si domandano cose diverse, non necessariamente si riduce la domanda complessiva. I pensionati smettono di produrre output economico ma non spendono meno, come dimostrano i dati storici. Inoltre, con l’aumento dell’età della popolazione il tasso di risparmio complessivo tende a diminuire: i paesi con popolazione più anziana risparmiano di meno in proporzione al reddito disponibile in confronto ai paesi più giovani. In sintesi, vediamo un effetto più significativo dal lato della capacità produttiva come conseguenza della riduzione del numero dei lavoratori e non dal lato della domanda ”, evidenzia Rovelli.

Quella che subirà invece una variazione è l’offerta, che in media “diminuirà in tutti i paesi industrializzati, poiché è probabile che i governi spendano di più per l’assistenza sanitaria”. Motivo per cui, insieme ad altri fattori, potrebbe portare “le banche a dover mantenere i tassi di interesse al di sopra dei livelli pre-pandemici. Circa più alti dello 0,5%”.

Attenzione però. Perché tassi più alti significano costi più elevati per i governi per i servizi di debito. “Il rallentamento della crescita peserà sul gettito fiscale, mentre la spesa pensionistica e sanitaria è destinata ad aumentare in tutto il G7. La stabilizzazione del debito pubblico rispetto alle dimensioni dell’economia richiederebbe tagli alla spesa o aumenti delle tasse. L’aumento del debito potrebbe rendere più difficile per le banche centrali alzare i tassi di interesse per contrastare gli shock inflazionistici in futuro – un ulteriore motivo per cui ci aspettiamo che l’inflazione sia tipicamente più alta in futuro rispetto a prima della pandemia”, aggiunge Rovelli.

Le opportunità

Sulla base di tutto ciò l’analisi di BlackRock è abbastanza chiara: la chiave per gli investitori è essere selettivi e valutare ciò che i mercati hanno prezzato. “Secondo le ricerche, i mercati possono essere lenti a valutare l’impatto di cambiamenti demografici anche prevedibili. Questo sembra essere il caso degli Stati Uniti e dell’Europa ed è il motivo per cui valutiamo positivamente il settore sanitario in entrambe le regioni”, aggiunge Rovelli.

E non è finita qui. In molti mercati emergenti la popolazione in età lavorativa è ancora in crescita, il che conferisce loro un vantaggio economico. Sussistono opportunità in quelli che possono capitalizzare al meglio questo fenomeno, come l’India, l’Indonesia o il Messico, migliorando per esempio la partecipazione della forza lavoro e investendo in infrastrutture – e sovraperformare quanto i mercati hanno già prezzato.

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