junker
Small Giants

La startup nata a tavola che aiuta gli italiani nella raccolta differenziata

Articolo di Lavinia Desi tratto dal numero di maggio 2024 di Forbes Small Giants. Abbonati!

Si dice che la Silicon Valley sia nata in un garage. E che le grandi aziende tech della zona abbiano mosso i primi passi tra pneumatici e attrezzi da lavoro. Ma siamo in Italia. E qui anche le startup nascono a tavola. È il caso di Giunko, nata in una cucina bolognese, nel 2014, da un’idea di tre amici: Giacomo Farneti, Benedetta De Santis e Todor Sergueev Petkov. Tutti e tre esperti di informatica e sensibili al tema ambientale.

Come semplificare la raccolta differenziata? L’idea davanti a un succo di frutta

L’idea è stata di Giacomo che, guardando un succo di frutta, si è chiesto come mai fosse così difficile trovare le giuste indicazioni per differenziarlo. I tre ragazzi hanno iniziato a lavorare a una soluzione per semplificare la raccolta differenziata. Poche settimane dopo hanno presentato un progetto al contest promosso da Innovami, l’ente accreditato dalla Regione Emilia-Romagna per il trasferimento tecnologico. Vinsero il terzo premio e una proposta di incubazione.

Così è nata Junker, l’app che oggi comuni e gestori di rifiuti urbani usano per dare ai cittadini informazioni geolocalizzate, aggiornate, complete e immediatamente accessibili sulla raccolta differenziata e sulle iniziative di economia circolare nel comune di riferimento.

Un milione di fatturato e oltre: da startup a Pmi innovativa

Oggi la piccola startup è diventata una pmi innovativa, ha superato il primo milione di fatturato ed è entrata a far parte del gruppo Terranova, società attiva nello sviluppo di soluzioni software per la trasformazione digitale del settore ambientale. L’idea era di sviluppare un’app in grado di riconoscere al volo prodotti di consumo attraverso un codice a barre. E indicare agli utenti i materiali di cui sono composte le singole parti dell’imballaggio e come differenziarle, anche in base alle regole del comune in cui si trova l’utente. L’app viene chiamata Junker, che unisce il termine inglese junk (scarto) e le iniziali della regione Emilia-Romagna.

Creare l’app è stato un lavoro lungo: non esisteva nessun database da cui potessero attingere per riconoscere i prodotti. I tre fondatori, di notte, in un supermercato Despar gestito da amici, hanno scansionato tutti i codici a barre, a mano, per classificare i prodotti, circa 20mila. È nata così la prima base dati dell’app. Oggi quel database è diventato grande, arrivando a contenere circa 2 milioni di prodotti, di cui 520mila segnalati direttamente dagli utenti.

Quali comuni oggi hanno adottato Junker? Oggi lo usano 3 milioni di famiglie

Junker è stata adottata come partner tecnologico da un comune su quattro, da città metropolitane come Torino, Bari e Firenze a piccoli borghi, senza distinzioni territoriali. Da Bolzano a Nuoro, da Trento a Salerno, l’app è stata scaricata da oltre tre milioni di famiglie, che, grazie alle ricerche effettuate, sono state indirizzate per 70 milioni di volte verso comportamenti più corretti per l’ambiente e l’economia. L’app non è utile solo quando gettiamo i rifiuti, ma anche al supermercato quando acqui stiamo i prodotti. È infatti in grado di dare informazioni per fare la scelta più sostenibile, con una scheda dettagliata con tutte le parti dell’imballaggio, la loro composizione e il bidone di riferimento per ciascun materiale.

A tal proposito, Noemi De Santis, responsabile comunicazione di Junker, ha commentato in una nota stampa: “Differenziare corretta mente è uno step fondamentale per limitare la quantità di rifiuti indifferenziati, quelli più impattanti sull’ambiente, e aumentare il riciclo. Tuttavia, come sottolinea la Ue, la priorità è ridurre i rifiuti. Con Junker, i cittadini hanno a disposizione uno strumento tecnologicamente avanzato per lavorare anche sulla prevenzione, che, a 15 anni dalla direttiva quadro sui rifiuti, resta ancora un tasto dolente in Europa”.

Le scelte dei singoli possono fare la differenza

Per questo è stata creata una gerarchia dei packaging. Al primo gradino c’è la scelta preferibile: qui si trovano prodotti sfusi, più sostenibili in quanto privi di packaging. Subito dopo ci sono i prodotti con imballaggi ridotti e monomateriale, quindi più semplici da differenziare. Poi troviamo gli imballaggi multimateriale, ma composti da parti separabili manualmente. All’ultimo gradino troviamo i packaging che non possono essere recuperati, che sono sempre di meno. “È sbagliato credere che le scelte dei singoli non possano fare la differenza: i segnali che possono stimolare un cambiamento della produzione in senso più sostenibile”, conclude.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .