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Il 40% dei lavoratori italiani non ha ancora sperimentato l’AI, ma il 63% è pronto a formarsi

L’AI non spaventa i lavoratori. Il 25% (26% in Italia) ritiene che questa tecnologia non influirà sulla propria attività, mentre solo il 5% (7% in Italia) pensa che diventerà obsoleto. Nel nostro Paese, tra i dieci a utilizzare con meno regolarità l’AI, il 40% dei lavoratori italiani non ha sperimentato questa tecnologia, ma il 63% è pronto a formarsi.

Sono solo alcuni dei numeri emersi nel report “Decoding Global Talent 2024: How Work Preferences Are Shifting in the Age of GenAI”, realizzato da Boston Consulting Group (BCG) insieme a The Network e The Stepstone Group.

Lo studio ha coinvolto 150.000 persone in 188 Paesi, con un campione che ha incluso il 51% di uomini e il 49% di donne tra i 20 e i 40 anni. “Appurato che la forza lavoro globale ha ormai acquisito una chiara consapevolezza del proprio valore, è essenziale che i datori di lavoro comprendano quali elementi siano realmente attrattivi per i talenti”, afferma Matteo Radice, managing director e partner di BCG.

“Oggi, al vertice delle priorità emerge la sicurezza del posto di lavoro, una risposta legata alle crescenti preoccupazioni riguardo l’occupazione a lungo termine, acuite dalla consapevolezza dell’impatto della GenAI. Altrettanto importanti per i talenti sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la compensazione economica, le buone relazioni con i colleghi e, infine, le opportunità di apprendimento e sviluppo professionale”.

Quali sono le priorità per i lavoratori?

Nell’attuale mercato del lavoro, il 64% dei rispondenti a livello globale (il 50% in Italia) ritiene di avere una forte posizione negoziale. Il 75% dei lavoratori (in Italia il 73%) ha dichiarato di essere contattato per opportunità di lavoro almeno qualche volta all’anno, mentre il 19% settimanalmente (14% in Italia).

L’interesse crescente per la sicurezza del lavoro è universale, ma le preferenze differiscono a seconda della regione di provenienza dei rispondenti e dell’età. Gli europei, ad esempio, mostrano meno preoccupazione rispetto ai lavoratori di altre regioni, dando invece priorità all’equilibrio vita-lavoro.

In Italia la sicurezza del lavoro torna al primo posto, seguita da apprendimento e sviluppo professionale e dai buoni rapporti con i colleghi. Le differenze sono significative anche in base all’età: apprendimento e sviluppo sono fondamentali per i lavoratori di 30 anni o meno, ma gradualmente l’importanza diminuisce fino a scomparire tra i rispondenti di età superiore ai 50 anni. Al contrario, le buone relazioni con manager e colleghi sono prioritarie per le generazioni più anziane.

Ma quali sono i fattori che spingono i talenti a rifiutare una buona offerta di lavoro? A livello globale, il 54% rifiuterebbe se si facesse un’opinione negativa dell’azienda durante il colloquio e, ad esempio, se venissero poste domande considerate discriminatorie. In Europa questa percentuale si attesta al 70% e in Italia al 47%.

Un impatto negativo dell’azienda sulla società è il secondo motivo di rifiuto più importante: circa il 40% dei talenti non si unirebbe a un datore di lavoro i cui servizi, attività o prodotti abbiano un effetto sociale nocivo (in Italia la percentuale è del 28%).

Segue l’assenza di supporto per la salute mentale o il benessere (33%), fattore che a livello globale conta per il 40% dei rispondenti. Anche la mancanza di misure legate alla sostenibilità o iniziative ambientali diventano motivi di rifiuto, così come l’impossibilità di lavorare da remoto.

Quanto la GenAI influisce sulle preferenze dei talenti?

L’86% dei rispondenti a livello globale ha dichiarato di aver sentito parlare della GenAI e più del 50% ha affermato di averla sperimentata almeno una volta di recente, compreso circa il 39% che definiamo utilizzatori regolari. Se l’istruzione e il genere hanno poco impatto sulla probabilità che i lavoratori utilizzino l’AI, l’età svolge un ruolo significativo: i rispondenti di 30 anni o meno hanno i tassi di adozione più elevati e il 49% di loro la utilizza regolarmente.

Anche i fattori legati al lavoro giocano un ruolo significativo: le persone con ruoli digitali e IT sono le più propense a essere utilizzatori regolari, seguite da quelle con ruoli nel marketing, nei media e nel design. La situazione è simile per quanto riguarda i settori industriali: tecnologia e IT sono in testa, seguiti dai media e poi da scienza e ricerca.

I primi 10 Paesi per percentuale di lavoratori che utilizzano la GenAI regolarmente sono a basso reddito e non occidentali, come India e Pakistan. Tuttavia, tra le economie a reddito più elevato, la maggior parte dei Paesi europei ha tassi di adozione inferiori alla media.

Gli ultimi dieci posti sono dominati infatti da Paesi in Medio Oriente ed Europa, tra cui l’Italia, dove solo il 21% dei rispondenti usa l’AI regolarmente: questo potrebbe riflettere regolamentazioni più rigide e una maggiore percezione di potenziali minacce e rischi.

I lavoratori cercano nuove competenze sull’AI

La maggior parte dei lavoratori nel mondo non è preoccupata che l’AI possa sostituirli nei loro ruoli: il 25% (in Italia il 26%) pensa che l’AI non avrà alcun effetto e solo il 5% crede che diventeranno obsoleti (in Italia il 7%). Tuttavia, il 49% prevede che alcuni aspetti dei loro lavori cambieranno, richiedendo lo sviluppo di nuove competenze.

I lavoratori nelle economie emergenti mostrano la maggiore consapevolezza della potenziale perdita o trasformazione significativa dei lavori e le opinioni differiscono anche per professione: coloro che lavorano nei servizi finanziari, nel design e nel servizio clienti sono i più propensi a prevedere cambiamenti nei loro ruoli rispetto a lavoratori sociali e manuali.

Complessivamente il 57% è disposto a fare reskilling, quindi apprendere nuove competenze, per rimanere competitivo, in Italia il 63%. Coloro con un livello di istruzione basso o medio tendono a essere più flessibili rispetto alle persone più istruite, mentre le persone più anziane sono generalmente meno aperte alla riqualificazione.

Il bisogno maggiore per le risorse è sapere quali competenze devono acquisire: ciò solleva la necessità di avere accesso a programmi di apprendimento ben progettati che affrontino le competenze più critiche.

Trattenere e attrarre i talenti: il ruolo dell’AI

In primis, i datori di lavoro devono prevedere l’impatto della tecnologia sulla forza lavoro: ciò implica quantificare come queste influenzeranno il bisogno di lavoratori e competenze, ma anche confrontare la loro valutazione della domanda con una previsione dell’offerta di talenti, considerando età di pensionamento e turnover.

Inoltre, i manager dovranno attrarre talenti comprendendo le loro diverse esigenze, ottimizzando il recruitment. Qui l’AI può essere un valido aiuto per creare annunci e gestire la programmazione dei colloqui. Il terzo step per i datori di lavoro è far crescere i talenti passando dalla formazione tradizionale all’upskilling e reskilling strategici, assicurandosi che i programmi di formazione siano strettamente allineati con gli obiettivi aziendali.

Sarà inoltre necessario aumentare l’adozione dell’AI per far sì che un numero maggiore di lavoratori sia in grado di utilizzarla per compiti avanzati. Infine, è necessario coinvolgere i talenti aiutandoli a gestire e ad affrontare l’incertezza.

Il primo passo è la promozione di una comunicazione aperta e trasparente sul futuro dell’azienda e sull’adozione delle tecnologie, così come la creazione di un sistema di mobilità interna e l’offerta di servizi di supporto alla salute mentale e al benessere emotivo.

A questo proposito, stabilire politiche flessibili sugli orari lavorativi e supportare l’equilibrio vita-lavoro porterà i dipendenti ad apprezzare ancor di più la loro posizione e a non cercare un nuovo impiego.

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