Faremo di Gaza la riviera del Medio Oriente. La chiameremo Mar-a-Gaza. Ci saranno resort di lusso. Grattacieli. Mare fantastico, clima fantastico. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, vuole costruire sulle macerie di Gaza un business immobiliare da miliardi di dollari.
Il piano prevede “una proprietà a lungo termine” della zona. Washington sarebbe pronta a inviare truppe, se necessario. Circa due milioni di arabi palestinesi sarebbero trasferiti in paesi limitrofi, verosimilmente Egitto e Giordania, che confinano con la Striscia e la Cisgiordania. Già a febbraio 2024, durante un incontro ad Harvard, Jared Kushner, marito di Ivanka Trump e genero del presidente, aveva detto che Israele poteva “spostare tutti gli abitanti della Striscia” e “ripulirla”, considerando che il lungomare di Gaza “è di gran pregio”. Trump pensava al progetto immobiliare per Gaza prima di vincere le elezioni. In una telefonata a Netanyahu aveva detto: “Pensa quali alberghi si potranno costruire nella Striscia”. Non è la prima volta che il presidente mischia politica estera e progetti immobiliari. Come riportato dal Wall Street Journal, dopo aver riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan nel 2019, avrebbe detto: “Si parla di un valore di duemila miliardi di dollari in beni immobiliari”.
Il piano economico
L’idea ha suscitato una forte opposizione globale: potrebbe violare il diritto internazionale e aggravare la crisi umanitaria in corso, oltre a essere molto complicata sul piano economico. Le infrastrutture della Striscia di Gaza sono state distrutte dalla guerra. Un intervento come quello immaginato da Trump sarebbe possibile solo dopo la ricostruzione della Striscia. Ma quanto costerebbe rimettere in piedi Gaza? Dopo solo quattro mesi di un conflitto che dura ormai da quasi un anno e mezzo, la Banca Mondiale parlava già di 18,5 miliardi di dollari. Il programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha calcolato che i costi della potrebbero raggiungere i 40 miliardi di dollari.
C’è anche una questione di tempistiche. Trump, che ha quasi 80 anni, non riuscirebbe mai a godersi un solo giorno di vacanza nella Striscia, dato che la ricostruzione richiederebbe anni. Secondo l’Onu, il conflitto ha generato circa 42 milioni di tonnellate di macerie e per rimuoverle saranno necessari almeno 14 anni e 1,2 miliardi di dollari. Secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, se l’operazione militare finisse subito, la ricostruzione iniziasse e l’economia crescesse dello 0,4%, come tra il 2007 e il 2022, Gaza tornerebbe ai livelli di Pil del 2022 solo nel 2092.
La questione umanitaria
Ma non è solo una questione economica. Le dichiarazioni di Trump hanno sollevato proteste anche per ragioni umanitarie. Gaza ha una superficie di 365 chilometri quadrati, meno di un terzo di Roma. In questo piccolo pezzo di terra vivono 2,3 milioni di persone, con oltre cinquemila abitanti per chilometro quadrato. Già in condizioni normali, in assenza di bombardamenti, secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2012, la Striscia non potrebbe essere considerata abitabile, poiché mancherebbe la possibilità di accedere a risorse fondamentali. Oggi più della metà è quasi completamente rasa al suolo. Secondo l’Unitar, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di formazione e ricerca, nove case su dieci sono gravemente danneggiate o distrutte. La popolazione è in gran parte sfollata, il 68% degli edifici ha subito danni gravi, il 68% dei campi coltivati non è più in grado di produrre cibo, il 68% delle strade è impraticabile.
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