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L’età dell’oro per le case d’aste e l’exploit dell’americana Phillips

Rolex Cosmograph Daytona The Unicorn

Età dell’oro per le Auction House. Passano da un record all’altro, sono felici loro e rendono felici clienti super coccolati, mentre l’arte, in tutte le sue forme (figurative, design, fotografia, gioielli, orologi), diffonde bellezza nel mondo.

Il trionfo di Phillips, quasi un miliardo di dollari in vendite nel 2018, non è solo il miglior risultato storico della maison, ma anche la conferma di un modo di vedere la vita: a tutto puoi dare un prezzo, solo a poche cose valore. Partecipare a un’asta, in fondo, racchiude il sensuale brivido del gioco d’azzardo, ma con molto più stile. Quando il banditore, in procinto di chiudere il lotto, alza per l’ultima volta il gavel pronuncia infatti la frase che per ogni collezionista equivale all’uscita micidiale del toro dal tunnel per il torero: fair warning!

Un avvertimento molto garbato (fair), ma nel quale la forma non muta la sostanza: ora o mai più. Il pezzo bramato per anni è lì, vi separa da esso solo il coraggio, la follia o la lungimiranza, di rilanciare ancora una volta. Sono gli ultimi secondi di scelta, e di vita, che il fair warning vi sta lasciando. Il toro, stufo dei banderilleros, sta guardando dritto verso il suo uomo. E siete voi.

PABLO PICASSO La Dormeuse.

Questo brivido, nel 2018, da Phillips ha fatto numeri straordinari e seducenti. E li ha fatti in maniera innovativa: oltre il 70% dei lotti ha ricevuto offerte online durante le aste, e quelle vincenti sono cresciute oltre il 50%. Coi suoi dipartimenti Phillips ha certamente venduto alcuni highlights: La Dormeuse di Pablo Picasso per $57,819,837; il Rolex Daytona detto The Unicorn per $5,936,906 (secondo prezzo mai fatto registrare per un Rolex da polso durante un’asta); la foto di Helmut Newton Panoramic Nude with Gun, Villa d’Este, per 981,234 dollari; un Mouton di François-Xavier Lalanne per 664,127 dollari.

Ma queste cifre rappresentano solo una parte del successo che sfiora il miliardo: 916.5 milioni per l’esattezza, più 29% complessivo rispetto al 2017. Dietro le fiammate, c’è quindi molta sostanza. Le Auction House piacciono perché danno un servizio esclusivo: ossia la garanzia di reperire le migliori cose sul mercato, ma anche i migliori esperti per spiegarle.

In un panorama editoriale dove il confine tra contenuti e marketing è liquido (per usare un eufemismo) le Case d’Asta offrono resoconti impeccabili, a cura dei migliori esperti in circolazione e a tasso d’ipocrisia zero. Zero perché nella dialettica tra comunicazione e mercato, le Auction House vantano, per loro stessa essenza, una mission chiara: vendere, e una strategia consequenziale, farlo bene.

Resta ancora una domanda: ha senso investire nell’arte? Garantisce rendimenti? Se siete voi ad aver comprato La Dormeuse di Picasso o il Rolex The Unicorn la domanda è inutile, ma se vi state guardando in giro in cerca di nuovi investimenti, la risposta è interessante. Forse l’arte non rappresenta un investimento blindato (categoria peraltro metafisica…) ma di certo è un bene rifugio, per il patrimonio e per l’anima. Si tratta di elevare il proprio gusto, coltivarlo e lasciarsi cullare dall’estasi del bello, in compagnia di un numero sempre crescente d’investitori.

Oltre al record di Phillips, che ha raddoppiato le vendite in quattro anni (era a 400 milioni di dollari nel 2014), Christie’s continua a guidare il mercato con 4 miliardi di dollari solo nella prima metà del 2018. E tra le due, rispettivamente prima e quinta al mondo, ci sono altri player blasonati con numeri e bilanci solidi: Sotheby’s, Poly Auction, China Guardian, Bonhams.

Non siamo in presenza di una bolla. Potrebbe esserlo il caso del singolo artista (Andy Warhol, Basquiat, Jeff Koons), o della singola stagione; ma in qui siamo al cospetto di un mercato di valori tangibili, capace di autoregolarsi, in uno scenario di globalizzazione positiva. New York, la capitale dell’Impero, rispetta Bisanzio, perché nella logica della qualità e del merito Ginevra non può essere inferiore a Parigi, Hong Kong a Londra. Il collezionista moderno ha oggi facoltà di scegliere, tra l’asta pubblica o quella privata solo per pochi intimi, ma in ogni caso partecipa a un trend solido, che non ha nulla della bolla speculativa ed è globale.

Belle parole, ma un consiglio no? Arte Post-Impressionista e dopo guerra americano. Troppo facile o troppo per ricchi? Arte afro-americana allora: un trend clamoroso; un quarto dei soldi spesi negli ultimi dieci anni per acquisire opere di artisti afro-americani è stata spesa nei primi sei mesi del 2018. E ancora: fotografia e orologi. E quando capirete di essere sulla strada giusta? Con la frase che vi sorprenderete a pronunciare, e cioè il battesimo di ogni collezionista non appena vede rivalutare sotto i propri occhi l’oggetto sul quale, per scrupolo d’inesperienza, non aveva avuto il coraggio d’investire: l’ho sempre saputo! (I always knew it!). E’ l’ammissione di una sconfitta utile, preludio di tante soddisfazioni future.

Il collezionista è in fondo il moderno bibliotecario borgesiano, il custode che tramanda il retaggio culturale nella consapevolezza, distaccata ed elegante, che nulla si possiede davvero. Lo descrive Marguerite Yourcenar nelle memorie di Adriano: “m’abituavo lentamente alla privazione per se stessa, e al contrasto, che mi colpì poi, tra una collezione di pietre preziose e le mani nude del collezionista”.

 

 

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