di Angelo Pappadà – ItaliaStatodiDiritto
La legge di bilancio 2019 ha istituito il Fondo di indennizzo per i risparmiatori (FIR) coinvolti nelle crisi bancarie, ma a oggi non c’è traccia del regolamento attuativo, atteso per il 31 gennaio. Significa che c’è la copertura nel bilancio dello Stato (525 milioni l’anno fino al 2021), ma che ancora non è chiaro come e quando sarà possibile richiedere e ricevere gli indennizzi.
Questo avviene perché la politica è intervenuta sul Fondo senza considerare gli aspetti tecnici e il quadro normativo generale, andando in contrasto con le normative europee ed esponendosi ad una possibile contestazione in materia di aiuti di Stato.
In una situazione come questa, trovare la quadratura senza incorrere nel pericolo di un richiamo da parte della Commissione Europea non è facile. E le aspettative di molti piccoli danneggiati dalla risoluzione o liquidazione coatta amministrativa di 6 banche tra il 2015 e il 2017 (Banca delle Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Carichieti, Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza) rischiano di andare deluse.
Ma andiamo con ordine.
Il nodo da risolvere riguarda l’emendamento presentato in Senato dal M5S con cui è stata scardinata l’impostazione precedentemente disegnata dalla Lega e dal Governo, coerente con gli indirizzi precedenti in materia di indennizzi ai piccoli risparmiatori.
L’emendamento in questione pone il FIR di fronte a tre problemi di compatibilità con il quadro normativo in materia di crisi bancarie: l’abolizione dell’arbitrato presso la Consob come strumento obbligatorio di accertamento e di rivalsa a disposizione dei risparmiatori; l’estensione della platea dei potenziali beneficiari degli indennizzi alle persone giuridiche con fatturato fino a 2 milioni di euro; l’innalzamento dall’80 al 95 per cento del limite massimo rimborsabile del prezzo di acquisto delle obbligazioni subordinate azzerate dalla risoluzioni o dalle liquidazioni coatte amministrative delle banche citate.
Per quanto riguarda la possibile accusa di aiuti di Stato, va ricordato che già il precedente Governo aveva istituito un Fondo di Ristoro a carico del bilancio pubblico (100 milioni in 4 anni), aprendo inoltre alla possibilità anche per i piccoli azionisti di accedere agli indennizzi. Il nuovo Governo è andato più in là, ampliando molto la dotazione del Fondo di Ristoro (portato prima a 500 milioni con il decreto “milleproroghe” e poi a 1,575 miliardi in 3 anni nel corso dell’iter parlamentare di formazione della legge di bilancio 2019) e confermando l’estensione del beneficio in favore dei piccoli azionisti nella misura massima del 30% del prezzo di acquisto.
Tuttavia, prima dell’emendamento M5S al Senato del dicembre 2018 al testo della legge di bilancio, non era mai stato messo in discussione il principio del ricorso, da parte del risparmiatore, ad un giudice o ad un arbitro. Semmai, una soluzione ipotizzata era quella di prevedere “corsie accelerate” di discussione dei ricorsi presso la Consob.
Infatti, l’emendamento ha stabilito che il risparmiatore, sia esso azionista o obbligazionista subordinato, dovrà semplicemente presentare ad una commissione speciale da istituire presso il MEF “idonea documentazione” che provi di avere subito un “danno ingiusto”.
E’ opinione di molti giuristi che il pronunciamento di un soggetto terzo (giudice o arbitro) che attesti violazioni del Testo Unico delle Finanze da parte delle banche risolte o liquidate, costituisca il presupposto di legittimità delle future erogazioni del FIR.
Finora la Commissione Europea si è limitata a chiedere informazioni al Governo, ma non si può escludere una procedura di infrazione. Nel frattempo il ministero dell’Economia e delle Finanze, in evidente imbarazzo, ritarda l’emissione del decreto attuativo. E i risparmiatori aspettano.
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