Articolo tratto dal numero di febbraio 2019 di Forbes Italia. Abbonati al magazine
Di Piera Anna Franini.
Grafica Veneta è azienda da primato. È l’unica al mondo a stampare, confezionare e consegnare libri in 24 ore. Ha una divisione apposita per questo: nata da un’idea di Fabio Franceschi, classe 1969, che della ditta è presidente. Scomparso Nelson Mandela, in meno di 24 ore l’editore poteva disporre del libro-testamento del leader sudafricano. Proprio qui, a Trebaseleghe, nel padovano, è stato stampato l’instant book scritto da Barack Obama alla vigilia della sua prima corsa presidenziale. Fu il New York Times a richiederlo per farne un allegato. E così, la Grande Mela, colei che vive di velocità e frenesia, bussava alla porta di un paese di 12mila anime per soddisfare i propri desiderata. Il giorno dopo il funerale di Michael Jackson, era già in distribuzione la biografia della star. È senza fine la saga degli autotreni che escono da Grafica Veneta con i tomi delle avventure di Harry Potter. In sintesi, Grafica Veneta è azienda ai vertici del settore, presente sul mercato internazionale. Ed è verde: autosufficiente dal punto di vista energetico, totalmente carbon free, lavora carta per la quale si assicura che a ogni albero tagliato ne corrispondono due piantati.
È lecito pensare a Franceschi come al nuovo Urbano Cairo? Dopotutto è il re della carta, guida un’azienda che vive la sua età dell’oro, è stato azionista del Fatto Quotidiano, e stava per mettersi in società con Maurizio Belpietro per La Verità. Non solo. C’è un gruppo editoriale che via via sta cedendo asset non più strategici, intende vendere le quote di un quotidiano. Fra i potenziali acquirenti è spuntato proprio il nome di Franceschi. “I quotidiani sono fuori dal nostro core business, e poi non se la passano bene ultimamente”, confessa l’imprenditore. “Eventuali partecipazioni sarebbero legate alla nostra Finanziaria e non a Grafica Veneta. Stiamo guardano con attenzione, ma non è chiaro il futuro dei quotidiani. Quello che non si capisce è se questo futuro sarà solo digitale. L’altro giorno, in un bar, mi sono imbattuto in tre quotidiani: mi sono reso conto che da tre anni non ne toccavo uno di carta”. Come si informa dunque?” Ogni 15 minuti scorro le notizie dell’Ansa, e pure di Dagospia”. E si congratula con Cairo, “ammiro come sta gestendo le aziende. Ha saputo diminuire gli sprechi, limando il surplus, con un’efficace azione di cost saving”.
“La tecnologia sta correndo al punto che il formato digitale di oggi non potrai consumarlo fra cinque anni perché cambieranno i supporti”
Nel 2014 uscì un libro intitolato L’Italia che vorrei, una sorta di manifesto civile di Franceschi sollecitato su vari temi da Stefano Lorenzetto. Nel gennaio 2018, dalle parole ai fatti. Scendeva in campo come candidato a Vicenza nelle liste di Forza Italia. Non riuscì per poco. Sarebbe disposto a rimettersi nuovamente in gioco? “In quel momento ero particolarmente deluso di come andava il nostro territorio. Così decisi di candidarmi per Forza Italia, lavoro con Berlusconi da vent’anni, ho molta stima di lui. Ha fatto le sue sciocchezze, ma nell’imprenditoria è persona corretta. Mi chiese se mi interessava candidarmi, e io volevo dare voce a un territorio che forse a Roma non sanno neppure che esista. Sono stato sfortunato perché ho perso per 50 voti. Ma confesso che sarebbe stato un dolore, ora, trovarmi in Parlamento con queste persone… Però sì, se ci fosse un’opportunità, mi rimetterei in gioco per il mio territorio”.
Ripartiamo dal titolo del libro. Ora che Italia vorrebbe? “Quest’anno sono stato tre mesi a Los Angeles per farmi curare, ho avuto dei problemucci di salute. Lì ho visto tanta gente abbandonata, cosa che non capita da noi, per dire che anche in Italia c’è del buono e anche negli Usa ci sono cose che non funzionano. Detto questo, alla domanda che mi fa, la mente corre all’America, al suo dinamismo. Ma finché non abbiamo il coraggio di affrontare i miliardi di evasione, quelli persi per la corruzione e il surplus di dipendenti pubblici, se non affrontiamo questi problemi non avremo grandi soddisfazioni in futuro”. In Grafica Veneta, dove solo l’1% dei dipendenti è iscritto a un sindacato (“chi ha problemi viene direttamente da noi, e li risolviamo”), si registra un’alta presenza di romeni. “Ci chiedono come si spiega tale fenomeno. Semplice, i romeni sono disponibili, non temono la fatica, credono nel lavoro che fanno. Probabilmente gli italiani hanno metabolizzato che qui si vive bene, che non occorre far fatica. La gente si sta allontanando dal mondo del lavoro”. Anche nel laborioso Nord Est? “Stiamo cercando 50 dipendenti, a malapena ne abbiamo trovati 20. Settimane fa, abbiamo preso cinque ragazzi per un corso di un mese, alla fine abbiamo proposto di assumerli, ma solo uno ha accettato. Dicono che i turni sono pesanti. Vorrei ricordare che da noi è tutto automatizzato, magari sì, dovrai fare alcune notti, ma si percepisce il 20% in più di stipendio”. Franceschi non è uno che teme impegni e sacrifici. Da bimbo sperimentò anche la fame: non quella metaforica auspicata da Steve Jobs, ma quella vera, dello stomaco. Non ha avuto vita facile Franceschi.
Ristrettezze economiche, scomparsa prematura del padre. Così a soli 19 anni si trova alla testa di Grafica Veneta, piccola tipografia di famiglia nata nel 1982. L’impresa nel 2001 contava sei dipendenti, oggi sono 400, e vede uscire ogni dì dai 40 ai 45 autotreni carichi di libri, stampa 200 milioni di copie l’anno, comprese le 7 milioni del Corano, lavorate da una divisione apposita, composta da soli musulmani. Il mercato che più sta sorprendendo Franceschi? “L’americano. Sembrava che lì esistessero solo i social e internet, invece ci stanno contattando gli editori di punta. Il libro cartaceo è cresciuto del 5%, è considerato sempre più come un bene da lasciare in eredità, da regalare, da sistemare in una bella libreria. Noi stavamo investendo parecchio sul prodotto digitale. Ma la tecnologia sta correndo al punto tale che il formato digitale di oggi non potrai consumarlo fra cinque anni perché cambieranno i supporti. E la gente l’ha capito. Un libro di carta, invece, è per sempre”.
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