Dal 4 febbraio 2014 Satya Nadella – 40° persona più potente del mondo secondo la classifica di Forbes del 2018 e sesto nel ranking dei leader più innovativi – è l’amministratore delegato di Microsoft. La sua missione è quella di ricostruire Microsoft mattone dopo mattone. Da allora, Microsoft ha aumentato la sua forza lavoro di circa un terzo e la sua capitalizzazione di mercato si è impennata, da circa $ 350 miliardi nel novembre 2014 a circa 1.800 miliardi di dollari di oggi.
Nadella come ceo alla guida del colosso di Redmond ha mostrato un tipo di leadership che evita i riflettori e aiuta gli altri a diventare artefici del successo di Microsoft. Come lui stesso a scritto nel suo libro, in parte autobiografico, Hit refresh. Una pagina nuova. La riscoperta dell’anima di Microsoft e il progetto di un mondo migliore, molta della sua filosofia manageriale l’ha appresa attraverso lo sport, il cricket in particolare, uno sport simile al baseball e molto popolare in India, verso il quale Nadella ha tuttora una profonda passione. Si dice che il suo stile manageriale sia infatti simile al cricket: lento e paziente. Non prende decisioni affrettate, ascolta, interroga. E si concentra su una manciata di questioni importanti, incoraggiando gli altri.
“Ci sono tre aneddoti del mio brevissimo passato di giocatore che hanno influenzato in particolar modo la mia leadership e il mio modo di fare impresa”, dice lo stesso Nadella. “Da amministratore delegato, trovo che quegli insegnamenti siano ancora validi”.
1. “Competere con passione ed energia, affrontando direttamente incertezze e intimidazioni”
Nadella da giovane era un bravo giocatore di cricket. Un’estate, racconta, ebbe l’occasione di scontrarsi contro un team composto da diversi australiani. E l’Australia era un grosso nome sui campi da cricket, ragion per cui lui e i suoi compagni erano un po’ intimoriti. Ma il loro professore e allenatore non tollerava questa devozione, o paura, e posizionò Nadella proprio di fronte a uno di questi colossi australiani. “Avrei di gran lunga preferito stargli lontano, invece il coach mi piantò nel bel mezzo dell’azione. Dopo un po’, grazie alla nostra rinnovata energia e a una migliore concentrazione, ci trasformammo in un team competitivo. L’accaduto mi dimostrò che bisogna sempre rispettare i propri avversari, ma mai venerarli. Non rinunciate alla sfida!”.
2. “L’importanza di mettere la squadra al primo posto, lasciando da parte onori e traguardi”
Una delle squadre in cui Nadella ha giocato aveva uno straordinario fast bowler (nel cricket è il lanciatore). Era uno dei giovani sportivi più promettenti del Paese e diventò ancora più bravo dopo aver frequentato il corso per allenatori under 19 del South Zone. Eppure, dice Nadella, “aveva una mentalità autodistruttiva”. Durante una partita il capitano decise di sostituirlo con un altro lanciatore, che si fece ribattere la palla proprio verso l’irascibile compagno di squadra. Era una presa facile per lui, che in quel momento si trovava a metà campo. “Ma lui, invece di prenderla, si ficcò le mani nelle tasche e rimase a guardare senza muovere un muscolo, mentre la palla gli cadeva proprio davanti ai piedi. Era una stella del cricket e noi non potemmo far altro che fissarlo, attoniti. La morale? Un giocatore brillante che non mette la squadra al primo posto può distruggere un intero team”.
3. “Tirare fuori il meglio dalle persone”
Ci sono partite più difficili di altre. “Ricordo una partita in particolare in cui ogni mio lancio veniva sistematicamente polverizzato dagli avversari. Non che stessi facendo nulla di strabiliante con la palla. Col senno di poi, mi rendo conto che fu il nostro capitano a dimostrarmi cosa fosse la vera attitudine al comando. Finito il mio over (ossia, una volta effettuati sei lanci), prese il mio posto, nonostante fosse più bravo come batsman (battitore) che come bowler. In un lampo eliminò il battitore. Normalmente, chiunque riesca in un’impresa simile con una tale efficienza gioca sempre da bowler. Invece il capitano mi restituì subito la palla e io presi sette volte il wicket (la piccola porta dietro il battitore, ndr) tutto da solo. Perché l’aveva fatto? Forse voleva solo farmi riacquistare fiducia in me stesso. Era l’inizio della stagione e il capitano aveva bisogno di risultati da parte mia per tutto il resto dell’anno. Aveva intuito e sapeva che, se mi fossi scoraggiato, sarebbe stato difficile ridarmi la carica. Ecco la missione di chi si trova al comando: tirare fuori il meglio dalle persone. Fu una sottile, fondamentale lezione su quando intervenire per plasmare la fiducia sia del singolo che del gruppo. Sono convinto che il compito principale di un leader sia proprio aumentare la sicurezza del suo team”.
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