Chi ha avuto il coraggio di scommettere sulla rinascita della Grecia sta raccogliendo ricchi premi alla vigilia di Pasqua. Il rendimento del decennale di Atene è scivolato al 3,274% ai minimi del settembre 2005, prima che saltasse fuori il buco nei conti che fece da detonatore alla drammatica crisi che ha sconvolto l’Eurozona, trascinando, al culmine della crisi scoppiata nel 2009, i bond nel girone dei titoli spazzatura con uno yield del 40%. Continua così il recupero innescato dalla doppia promozione di Moody’s dell’inizio di marzo che ha reso possibile il ritorno della Grecia sui mercati finanziari, nove anni dopo l’ultima emissione che aveva sfidato la sfiducia degli operatori. E non sono in pochi a ritenere che gli hellenic bonds possano lanciare la sfida ai Btp, separati ormai da meno di un punto percentuale. Atene, in crescita del 2,4% nel primo trimestre (la seconda performance dell’Eurozona), merita senz’altro fiducia.
Ma non abbastanza per i cacciatori di high yield, decisi a sfruttare nel modo migliore la congiuntura dei mercati. I rendimenti europei in calo, al punto che si parla di “sindrome giapponese” per le obbligazioni del Vecchio Continente, coincidono infatti con l’abbondante liquidità che favorisce il carry trade sull’euro, ovvero i prestiti per finanziare operazioni speculative ad alto rendimento. A confermarlo è stata l’accoglienza al primo bond emesso da Aramco, il gigante del petrolio saudita, che ha raccolto ben 100 miliardi di dollari. I capitali, al solito, sono in movimento. In quali direzioni? La rotta l’ha indicata il Fondo Monetario. Il recente Outlook presentato nella riunione primaverile del Fmi ha confermato l’esistenza di un ampio differenziale di crescita tra le economie avanzate, tutte più o meno in frenata, e gli Emergenti, un gap che potrebbe aumentare visto che il rafforzamento del dollaro è frenato dall’orientamento accomodante della Federal Reserve e le probabilità che l’economia statunitense riesca a mettere a segno una crescita robusta come quella dell’anno scorso sono limitate.
La tendenza è già in atto da mesi, sottolinea Jp Morgan. Il debito in valuta forte dei Mercati Emergenti ha realizzato un’ottima performance da inizio anno. Le obbligazioni governative e societarie dei Paesi Emergenti hanno generato rispettivamente un rendimento del 7,30% e del 5,57%. Il mix di fondamentali solidi e valutazioni interessanti per Mike Biggs di JP Morgan anche nella seconda parte dell’anno può generare rendimenti tra il 5% e il 10%: La vera incognita per gli investitori nei Mercati Emergenti resta però la performance delle valute della regione. Dopo il deludente andamento degli inizi del 2018, l’indice delle valute emergenti (EMFX) ha guadagnato il 3,66% rispetto ai minimi toccati a settembre dell’anno scorso. Tuttavia, negli ultimi mesi la sua evoluzione è stata meno brillante, e da inizio anno l’indice EMFX ha archiviato una crescita dell’1,42% soltanto rispetto al dollaro. Di conseguenza, l’indice delle valute emergenti è in ribasso del 7,81% dai primi del 2018.
Ma lo scenario resta comunque positivo grazie alle migliori prospettive macro della Cina. Le obbligazioni in renminbi, nel caso di soluzione del conflitto sui dazi con gli Usa, sembrano destinate a recuperare posizioni: la svalutazione della moneta, l’arma usata da Pechino per contrastare i dazi, dovrebbe lasciar spazio ad un recupero, favorito anche dall’apertura delle frontiere di Pechino alle grandi società finanziarie. La svolta, infatti, sembra garantita dalla decisione di MSCI di aumentare progressivamente la presenza di A-Share (cioè le azioni del mercato onshore di Shanghai, 3.500 in tutto, il doppio delle H-share trattato ad Hong Kong) negli indici usati dalla comunità finanziaria per i fondi di investimento. La decisione ha già provocato un sensibile aumento dell’indice Csi 300 (+32% da inizio anno) ma potrebbe essere solo l’inizio. Le A-shares cinesi, meno dell’1% dell’indice Emerging Markets hanno attratto flussi di acquisti netti per circa 70 miliardi di dollari.
Investire oggi sulla Cina
La Cina potrebbe dunque essere la carta vincente in caso che, a fine maggio, decolli l’attesa pace commerciale. Anche se, nel breve, potrebbe verificarsi il classico “sell on news”, ovvero la prevalenza di vendite da parte degli operatori che hanno anticipato con successo l’evoluzione del quadro.
Una strategia corretta per neutralizzare gli effetti negativi potrebbe essere quella di adottare un piano di accumulo rateale utilizzando un Etf o un fondo comune a gestione attiva. Per esempio, è stato calcolato che, impiegando 14mila euro in un’unica soluzione nel gennaio 2018 in un Etf specializzato nel replicare le A-shares cinesi, a fine febbraio 2019 ci si sarebbe ritrovati in possesso di quote dal valore di 11.250 euro (-19,6%): lo stesso capitale (14 mila euro) investito in rate mensili da mille euro ciascuna da gennaio 2018 in poi, avrebbe permesso di acquistare quote per un controvalore al 28 febbraio 2019 di 14.778 euro (+5,6%).
Opportunità di investimento: guardando verso l’India
Non c’è, ovviamente, solo la Cina. L’India, impegnata in questi mesi in una maratona elettorale destinata a durare fino all’autunno può rappresentare il vero jolly per sbancare i mercati. Il Paese ha da tempo scalzato la Cina dalla vetta per i tassi di crescita, superando largamente il 7%. Ma, dal punto di vista qualitativo, si profila un’accelerazione ancor più importante. Foxconn, la fabbrica degli iPhone, ha deciso di spostare i nuovi investimenti in India, anche per sfruttare la grande competenza ed il know how scientifico di New Dehli.
Dove investire oggi? il Ghana, un paese interessante
Un investimento speculativo ad alto rischio riguarda l’Africa. Il Ghana, uno dei Paesi più interessanti agli occhi degli investitori, ha appena fatto il pieno (20 miliardi di prenotazioni per un’offerta di 3 miliardi) sui mercati sull’onda dell’ottima performance del debito del Continente (+9,8% in valuta).
Mercati emergenti dove investire: Bénin, un paese in crescita
Non mancano le brutte sorprese, non ultima la ristrutturazione del debito del Congo, ma anche le opportunità. Come l’emissione (1 miliardo di euro) del Bénin, economia attiva nell’industria del cotone, considerato da Moody’s uno tra i Paesi più impegnati nelle riforme dell’economia. La crescita quest’anno sfiorerà il 7% mentre il governo si è impegnato a ridurre il deficit al 2,7%. Sta a vedere che ci sorpassa pure il Bénin.
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