di Mariana Husia
Benvenuti nella English Bubble: una bolla anglofona che vi circonderà. Perché dopo qualche giorno dall’inizio dell’esperienza di cui vi stiamo per parlare inizierete seriamente a pensare di trovarvi nella campagna inglese, tra i prati irlandesi o, perché no, in Sudafrica.
E se non fosse per la bellezza della location, tipicamente italiana, potreste pensare di aver perso qualunque contatto con il vostro Paese di origine, dato che dal momento in cui varcherete la soglia del castello, della dimora storica o del residence di lusso in cui si tiene il corso nessuno si rivolgerà più a voi in italiano.
E’ la magia di SpeakInItaly, la prima azienda in Italia ad offrire soggiorni di English Language Immersion con Anglos, ossia madrelingua presenti in rapporto 1 a 1 rispetto al numero degli “studenti” e provenienti da ogni parte del mondo. L’idea è quella di far passare agli “studenti” una settimana negli Stati Uniti o in Inghilterra senza muoversi dall’Italia, respirando la stessa aria da cui sarebbe possibile essere attorniati in un Paese anglofono e in luoghi a uso esclusivo dei corsi, dove persino il personale della struttura è chiamato a interagire con gli studenti esclusivamente in inglese.
Insomma, un nuovo modo per parlare inglese, e non per studiare l’inglese. Per 15 ore al giorno i partecipanti interagiscono in sessioni one-to-one a rotazione con gli Anglos mettendosi così alla prova con diversi accenti, esattamente come avviene nella realtà professionale. Il tutto però all’insegna dell’informalità.
Potrete così ritrovarvi a passeggiare nel parco di una villa con Karen parlando delle vostre esperienze, continuare ai tavolini del giardino con Kay e Natalie per capire finalmente l’uso di quella certa espressione inglese che vi ha sempre messo in difficoltà, ritrovarvi a ridere di gusto per le cose singolari che racconterete dell’Italia a Valerie, oppure ancora sedervi a tavola con Bernard che vi parlerà della sua Las Vegas, pronto a rispondere a tutte le vostre curiosità.
Sì, perché la pratica continua anche a tavola: ‘studenti’, madrelingua e componenti dello staff interagiscono in lingua a pranzo, colazione e cena, condividendo esperienze e storie di vita quotidiana.
Tolte le 15 ore di immersione restano praticamente solo le ore di sonno. E non pensate di usare l’italiano nelle pause tra un’attività e l’altra, perché i vostri compagni di corso hanno tutto l’interesse a sfruttare i giorni del programma nella maniera più efficiente almeno quanto voi. Anche le interazioni tra gli ospiti divengono così in breve tempo unicamente in inglese, per un’esperienza davvero totalizzante.
Oltre agli incontri one-to-one sono previste anche prove in gruppo dove si ricreano situazioni di vita sociale o professionale di difficoltà crescente con il passare dei giorni: la presentazione in pubblico di un progetto realizzato in team, la gestione di una serata informale e così via.
Il risultato è un incremento del livello di fiducia nelle proprie competenze comunicative apprezzabile già dopo qualche giorno e la creazione di una vera e propria comunità. Tanto che terminato il corso, della durata a scelta di 4 o 8 giorni, si continua con un gruppo whatsapp in cui restano uniti studenti e Anglos. In alcuni casi è successo anche che gli ex studenti si siano poi ritrovati per delle cene, rigorosamente in inglese, anche a distanza di mesi dalla conclusione del corso per continuare a tenere viva la pratica della lingua (al momento non si ha invece notizia di matrimoni nati “tra i banchi”, ma mai dire mai).
Non è un caso che le recensioni spontanee raccolte da Speak siano in molti casi al limite dell’entusiasmo e che il 98% delle recensioni su Google Review sia pari a cinque stelle.
Ma come si arriva a questo? Alla base c’è l’esperienza pluriennale di un team di persone nel campo dei soggiorni studio nel Regno Unito, che tre anni fa ha deciso di mettersi al servizio di privati, aziende e imprese alla ricerca di corsi full immersion di inglese in Italia.
A guidarli è Joe Lang. “All’epoca insegnavo all’università di Bari come docente”, ci spiega. “Appariva in tutta la sua gravità quanto testimoniato dalle statistiche: l’Italia è ultima in classifica in Europa a a livello di competenze in inglese per parlato e per ascolto. Tutto ciò ha serie conseguenze a livello professionale, per le imprese, che hanno difficoltà nel gestire la comunicazione in un mondo produttivo globalizzato. Sapevo che in altri Paesi europei la metodologia della language immersion stava dando risultati apprezzabili e quindi ho messo insieme le due esperienze. Perché per migliorare la fluency è necessaria tanta pratica e la situazione che ricreiamo noi non si trova nemmeno in Gran Bretagna, dove alla fine non sei continuamente stimolato all’interazione”.
Oggi Speak è arrivata al 20esimo programma, coinvolgendo finora circa 300 studenti, divisi pressoché equamente tra privati e aziende. “Si tratta spesso anche di grandi nomi dell’impresa, ma ancora più spesso di professionisti, come avvocati e medici che conoscono la lingua soprattutto nel loro ambito professionale, ma che faticano a gestire i momenti sociali. Questa tipologia di utenza fa sì che un grande plus dei corsi sia anche il post program, perché nascono contatti che poi possono essere importanti in ambito lavorativo”, spiega Lang. Che rivendica l’unicità di Speak nel panorama italiano: “Stiamo rischiando e investendo molto per cercare di cambiare il mercato di formazione linguistica in Italia. Questo ci rende al momento unici”.
Ora però arriva l’estate e lo stesso metodo sarà utilizzato anche per coloro che da sempre sono i massimi fruitori dei corsi di lingua all’estero: i teenager. Proprio coloro per i quali i genitori nutrono sempre un po’ di preoccupazione pensandoli tanto lontani da casa. Per questo Speak riproporrà in Emilia e in Trentino la sua formula: 100 ragazzi insieme, 50 “mini anglos” e 50 studenti italiani, in un caso dai 10 ai 14 anni, nell’altro dai 13 ai 17. Un’innovazione che potrebbe dare piacevoli sorprese, perché per la prima volta i ragazzi avranno la possibilità di interagire in inglese parlando proprio di ciò di cui parlano con i loro coetanei e non frequentando una lezione in aula.
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