Ieri, il co-fondatore e presidente di Facebook Mark Zuckerberg è stato ricevuto dal Senato americano per testimoniare su due scandali che hanno piagato la reputazione del social network negli ultimi tempi: il ruolo all’interno del caso dell’interferenza russa alle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, e il più recente coinvolgimento nello scandalo del furto di dati da parte della società di analisi Cambridge Analytica. Zuckerberg, apparso pallido in viso e attorniato da un nutrito stuolo di fotografi e cronisti, è però stato fermo nel ribadire alcuni dei punti fermi su cui si era già espresso nelle ultime settimane: Facebook ammette le sue colpe e vi rimedierà con nuove regole stringenti. Ai senatori però “Zuck” ha raccontato molto altro, fornendo nuovi insight su cosa avviene (o è avvenuto) a Menlo Park. Ecco alcune delle cose più rilevanti e interessanti della testimonianza giurata del giovane miliardario.
Ci potrebbe essere una versione a pagamento di Facebook?
Quando il senatore dello Utah Orrin Hatch ha chiesto al ceo di Facebook se la sua creatura rimarrà gratuita – citando un’altra interrogazione parlamentare, stavolta del 2010, in cui lui stesso aveva dichiarato che sarebbe sempre stata free – Zuckerberg ha dato una risposta molto vaga, dicendo che “ci sarà sempre una versione gratuita di Facebook” ma lasciando, nel campo delle ipotesi, aperto lo scenario che vede l’adozione di una versione a pagamento e senza pubblicità del social network.
Le strane reazioni a Palantir
Quando una senatrice l’ha interrogato sulle attività di Palantir, la società di proprietà di Peter Thiel (macro-investitore della Silicon Valley, nel board di Facebook) che usa i big data per aiutare i governi a compiti come la prevenzione del crimine, Zuckerberg ha avuto un momento di impasse, passando a risposte brevi e asettiche. Secondo un report del New York Times, Palantir avrebbe aiutato Cambridge Analytica nel lavoro di profilazione svolto a partire dai dati degli utenti di Facebook.
Perché nel 2015 nessuno è stato informato del furto di dati?
La senatrice californiana Kamala Harris ha incalzato Mark Zuckerberg su quanto avvenuto nel 2015, quando Facebook si è accorta dell’utilizzo dei suoi dati da parte di Cambridge Analytica, che all’epoca li aveva acquisiti dal matematico e neuroscienziato Aleksandr Kogan: perché c’è stata la decisione di non informare gli utenti di Facebook, e chi l’ha presa? Il presidente della società ha tergiversato, parlando genericamente di “errori” commessi, ma alla fine ha ammesso l’esistenza della scelta del silenzio, senza tuttavia prendersene la responsabilità diretta.
Il più grande rimpianto di Zuck
Dianne Feinstein, democratica della California, si è sentita rispondere dal fondatore del social network: “Uno dei miei più grandi rimpianti alla guida della compagnia è che non siamo stati pronti nell’identificare le operazioni di intelligence russe nel 2016. Ci aspettavamo una serie di cyberattacchi più tradizionali, che abbiamo scoperto e segnalato, ma siamo stati lenti nel segnalare le nuove operazioni di informazione”.
Zuckerberg ci tiene alla sua privacy
Dick Durbin, da più di vent’anni senatore dell’Illinois, si è fatto notare per un colpo di genio: chiedere a Zuck se si sarebbe sentito a suo agio nel condividere la platea il nome dell’hotel in cui risiedeva, e il nome delle persone con cui si era scambiato messaggi privati nelle ultime 24 ore. Il ceo di Facebook ci ha pensato un po’ su, ha ridacchiato in maniera nervosa, e poi ha spiegato: “No, sceglierei di non farlo, qui in pubblico”. A quel punto Durbin ha replicato: “Credo che sia questo il punto”.
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