Oggi si apre la 31esima edizione del Salone del Libro di Torino, la manifestazione dedicata al mondo dell’editoria più importante in Italia. È un momento delicato per tutti gli attori che lavorano nel settore: si tirano le fila, ci si incontra, si tasta il riscontro del pubblico. Alle tavole rotonde del Lingotto siederanno i professionisti della carta stampata e dell’inchiostro digitale per divulgare, discutere ed educare. Ma c’è un piccolo problema: di tutti i panel previsti per oggi, ben 39 vedranno la presenza di soli uomini, e 31 di una sola donna circondata da uomini. Alcuni sono più virtuosi, altri vedono anche 5 figure maschili in solitaria. Ce n’è persino uno dedicato alla letteratura femminile e di genere tenuto da quattro uomini e una sola donna. Alla faccia delle quote rosa, verrebbe da dire. La colpa non è però del direttore artistico Nicola Lagioia, né tantomeno dell’equilibrata Cabina di Regia che coordina i lavori. All’interno del Salone c’è addirittura una sezione interamente dedicata al pensiero femminile, curata dalla giornalista e conduttrice radiofonica Loredana Lipperini e dalla scrittrice Valeria Parrella. “Solo noi stesse”, questo il titolo della sezione, ha un nobile intento: “Siamo convinte che ci sia un minore visibilità delle scrittrici. Per «visibilità» non si intendono interviste o presenza in classifica, ma il riconoscimento del valore autoriale e letterario, che in Italia a nostro parere ancora non è sufficiente”, racconta Lipperini. “Solo noi stesse” prevede due momenti distinti. Nella prima parte, curata dalla giornalista, si discuteranno e leggeranno le autrici di letteratura fantastica, mentre Valeria Parrella si occuperà di un dialogo sul #MeToo con scrittrici italiane e straniere.
D’altronde le autrici in Italia non mancano, anzi, sono in crescita rispetto al 2005 e rappresentano il 38,3% del totale degli scrittori nel nostro Paese. Il problema, piuttosto, riguarda il riconoscimento del loro lavoro. Sono brave tanto quanto gli uomini? Vendono? Vendono anche agli uomini? Questi temi sono sempre più vivi nel dibattito culturale italiano. Di fatto la situazione della nostra editoria è abbastanza particolare. Si tratta di un mondo affollato di donne: secondo AIE – Associazione Italiana Editori, non solo sono le donne a leggere di più in ogni fascia d’età, ma sono anche quelle che lavorano nella filiera editoriale a ogni livello. Il problema si presenta, però, quando si sale verso “i piani alti”: delle moltissime donne che lavorano nell’editoria, solo poche riescono a raggiungere i livelli apicali. La situazione del Salone si direbbe quindi uno specchio abbastanza fedele dell’industria editoriale italiana: le presenze femminili non mancano, ma non sono quasi mai in primo piano.
Ma allora di cosa si occupano le donne? Stanno dietro alle scrivanie, leggendo, traducendo, correggendo, raramente decidendo. Si potrebbe dire che le donne siano destinate al ruolo di cura del libro, un fantasma del ruolo di cura che si vorrebbe ricoprissero nell’intera società? Secondo Alessandra Berello, publishing manager di Atlantyca, un’azienda transmediale che si occupa di contenuti per ragazzi, è proprio così. “Del resto, questa dinamica replica il ruolo fisso che la donna ha quasi «di default» nel nostro immaginario”, afferma. “È un problema profondo. Quello che possiamo fare noi che siamo nel settore è incoraggiare le ragazze a non abbandonare le loro ambizioni. Spesso sono loro stesse a tirarsi indietro perché pensano di non farcela. Bisogna assecondare il cambiamento in tutte le maniere possibili e diffondere la consapevolezza che il problema esiste”. Una consapevolezza che per ora sembra mancare. È pur vero che, se si leggono i dati Aie, il problema non appare poi così grave: rispetto al resto del settore manifatturiero, dove le donne ricoprono ruoli di dirigenza solo nel 4% dei casi, il buon 22,3% dell’editoria sembra un oro olimpico. Ma per capire meglio questo dato non bisogna dimenticare che moltissime case editrici italiane fanno parte del circuito delle piccole e medie imprese, dove la presenza femminile ai vertici è già al 49%. Se si guardano i grandi gruppi italiani, quelli che fanno la differenza, le donne si contano sulle dita di una mano.
Ma allora qual è il nocciolo della questione? L’editoria in sé e per sé, o l’assenza delle donne nella grande industria? Chi sceglie di buttarsi nell’editoria, spesso lo fa con un’idea che si potrebbe definire “romantica”, che vede il libro solo uno strumento culturale e non un oggetto commerciale. “L’amore per la lettura e l’esperienza di lettrici di professione conducono più facilmente ad esiti di gestione editoriale piuttosto che imprenditoriale”, spiega Benedetta Centovalli, specialista in narrativa contemporanea e rispettata agente letteraria. “Credo che questa situazione ricalchi anche la divisione tra studi umanistici e studi scientifici o aziendali. Ci sono grossi spazi di miglioramento, senz’altro, lavorando verso una maggiore integrazione tra i due mondi”. Il problema, insomma, non sarebbe (solo) dell’editoria, ma più in generale riguarderebbe le dinamiche con cui le donne si avvicinano al mondo del lavoro.
Una giovane editor fresca di master in Editoria entrerà in una redazione dove lavorano molte donne, ma a decidere saranno soprattutto gli uomini. Il corso le avrà insegnato tutto quello che c’è da sapere per fare un buon libro – magari anche per saperlo vendere – ma non le avrà insegnato nulla su come si guida un’azienda o si investono dei capitali. Sin da quando è bambina, la nostra editor sarà abituata a farsi da parte, a restringersi, a ubbidire, e quasi mai a prendere l’iniziativa e ad assumersi dei rischi. A lei, come a molte, non passerà nemmeno per la mente l’idea di prendere le redini di una casa editrice e magari trasformare quell’idea romantica di libro in un’impresa. Magari considererà un privilegio anche il solo fatto di essere riuscita a trovare un lavoro in quel campo. Se sarà fortunata, al colloquio nessuno le avrà chiesto se e quando avrà intenzione di rimanere incinta. Non è il mondo dell’editoria a essere particolare crudele o escludente, lo è il mondo del lavoro tout court. A questo fatto si aggiunge un’altra considerazione, che se vogliamo rende l’editoria un tasto ancora più dolente, ovvero la natura instabile di questo settore. La crisi dell’editoria del 2008 non è ancora del tutto sanata. Ha segnato un arresto e dato il via a una vera e propria ristrutturazione di tutto l’assetto dell’editoria italiana. Nei momenti di crisi si ritorna all’ordine, e l’ordine lo fanno i maschi.
Certo, non mancano “luminose eccezioni”, come ci ha detto anche Alessandra Berello. HarperCollins Italia, che fa parte del colosso americano HarperCollins Publishers, vanta un team quasi tutto al femminile a partire dall’amministratore delegato Laura Donnini. “La nostra casa editrice è un po’ in controtendenza”, ci racconta l’acquiring editor Ilaria Marzi. “Nell’ambiente editoriale c’è una preponderanza maschile e le fiere del libro riflettono questo aspetto, ma dopo gli ultimi fatti, da Time’s Up a #MeToo, è necessario confrontarsi con una nuova realtà”. C’è da augurarsi che questa nuova realtà corrisponda non solo alla fine del dominio esclusivamente maschile nell’editoria, ma anche e soprattutto al riconoscimento del valore e della capacità femminile in tutti i campi e in tutti i contesti, non solo al Salone del Libro.
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