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L’Italia è un paese per startup. Parola di IAG e AIRI

Startup italiane: Antonio Leone, presidente Italian Angels for Growth
Antonio Leone, presidente Italian Angels for Growth

Perché un Paese dove i conti correnti custodiscono 1.600 miliardi di euro si dice senza capitali per fare innovazione? Perché pur avendo una delle migliori ricerche a livello mondiale l’Italia non riesce a esprimere innovazione nella forma di startup? E soprattutto: quali strade si potrebbero intraprendere per rimodulare in maniera vincente l’intero ecosistema dell’innovazione in Italia?

Se ne è parlato in un grande evento in streaming che ha accomunato Italian Angels for Growth (IAG), il più grande network di business Angels in Italia, e l’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale (AIRI), in collaborazione con Piccola Industria Confindustria e sponsorizzato da KPMG, riuniti lo scorso 16 ottobre sotto la regia di Forbes Italia.

Un momento importante di confronto, promosso caldamente da Antonio Leone, presidente di IAG, intervenuto in apertura del Convegno: “L’Italia è un paese di capitali, ma non di capitalisti: il nostro obiettivo è quello di farlo diventare anche un paese di capitalisti. Le famiglie italiane hanno sui conti correnti liquidità disponibile per 1.682 miliardi, come segnalato dall’ultimo bollettino mensile dell’Abi. Se si mobilitasse lo 0,5% di questa liquidità dedicandola al Seed investment, grazie alle eccellenti esperienze e conoscenze della cultura italiana, saremmo un paese allo stesso livello degli altri paesi europei”. Un ruolo fondamentale è quindi quello dei business angel come sottolineato da Leone: “Italian Angels for Growth ha oggi 210 soci e in oltre dieci anni di attività ha analizzato 5.510 startup, finalizzato 91 investimenti per un totale di 202 milioni di euro raccolti e realizzato 10 exit. Numeri che dimostrano che in Italia il potenziale per favorire la cultura dei business angel e la strategia degli investimenti nel Seed esiste”.

Una giornata, inoltre, dedicata all’innovazione da AIRI, con l’intervento del presidente Andrea Bairati, caratterizzata dalla partecipazione di panelist di primissimo piano del mondo dell’innovazione in Italia e arricchita dallo speech di apertura del ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, secondo il quale: “L’Italia è un paese ricco di talento, di creatività, di qualità della ricerca che nasce da una lunga formazione e che rappresenta una base di partenza indispensabile per il rilancio strategico del Paese”.

Il primo panel della giornata, dedicato “alle istituzioni al tavolo di lavoro”, ha visto la partecipazione dello stesso Bairati e di Luigi Nicolais, founder e presidente di Materias ed ex ministro per le Riforme e le Innovazioni nella PA e presidente del CNR, Carlo Robiglio, presidente di Piccola Industria Confindustria e Alessandro Scortecci, direttore della Strategia e dello Sviluppo di CDP Venture Capital. Tutti impegnati nell’effettuare una diagnosi dello stato di salute del sistema dell’innovazione in Italia e soprattutto a individuare una cura.

Soluzione che secondo Nicolais non può non passare anche dalla ricerca, instaurando incentivi che permettano agli accademici italiani, oggi molto legati alla carriera accademica, di dedicarsi alla startup: “L’innovazione non è la stessa cosa della ricerca”, ha detto. “Si risolve con investitori che orientano strategie e le startup devono essere pronte a recepire gli stimoli”.

Per Bairati invece è necessaria una selezione a monte da parte di chi mette insieme gli investitori: “Industriali, finanziari e universitari devono cambiare il loro modello di ingaggio”, ha detto. “Il percorso di formazione deve cambiare. Spesso le idee non sono male ma non altrettanto di livello sono i business model o i team manager. Gli investitori dovrebbero andare incontro all’accademia come avviene in tutto il mondo: partecipando al processo di crescita e di formazione delle startup”. E “se solo una frazione dei ricercatori decidesse di avviarsi su percorsi rischiosi avremmo più startup. Dovremmo sostenere tutto ciò anche con la mano pubblica, perché il rischio è elevato”. E ancora: “Quello di cui stiamo parlando non è uno sfizio, ma una questione cruciale per il nostro Paese”.

Anche la componente corporate ha trovato una sua collocazione. Carlo Robiglio ha infatti portato all’incontro l’esperienza del mondo delle imprese, attraverso la testimonianza dei benefici che le piccole medie imprese potrebbero avere investendo in startup. E illustrando i freni che i piccoli possono avere nell’investimento in startup.

Con Alessandro Scortecci si è invece indagato il punto di vista degli investitori. Rispondendo a domande quali: “Perché gli investitori istituzionali investono in innovazione? Perché lo fanno le aziende? E come lo fanno?”. “È un asset class che nell’ottica italiana sta nascendo, con opportunità sostanziali per quegli investitori che saranno i primi a posizionarvisi”, ha detto. Aggiungendo: “Lo stesso potrebbe valere per investitori privati con grandi disponibilità”.

Il secondo panel, dal titolo “L’innovazione nasce in azienda” ha visto invece confrontarsi tre casi di successo, quelli di Elena Zambon, presidente di Zambon e ideatrice di Openzone, di Diva Moriani, vicepresidente di Intekgroup e Kme e di Anna Gatti, membro del cda di Intesa Sanpaolo e startupper con esperienza in alcune delle principali società tecnologiche mondiali. Ne è nata una discussione anche sui modelli di innovazione applicati in altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti fino ad arrivare a realtà più vicine a noi, come quella tedesca, oltre che opportunità per ascoltare dalla viva voce dei protagonisti consigli su come avviare al meglio la propria startup.

Elena Zambon ha riportato l’esempio di Openzone, dove imprese grandi, piccole e startup diventano sorgente di opportunità per sé stesse e per gli altri”.

Per Diva Moriani: “Un fenomeno importante è il Corporate Venture Capital. In questo particolare momento storico la partecipazione delle aziende a piattaforme di investimento dove entrano anche altri investitori, consente alle stesse large corporate di essere sul mercato, osservare quali sono i trend sull’innovazione e capire cosa può servire da inglobare all’interno dell’azienda”.

Come ricordato da Anna Gatti rispetto al nostro paese: “Più che cosa manca in Italia, la domanda è: che cosa ha in più l’Italia rispetto alla Silicon Valley? Quali sono i valori per cui noi definiamo il successo? Quest’organizzazione si chiama Italian Angels for Growth, non si chiama a caso Italian Angels for profit”.

“I business angels giocano quindi un ruolo fondamentale in questo ecosistema tra startup, accademia, venture capital e corporate: persone che abbiano sì i capitali da investire, ma anche voglia di condividere la loro esperienza non solo nello spirito del ritorno dell’investimento ma anche di quello del give back” afferma Paola Bonomo, che ha chiuso la giornata insieme a Valerio Caracciolo, in qualità di Vice Presidenti IAG.

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