La transizione di qualsiasi forza politica da componenti dell’opposizione a membri di una maggioranza di governo porta con sé un profondo cambiamento dell’impostazione delle scelte di comunicazione. Per farla breve: quando si è all’opposizione si può dire tutto e il contrario di tutto, si possono fare promesse teoricamente irrealizzabili, soprattutto ci si può concentrare su specifici punti deboli dell’avversario, senza essere in obbligo di restituire agli elettori un quadro complessivo delle soluzioni offerte.
Quando si diventa maggioranza, questi giganteschi punti di forza si trasformano in elementi di fragilità in misura direttamente proporzionale al livello di retorica utilizzato fino a quel momento: più si è promesso – e più il consenso generato è figlio di quelle promesse – più è facile perdere rapidamente ciò che si è conquistato. La parabola di Matteo Renzi è figlia di questo yo-yo: la promessa di cambiamento radicale del Paese è stata il magnete che ha portato il Partito democratico all’incredibile 40.8% alle Europee del 2014, e il mancato rispetto di quella promessa (almeno nella percezione della maggioranza assoluta degli italiani) ha portato all’altrettanto incredibile 18.7% ottenuto lo scorso 4 marzo 2018.
Governare è complicato, comunicare l’azione di governo lo è altrettanto. Per questo motivo tutte le maggioranze politiche – dall’ultimo dei comuni alla prima superpotenza mondiale – sognano di individuare un posizionamento che consenta loro di potersi raccontare come outsider, come “opposizione di qualcosa”, in modo da poter giocare una battaglia narrativa diversa e più vantaggiosa. La fissazione di Erdogan nei confronti dei curdi, quella di Putin nei confronti del Regno Unito alle ultime elezioni presidenziali, per non parlare di quella di Berlusconi verso i “comunisti” o di Trump verso praticamente tutti sono esempi di questo classico gioco strategico.
Lega Nord e Movimento 5 Stelle sono stati all’opposizione negli ultimi sette anni, capitalizzando il fatto di essere rimasti sempre e comunque ai margini del potere (un potere gestito da ben quattro governi di larghe intese consecutivi). Diventare maggioranza rappresenta dunque un potenziale attacco al motore del proprio consenso, ed è per questo motivo che è già partita la caccia al nuovo avversario, una caccia che ha già portato a puntare il mirino su un obiettivo specifico: l’Europa.
Le domande che negli ultimi giorni i media internazionali hanno posto ai commissari europei sull’Italia erano pressoché inevitabili, dato l’esito del voto delle ultime elezioni politiche. I commissari europei si sono espressi in merito agli impegni internazionali che l’alleanza Lega-M5S potrebbe mettere in discussione (dalla permanenza in Europa alla riduzione del debito pubblico, dall’immigrazione all’Alta Velocità Torino-Lione) e lo hanno fatto usando frasi di circostanza, persino banalità: “Aspettiamo di conoscere i programmi del governo, ma ricordiamo che l’Italia ha sottoscritto un certo tipo di impegni…”. È bastato però che un commissario europeo ricordasse semplicemente l’esistenza di accordi internazionali a scatenare la reazione sistematica, coordinata, iperpolarizzante di Salvini e Di Maio, riassumibile nella frase “fatevi i fatti vostri”. L’ultimo caso risale a poche ore fa: il leader del Ppe Manfred Weber parlando ai media tedeschi ha lanciato “un appello a restare entro i confini della ragione” diretto a un governo che secondo lui starebbe “scherzando col fuoco”, e “potrebbe provocare una nuova crisi dell’euro”. La cosa gialloverde non aspettava altro, e ha replicato per bocca della delegazione europea dei 5 stelle: “Non saranno le minacce di qualche emissario della Merkel a condizionare le posizioni del futuro governo”, si legge in una nota.
Questa polarizzazione è tra l’altro ideale per i media, che possono costruire un gioco di botta e risposta in pieno stile “horse-race” (creando pathos anche dove non esiste, come se il racconto della politica fosse un’infinita gara sportiva). Chi si oppone al nuovo governo dovrà dunque fare da scudo all’Europa, “italianizzare” l’argomento, renderlo così centrale mediaticamente da far sparire le voci di commissari percepiti come distanti, colpevolizzati perché stranieri, triturati dalla consueta logica sprezzante della democrazia rappresentativa del “non sono stati votati da nessuno”. In caso contrario, M5s e Lega avranno trovato il perfetto capro espiatorio politico per i propri fallimenti, e il posizionamento comunicativo ideale per far dimenticare al grande pubblico di essere diventati partiti di governo.
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