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Tutti parlano di open innovation: ecco come le aziende possono usarla al meglio

Open innovation: ecco come le aziende possono usarla al meglio
(Getty Images)

Tutti parlano di open innovation: ecco come le aziende possono usarla al meglio

“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”. La famosa frase di Charles Darwin sembra essere la più adatta quando si tratta di descrivere l’open innovation. Grandi o piccole che siano, le aziende più dinamiche e reattive stanno ricorrendo a tecniche di innovazione aperta non solo per rispondere alle sfide imposte dall’emergenza sanitaria, ma per ricercare percorsi alternativi e sviluppare nuove soluzioni di mercato.

Oggi l’ecosistema innovazione in Italia appare così molto più “aperto” di quanto possiamo immaginare. Collaborazioni con startup, università, centri di ricerca o tra imprese, i dati che emergono dagli studi realizzati dagli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy e dall’Osservatorio Startup Hi-tech, promossi dalla School of Management del Politecnico di Milano parlano molto chiaro: un’ampia parte delle nostre grandi aziende (ben il 78%) adotta pratiche di open innovation. Comparando i dati degli ultimi anni osserviamo che anche tra le piccole e medie imprese raddoppiano i fenomeni, raggiungendo il 53% dei casi.

Al fine di innovare prodotti, servizi, modelli di business o processi, le aziende non si limitano a fare affidamento solo sulle proprie risorse interne come i dipendenti, i brevetti, le conoscenze aziendali o i risultati di appositi test, ma utilizzano anche fonti e risorse esterne per guidare il processo di innovazione.

Perché innovare in ottica di open innovation? Quali benefici?

In un’epoca in cui l’unica costante è il cambiamento e con la pandemia da Covid-19 in corso che ha reso lo scenario ancora più incerto, non essere disposto a cambiare significa in molti casi essere condannato ai margini del mercato se non, appunto, all’estinzione. Sfruttando le collaborazioni e le metodologie dell’open innovation, nel 2020 un’impresa innovativa su tre in Italia è stata in grado di cambiare il proprio modello di business, la metà di loro hanno ottenuto nuovi clienti ed il 44% ha accelerato lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.

Con l’open innovation l’ampiezza potenziale dell’audience coinvolta è maggiore rispetto a quanto accade nell’ambito di pratiche più tradizionali di innovazione. Quanto è più vasto il pubblico coinvolto, tanto maggiore saranno le idee generate. Ne è un esempio il programma LEGO Ideas con cui l’azienda danese di mattoncini in plastica raccoglie ogni anno milioni di nuove proposte prodotto.

Inoltre, quando si collabora con soggetti esterni, soprattutto quando ciò accade tra due società, esiste il potenziale per la nascita di nuove partnership. E quando a collaborare sono due organizzazioni con risorse e conoscenze complementari impegnate fianco a fianco fin dalla fase di ricerca e sviluppo, le nuove partnership generate potrebbero avere un potenziale parecchio redditizio. L’innovazione aperta può essere anche un ottimo strumento per trovare talenti al di fuori della propria azienda. Infatti avere l’opportunità di coinvolgere un ampio numero di esperti e professionisti aumenta le probabilità di conoscere nuove risorse con competenze complementari da inserire in organico.

Open innovation: i modelli più diffusi

Quali sono dunque le pratiche di open innovation più diffuse in Italia e nel mondo? Come
avviarle concretamente? Tenendo in considerazione l’industria di riferimento, la strategia d’innovazione aziendale e la volontà di coinvolgere più o meno soggetti esterni, si possono valutare diverse opzioni.

Sfide di innovazione
Le innovation challenge hanno l’obiettivo di generare nuove idee o identificare nuove potenziali soluzioni per specifiche problematiche. Le sfide prendono la forma di veri e propri eventi pubblici (in tal caso chiunque in grado di contribuire all’istanza può rispondere alla call d’innovazione) o privati (selezionando i partner con cui gestire le attività di ricerca). I soggetti partecipanti possono variare: studenti, clienti, startup, grandi aziende, centri di ricerca, imprenditori o docenti. Le challenge possono essere strutturate attorno a problemi specifici o essere lanciate con scopi più generici al fine di incentivare la creatività dei partecipanti e stimolare quante più nuove idee possibili. Quest’ultimo, ad esempio, è il caso della sfida definita da Marzotto Venture Accelerator ed Enel per ricercare idee, progetti e soluzioni che sfruttino le tecnologie emergenti per supportare e migliorare il servizio sanitario messo a dura prova dall’emergenza coronavirus.

Hackathon
Gli hackathon sono simili alle innovation challenge con l’unica differenza di andare in fondo al processo di sfida al problema spingendosi fino alla fase di prototipazione della soluzione. Si tratta di programmi tanto brevi (spesso di 48-60 ore) quanto intensi con l’obiettivo di giungere rapidamente ad una soluzione da testare sfruttando la creatività, la diversità e le capacità dei gruppi e professionisti coinvolti. Un esempio è l’hackathon realizzato da Tim in collaborazione con Google Cloud e Codemotion per la progettazione di spazi intelligenti.

Partnership tra startup e grandi aziende
Le collaborazioni tra startup e grandi aziende rappresentano un’altra forma di innovazione aperta che se ben gestita può far leva sull’ampia esperienza, budget, dati e risorse, tipici di una grande corporate, e sull’agilità, adattamento e dinamismo, propri di un team startup. I benefici sono considerevoli per entrambi. La corporation ottiene accesso ad un team di specialisti concentrati sullo sviluppo di una soluzione su misura alle loro esigenze di business senza che lo sforzo vadi ad impattare le altre risorse interne all’azienda. Per la startup la partnership offre invece la possibilità di lavorare intensamente sullo sviluppo prodotto, portando spesso il team a meglio definire la loro proposta di valore, oltre che la possibilità di vantare il prestigioso cliente che spesso non si limita soltanto a contrattualizzare la giovane azienda ma anche ad investire ed acquisire una parte di essa.

Acquisizione startup
L’acquisizione è spesso il risultato di collaborazioni stabili tra una grande azienda e una startup e si prospetta come una valida soluzione quando l’azienda identifica delle opportunità di mercato ma non è in grado di coglierle autonomamente rifacendosi sulle proprie risorse interne.

Corporate incubatore/acceleratore per startup
Sono diverse le aziende che decidono di avviare una nuova business unit dedicata esclusivamente all’incubazione e/o all’accelerazione di startup. I casi di Google, Microsoft, o di Intesa Sanpaolo rappresentano alcuni degli esempi più significativi. Prima che l’azienda decida di investire ingenti risorse per la realizzazione di un nuovo centro dedicato si potrebbe tuttavia optare sullo sviluppo di programmi di accelerazione in partnership con operatori del settore. Si tratta di programmi verticali che raccolgono startup e talenti attorno a specifiche esigenze di innovazione. Anche qui non mancano gli esempi e le best practice: da Plug and Play a H-Farm, fino agli acceleratori dell’Università di Napoli Federico II, Campania NewSteel, o del Politecnico di Milano, PoliHub.

Corporate lab/innovation center
Dalle volte prendono il nome di laboratori, come il Fuji-Xerox’s Customer Co-Creation Laboratory situato in Giappone, dalle volte vengono inquadrati come academy o centri innovazione, come il FS Mobility Academy appena inaugurata da Ferrovie dello Stato al Polo Tecnologico di San Giovanni a Teduccio di Napoli dedicata alla mobilità integrata e ai trasporti. In tutti i casi questi spazi innovazione si configurano come veri e propri centri dedicati alla ricerca scientifica e tecnologica, alla formazione di nuove risorse e collaborazione tra dipendenti, clienti ed esperti al fine di sperimentare ed esplorare nuove soluzioni legate all’industria di riferimento.

Intrapreneurship
Questa è sicuramente una delle pratiche più interessanti e anche quella che troppo spesso non viene valorizzata come dovrebbe. L’intrpreneurship mira ad identificare quei talenti con una propensione imprenditoriale già impiegati dall’azienda ed equipaggiarli con le dovute risorse, che includono non soltanto un budget di spesa, ma soprattutto supporto pratico e mentorship. I team così formati si dedicano alla creazione di nuove soluzioni e prototipi. Di fatto il dipendente svilupperà una vera e propria startup nell’ambito del suo regolare contesto lavorativo avendo accesso a risorse strategiche di cui non godrebbe in altre circostanze. Per favorire e strutturare questi processi, l’azienda potrebbe dotarsi di un vero e proprio programma dedicato agli impiegati-imprenditori come nel caso di Intel, che in Cina ha ideato Ideas2Reality, uno dei programmi di accelerazione tra i più dinamici e incentivanti con cui abbia mai avuto a che fare.

Come fa notare il Professor Henry Chesbrough, economista statunitense considerato uno dei massimi esperti in materia, i metodi di open innovation sopra descritti condividono un approccio all’innovazione più decentralizzato, partecipato e dinamico. Tutto ciò offre l’opportunità di generare soluzioni più rapidamente, ridurre i rischi ed i costi di ricerca, e soprattutto, ha il potenziale di ampliare lo spazio per la creazione di nuovo valore, non solo per le organizzazioni coinvolte, ma per la collettività tutta.

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