Formazione in aula: diventare manager del cambiamento
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Il ruolo della fictionalizing in azienda: come la finzione narrativa educa i manager al cambiamento

Formazione in aula: diventare manager del cambiamento
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Più che la formazione serve l’educazione. Più che il “come fare” serve il “come se”. Tra le priorità per affrontare i cambiamenti in corso, il tema della formazione, ma ancora di più quello dell’educazione, sono centrali.

L’accellerazione sulla tecnologia modifica il nostro modo di conoscere il mondo e ci obbliga a sperimentare, come muovessimo i primi passi in un contesto inesplorato dalla nostra esperienza di essere umani. Per questo le aziende si interessano sempre più di trovare nuove formule e nuovi formati per preparare a nuovi atti di conoscenza. Il progetto di divulgazione Cubo di Unipol ha fatto affrontare il tema dell’educazione del futuro ai filosofi Andrea Colamedici e Maura Gancitano, che portano avanti l’interessante e seguitissimo progetto Tlon sulla fioritura personale, che sta avendo applicazioni in diversi ambiti: dall’organizzazione aziendale al design del territorio.

Nel loro intervento per Unipol Colamedici ha ricordato come educare derivi da e-ducere, tirare fuori, far emergere risorse che sono già nella persona e che rappresentano la strategia migliore in un determinato contesto. Lifelong learning, auto-educazione e autoformazione sono gli orizzonti per una società di lavoro flessibile, autonomo, in cui ognuno deve essere più che mai proprietario delle più preziose risorse, quelle creative, strategiche e relazionali, che diventano preziose per l’azienda proprio perché utilizzate con consapevolezza e padronanza in un legame di reciproco interesse. Sono, dice Colamedici, risorse rinnovabili, un’energia che non smette di ampliare e rigenerare l’ambiente in cui è la persona è inserita. Non è un’energia da consumare, ma da attivare e trasformare in energia condivisa e reciprocamente contagiosa, in una specie di alchimia, potremmo osservare, in cui la chimica magica è quella che si svolge nel nostro corpo mettendo a sistema potenzialità cognitive, emotive, corporee, creative, sensoriali e di intraprendenza, tutti aspetti che gli studi di sulle intelligenze artificiali (ad esempio l’embodied cognition) hanno rivelato essere collegati nel processo di apprendimento, restituendoci conoscenze umanistiche sull’efficienza della mente già trattate dalla filosofia ma spesso dimenticate: una tra queste il concetto di epimèleia heautoù che oggi può nutrire i concetti di Wellbeing e epigenetica. Come ha sottolineato il filosofo esperto di complessità Edgar Morin occorre rompere l’ “addiction delle certezze” che rischia di renderci miopi o persino ciechi. Questo cambio di direzione è legata anche a un superamento epocale dei principi su cui si basava la scienza classica: disgiunzione, riduzione, determinismo.

Oggi è il fenomeno dell’emergenza (nella suo doppio significato di urgenza e di serendipità) che ci impone di non ridurre la conoscenza di un sistema a quella delle sue componenti di base e di investire sulla capacità di ogni singolo e organizzazione di navigare nell’incertezza. La tecnologia umana più utile a questa difficile prova è dalla notte dei tempi la narrazione. In maniera più moderna il ruolo delle storie come palestra di apprendimento si definisce fictionalizing: attraverso una finzione narrativa che riproduce i nostri percorsi mentali (struttura e archetipi sono una sorta di software della mente) realizziamo una simulazione incarnata che ci consente di apprendere strategie preparandoci all’azione. Certo, non tutte le narrazioni possono rappresentare quella architettura complessa e matura rappresentata dall’Odissea o dalla Divina Commedia. Rimane il fatto che la nostra mente per essere coinvolta ha bisogno di riconoscersi in un pattern riconoscibile e il gioco narrativo, con le sue regole e il suo impianto ciclico (partenza, viaggio, ritorno) , ricalca i processi labirintici del nostro processo di scelta e decisione e la ciclicità dell’apprendimento, in una comunione di aspetti emotivi e intellettuali che si spalleggiano in condizioni di incertezza guidati dalla curiosità.

La funzione del fictionalizing e delle storie nel cambiamento è tema di ricerca ad esempio per il team di IDeaLs guidato da Roberto Verganti, Tommaso Buganza e Joseph Press. IDeaLs è la piattaforma di ricerca del Politenico di Milano che ha sviluppato e sta validando — insieme a un gruppo di aziende partner — un percorso di riflessione e apprendimento attraverso la co-narrazione. Per assorbire e metabolizzare gli elementi di innovazione e cambiamento all’interno delle organizzazioni, i gruppi di lavoro sviluppano e raccontano in modalità partecipativa il cambiamento stesso attraverso diversi strumenti collaborativi: dalla co-costruzione di catene di immagini, quasi fossero storyboard del processo in corso, a ministories in cui un progetto di innovazione viene reinterpretato a più voci, che porta a evidenziare i diversi focus sulla ragion d’essere del progetto e sulle potenziali azioni per renderlo concreto. Il coinvolgimento è attivato attraverso strumenti di co-creazione, come un set di carte digitali studiate ad hoc. Il tema del cambiamento si intreccia naturalmente con quello della narrazione e consente un apprendimento attraverso la necessità di risolvere un problema, primo fra tutti quello di imparare a muovere i primi passi in un mondo in cui si agisce e ancora non si conosce: se c’è una complessa e efficace attività di World Building (la costruzione dell’universo narrativo in cui si anima l’azione in regole di coerenza tra scene, scelte stilistiche e mitologie condivise dai partecipanti) si ottiene un brivido narrativo emergente utile a superare paradossi, compiere scelte.

La agency (cioè la libertà di scegliere) del partecipante è legata al potere di cambiare il destino della storia, opportunità resa ancora più concreta dall’inserimento di elementi di gamification “Il gioco è il luogo dove avvengono le decisioni”, spiega Fabio Viola, consulente di gamification e co-autore del libro L’arte del coinvolgimento, “richiede uno sforzo cognitivo attivato da dinamiche di competizione e cooperazione che poi si risolvono in apprendimento duraturo, perché agito”. Viola cita la frase di Benjamin Franklin: “Dimmi e io dimentico, mostrami e io capisco, coinvolgimi e io ricordo”.

Tra i progetti corporate per la formazione degli adulti a cui ha collaborato, Viola ricorda FCA City. La piattaforma di Fiat Crysler nel 2016 ha coinvolto più di 235.000 dipendenti in tutto il mondo; un progetto di empowerment fra le strade di una città virtuale, disseminata di opportunità di apprendimento e materiali digitali consultabili 24 ore su 24 e 7 giorni su 7; all’interno ogni strada e palazzo disegna l’arena delle competenze da sviluppare, come il “Boulevard” dedicato alla Sostenibilità, in cui i “cittadini” del Sustainability Boulevard possono decidere in autonomia il loro percorso di apprendimento, testando poi le conoscenze in materia attraverso la partecipazione a un game competitivo. La strategia è stata quella di creare una learning community attiva attraverso le logiche di condivisione mutuate dai social e la consapevolezza di essere degli ‘agile learners‘, cioè persone responsabili della propria crescita professionale. Oggi Viola lavora a diversi progetti di gamification per lo sviluppo di competenze civiche e competenze emotive: GreeNApp sarà uno strumento per la conoscenza e la valorizzazione dei parchi e giardini presenti nelle dieci Municipalità del Comune di Napoli, Horticultura per la didattica dei bambini alla cura degli orti urbani presenti nella Reggia di Caserta e con il Museo MANN, dopo gli oltre quattro milioni di download del videogioco culturale Father and Son, sta sviluppando un gioco per assistenti virtuali come Alexa.

Un altro progetto per ora dedicato alle scuole, ma che sperimenta funzionalità che possiamo ipotizzare come estensibili agli adulti, è Gamengo, una piattaforma digitale di didattica per valutare lo spettro emotivo, prototipo del progetto guidato da Adtm e finanziato dal bando “Innolabs” della Regione Puglia. La piattaforma è stata testata e, da gennaio, è accessibile a scuole, educatori e genitori. Dal canto suo, l’Università di Foggia ha annunciato la pubblicazione di una ricerca sulla sperimentazione completata con il progetto di ricerca applicata “Play to be a player: Learn for your life”, che ha impegnato un team composto anche da Argomedia, Mobile Idea (società fondata da Viola), Alfa Consult e Progetto azienda, oltre che ADTM e UniFg, questo a conferma di possibili evoluzioni. Il gioco è stato costruito dal basso coinvolgendo gli stessi bambini, a conferma che, come molti esperti sostengono, non è possibile imporre una sceneggiatura per coinvolgere, ma è indispensabile far partecipare i diretti interessati nell’attività di Worl Building.

Chiaramente strumenti come questo rendono ancora più urgente un buon livello di alfabetizzazione emotiva di chi li gestisce. Se questo tipo di soluzioni consentirebbero di fare passi avanti in questo senso, rimane il fatto che il profiling emotivo è uno degli elementi più delicati legati alla tecnologia e per questo vanno studiati con grande profondità. Gli strumenti di riconoscimento gestiti dall’Intelligenza artificiale, legati ad esempio al non verbale, sono sempre più considerati tra il ventaglio delle possibilità nel marketing, nella sicurezza e nella formazione, ma sono oggetto di molti dubbi. Tra chi lancia l’allarme c’è ad esempio l’istituto specializzato AI Now, nel suo rapporto annuale del 2019, ha spiegato che ci ritroviamo in una situazione piuttosto paradossale e chiede di limitare il campo ad alcune tecnologie. Il mercato del riconoscimento emotivo, dice il rapporto, sta esplodendo, con un giro d’affari da 20 miliardi di dollari in tutto il mondo e in rapidissima crescita. Eppure, appunto, gode di scarso fondamento scientifico e di una quantità enorme di rischi che gli ruotano intorno, legato ad esempio alle distorsioni cognitive ed emotive di chi crea le programmazioni algoritmiche o di chi le utilizza. Il problema, insomma, è la maturità emotiva di chi andrà a prendere decisioni e a dare feedback sulla base delle informazioni acquisite.

Sempre la fiction è lo strumento sperimentale utilizzato dal programma Human Knowledge in modalità Open di Joule, la Scuola di Eni per l’impresa, aperto a tutti ed ideato per formare e far crescere aspiranti imprenditori e startup gratuitamente sui temi dell’innovazione e della sostenibilità. Dodici episodi, ispirati alla startup Rice House, che lavora sulla conversione degli scarti del riso in prodotti per la bioedilizia, che con l’alibi della storia fanno accedere a diversi livelli di contenuti divulgativi nei formati classici di webinar, documenti, testimonianze video. Sviluppati nelle puntate di The Rising Star Hotel alcuni spunti su diversi temi di business: dallo studio del mercato di riferimento alla proposta dell’idea imprenditoriale; dalla customer experience al branding e digital marketing, per imparare a distinguersi e a curare gli aspetti emozionali nella comunicazione; dagli aspetti legali e finanziari al crowdfunding, per capire come funziona l’accesso al mercato del credito; dalla gestione dei collaboratori, per coinvolgerli nella creazione del valore, alle competenze di comunicazione, per raccontare la propria idea e proporsi in modo efficace verso i vari interlocutori con il social networking. La modalità open si intreccia alla modalità di formazione più accademica Joule blended con 25 partecipanti. In partenza l’iniziativa Joule4Ideas indirizzata alla community di 6200 iscritti che ha l’obiettivo di connettere le persone e far nascere team e progetti. Per aumentare il coinvolgimento e incentivare la conclusione del percorso è presente un sistema di level up con possibilità di sbloccare opportunità formative a chi ha abbastanza crediti guadagnati nell’avanzamento della storia e delle interazioni: tra queste la possibilità di ottenere una mentorship per la formazione d’impresa con E-Novia. L’interesse di Eni per la formazione imprenditoriale sui temi di economia circolare, transizione energetica e lotta al cambiamento climatico si concretizza anche nella nascita di Energizer, l’acceleratore di ecosistemi sostenibili Joule che supporta startup operanti all’interno dell’ambito “decarbonizzazione ed economia circolare” grazie all’avvio di programmi di incubazione, accelerazione e sperimentazione con Eni e il suo network.

Le sperimentazioni sull’apprendimento attraverso le storie e il loro attraversamento sono sempre più numerose ma siamo forse ancora lontani dalla forza immersiva di esperienze narrative complesse delle grandi epopee dell’intrattenimento. Intanto le neuroscienze per spiegarci il valore cognitivo di certe narrazioni complesse, ricostruiscono il cervello di Odisseo mentre, nel bel mezzo di un’azione, la sua memoria di lavoro attiva l’attenzione con i suoi servosistemi (slave-systems), tra cui il phonological loop (l’orecchio della mente, la verbalizzazione del pensiero) e il visuo-spatial sketchpad (l’occhio della mente), in modo tale che l’attenzione riduca gli stimoli meno rilevanti, amplifichi quelli fondamentali e formuli metarappresentazioni, anche grazie al linguaggio e alle sue capacità di comprimere i dati in pacchetti cognitivi. Una storia è di per se una tecnologia, utile o inutile a seconda della raffinatezza dei meccanismi con cui è costruita. Per questo molti ritengono ancora un buon romanzo il miglior strumento di trasmissione di conoscenze universali e senza tempo quali sono le soft skill. Occorre però non rischiare l’isolamento; sempre Andrea Colamedici ricorda che abbiamo bisogno degli altri per autoeducarci e che si apprende attraverso la pratica dell’Agorazein, andare a zonzo e incontrare, in un’educazione vicendevole non strutturata. In questo senso potremmo augurarci che la tecnologia si ibridi con le modalità in presenza e punti al meglio alle sue potenzialità di attivare in maniera collettiva le energie creative (co-creazione, community, serendipity), in una modalità che permette una sintesi fra tradizione orale e scritta.

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