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Starbucks riuscirà a replicare il successo di Howard Schultz senza di lui?

Howard Schultz, 64 anni.

di Andria Cheng su Forbes.com

Il volto pubblico di Starbucks Howard Schultz lunedì ha scritto una lettera strappalacrime ai suoi dipendenti, annunciando di voler lasciare la compagnia il prossimo 26 giugno, dopo quarant’anni di carriera, spiegando: “Vorrei rammentarvi umilmente di non perdere di vista ciò che conta davvero: i vostri partner e i nostri clienti”.

Schultz, che abbandonerà il suo ruolo da presidente esecutivo di Starbucks, ha continuato: “Il successo non è un diritto, va conquistato ogni giorno tramite l’operosità e il lavoro di squadra”. Una buona indicazione: quella di Starbucks, sotto di lui, è stata una storia di successo.

La compagnia è passata da 11 negozi nel 1987 a più di 28mila in 77 Paesi, diventando la prima catena di caffetteria al mondo, grazie al suo slogan Third Place, il “terzo luogo” che ha scelto di diventare per le persone che passavano dalla casa al lavoro. Le azioni di Starbucks sono salite del 21mila per cento dalla Ipo edl 1992, e la società è sempre stata all’avanguardia nell’offrire ai dipendenti benefit come un’assicurazione sanitaria completa e rette gratis per il college.

Starbucks è diventata anche un’icona dell’attivismo corporate e della coscienza sociale, e con gli smartphone a cambiare rapidamente il comportamento dei consumatori, la compagnia si è anche dimostrata avanti nell’implementare pagamenti mobile e gratificazioni che le hanno dato preziosi insight sui sui suoi clienti.

La fetta di mercato globale del caffè da bar (vale 58 miliardi di dollari) l’anno scorso è salita attorno al 46%, dal 41% del 2014, secondo dati Euromonitor. Quella nel mercato americano, da quasi 25 miliardi di dollari, è aumentata di più di due terzi nello stesso periodo.

Eppure, nonostante Starbucks o lo stesso Schultz possano sentirsi appagati da queste conquiste, la realtà dice che ciò che una volta ha permesso a Starbucks di fiorire oggi è stato ampiamente replicato e, in alcuni casi, reso migliore. Basta guarda al gruppo di coffee shop gourmet che comprende Think Coffee, Gregorys Coffee, Blue Bottle Coffee e Stumptown Coffee Roasters, che hanno recentemente invaso città come New York, battendo Starbucks sul suo terreno.

Non bastasse, Starbucks sta anche soffrendo la concorrenza dal segmento più basso del mercato, capitanata da McDonald’s, e deve rispondere al trend in crescita che vede i consumatori produrre caffè di qualità più alta in casa e scegliere quello “pronto da bere” quando si è fuori. Uno studio recente di Mintel, per esempio, ha mostrato che il caffè ready-to-drink ha fatto segnare cinque anni consecutivi di crescita in doppia cifra delle vendite.

Mentre Starbucks cresceva, affrontava la sfida sempre più ardua di fare training ai suoi nuovi impiegati e mantenere lo stesso livello di servizio ai consumatori ed esperienza. Per esempio, anche se di recente la compagnia ha chiuso i suoi più di 8mila store americani per fare corsi ai quasi 175mila impiegati dopo che un gestore di Philadelphia aveva chiamato la polizia per intervenire su due clienti di colore, la risposta dei dipendenti e della clientela è stata contrastante. Con la recente scelta di rendere ufficiale la sua policy Use of Third Place per accogliere tutti nei punti vendita (i clienti paganti e non), la catena deve anche capire a chi vuole rivolgersi, senza allontanare i clienti più affezionati.

I segnali d’allarme sono iniziati prima del fatto di Philadelphia: un report di Market Force Information sui negozi di caffè e le panetterie a febbraio ha trovato che l’indice composito di lealtà – che misura cose come la soddisfazione dei clienti e la probabilità che raccomandino un’attività commerciale – di Starbucks è diminuito al 49% quest’anno, mentre l’anno scorso era al 58%.

Starbucks, che è stata anche vittima della crisi generale del modello dei mall americani, ha visto le sue vendite comparate nelle Americhe decrescere di anno in anno fino al 3% nell’anno fiscale 2017. Anche in Asia, dove il mercato cinese è stato identificato come motore della crescita, le vendite sono diminuite negli ultimi 4 anni. E questo tralasciando il fatto che la crescita all’estero probabilmente non arriverà con rapidità tale da muove l’ago della bilancia e oscurare il mercato americano, che pesa per il 70% sul bilancio del 2017.

“Mai abbracciare lo status quo”, ha scritto Schultz nella sua lettera (il suo prossimo abbandono di Starbucks ha fatto mormorare anche di una possibile corsa a presidente degli Stati Uniti). “Abbiate la curiosità di guardare dietro l’angolo e il coraggio di reinventarvi. Il cambiamento è inevitabile, e il mondo è diventato un posto più fragile dai tempi in cui abbiamo spalancato le porte dei nostri primi negozi”. Starbucks ha bisogno di tenere a mente queste parole: d’altronde questo mondo non è diventato solo più fragile, ma anche molto più capriccioso.

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