Le strade di Father John Misty e Fleet Foxes si sono già intrecciate tra il 2008 e il 2012, periodo in cui il primo suonò la batteria nei secondi, registrando anche un album di grande successo di pubblico e critica, Helplessness Blues. Nel giro di pochi giorni, il nuovo ‘incrocio’ tra i cammini di questi due pesi massimi dell’indie-folk sarà al Fabrique di Milano, dove i Fleet Foxes si esibiranno il 10 novembre e Father John Misty giovedì 16, uniche date italiane dei rispettivi tour promozionali (biglietti disponibili su ticketone.it e su ticketmaster.it).
Recentemente, parlando con Giovanni Ansaldo di Internazionale, il frontman dei Fleet Foxes Robin Pecknold aveva negato qualsiasi problema con Josh Tillman, nome anagrafico di Father John Misty: “Non ci sentiamo molto. Ma non è perché abbiamo litigato o cose simili, abbiamo semplicemente preso strade diverse e ognuno cura il suo progetto artistico”. In realtà, altrove Pecknold era stato molto più diretto: “L’unico problema (della sua uscita dalla band) è che sarebbe dovuta avvenire prima”, dichiarava il 31enne a Rolling Stone solo pochi mesi fa.
In effetti, le rispettive strade dei progetti – anche quelle musicali – si sono evolute verso orizzonti differenti, una demarcazione che risuona ancora più forte ascoltando in sequenza l’ultimo disco di Misty, Pure Comedy, uscito ad aprile, e quello dei Foxes, Crack-up, pubblicato a giugno. Un delta che emerge soprattutto a livello di liriche: se nel primo abbondano riferimenti, anche ironici o critici, alla cultura pop e digitale (“Bedding Taylor Swift / Every night inside the Oculus Rift”), nell’altro la narrazione ondeggia su linee di pensiero molto più alte, eteree e sottili (“Can you be slow for a little while? / Widow your soul for another mile?”).
Per i Foxes si tratta di un ritorno, che avviene a sei anni dall’ultimo disco e allontana lo spettro di uno scioglimento definitivo, apparso quando Pecknold aveva deciso di accantonare la musica per dedicarsi allo studio e iscriversi alla Columbia University di New York: i suoni della band si riconoscono alla prima battuta, quasi immutati, mentre la struttura delle canzoni si è fatta più complessa, più nervosa. Il percorso evolutivo di Misty invece strizza sempre più l’occhio al pop, quello orchestrale di Elton John per intenderci, mantenendo però sotto traccia la vena folk e intima dei suoi primi dischi, quelli in cui si firmava J. Tillman.
In assoluto, il viaggio di entrambe queste realtà rispecchia una tendenza evolutiva variegata – che ha toccato un po’ tutti i protagonisti della revancha folk cui abbiamo assistito alla fine degli anni zero. A cominciare dai Mumford and Sons, che hanno smesso il banjo e l’approccio ‘saloon’ degli inizi per indirizzarsi verso un pop più coldplaiano, o a Bon Iver, il cui love per le chitarre si è fatto sempre più skinny (e contaminato da riverberi diversi). Ma l’indie folk non sta scomparendo, sta evolvendo — per quanto possa “evolvere” una musica nostalgica per definizione di pentagramma, che trova più poesia nelle radici che nelle fronde. Nel frattempo, godiamoci chi c’è, chi resta e chi è tornato, in un 2017 ricco di spunti: da Johnny Flynn a Iron and Wine, a Laura Marling, per arrivare – appunto – a Fleet Foxes e Father John Misty.
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